
Si è spenta a 87 anni una grande fotografa, che però si definiva soltanto "una persona che fotografava".
di Fabio Secchi Frau
Si era sempre sentita non una fotografa, ma una persona che fotografava. Da una bambina con un pallone al cadavere di Piersanti Mattarella, dalle strade siciliane alla consapevole durezza della libertà femminile. Tutto rigorosamente in bianco e nero, a caccia di istanti privi di retorica. La realtà nuda e cruda, il combattimento con la vita, la vita contro la mafia.
Arrivò lontanissima. Il Premio Eugene Smith nel 1985, le esposizioni in Francia e in America, legandosi all'impegno civile e politico, con la co-fondazione del Centro di Documentazione Giuseppe Impastato, fino a ottenere un posto come Consigliera Comunale nella lista dei Verdi.
Una personalità straordinaria, che non si rese conto di essere un punto di riferimento, un simbolo, non solo per una città come Palermo, ma per il mondo dell'arte libera da ogni tipo di censura, credendo in un mondo più rispettoso delle persone e meno rispettoso verso le paure.
Fu dell'opinione che la fotografia fosse lo strumento adatto a restituire la dignità che la vita negava. Aveva ragione. I suoi scatti lo testimoniano. E come fotoreporter, lei stessa si fece testimone degli orrori dei delitti della Nera Anni Settanta e Ottanta. Non ci furono distinzioni per lei. Potevano essere i morti degli Anni di Piombo, così come quelli della malavita. Ai suoi occhi, furono tutti guerrieri sanguinosamente uccisi. Poi spostò lo sguardo verso chi rimaneva, i sopravvissuti, come Felicia Impastato. Chi restava diventava davanti al suo obiettivo chi osava puntare i piedi contro gli orrori, con il compito di smarscherare le brutalità.