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Storia "poconormale" del cinema: puntata 84

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Sequenze e modelli: dal libro al film
James Joyce 2 febbraio 1882, Dublino (Irlanda) - 13 Gennaio 1941, Zurigo (Svizzera).

venerdì 1 ottobre 2010 - Focus

Sequenze e modelli: dal libro al film
Un promemoria necessario: è di questi giorni una notizia che arriva dalla Russia. Una fondazione intitolata a Lev Tostoj, che ha sede a Jasnaja Poljana, non lontana da Mosca, dove visse il grande scrittore, in occasione della celebrazione della sua morte ha decretato che i Magnifici Sette della letteratura di ogni tempo sono: Dante, Shakespeare, Cervantes, Goethe, Hugo, Joyce, Tolstoj."

Giovane
James Joyce (1882-1941) è l'autore più "giovane" fra i Magnifici. L'unico che abbraccia il novecento (salvo i primi due anni del secolo di Tolstoj). È un legislatore, uno che ha cambiato la letteratura. La sua azione è, per certi versi, omologa a quella di Picasso e di Stravinskij. Il primo spezzò la pittura scomponendo col cubismo l'immagine reale, e figurativa, mostrando del soggetto altre prospettive. Il secondo scomponendo a sua volta e rivoluzionando l'armonia musicale tradizionale. Il concetto "scomposizione&rivoluzione" si adatta perfettamente all'Ulisse, il romanzo che permette allo scrittore di Dublino di trovare cittadinanza, meritatamente, nel paese dei sette maestri.

Equazione
L'equazione Joyce-cinema, riferita all'Ulisse è impossibile. Va spiegato. Joyce è letteratura pura. Con quel romanzo, e a maggior ragione col successivo Finnegan's Wake, aveva, appunto, stravolto i concetti del racconto, non più logico e conseguenza di fatti, ma conseguenza di parole, con assonanze, analogie, memorie improvvise e temporali. In tutto questo c'era davvero poco spazio per una struttura dove, col cinema, prevalgono le immagini. Ma nel 1906 Joyce aveva scritto Gente di Dublino, diciamo secondo lo stile tradizionale. Huston riprese l'ultimo dei racconti del volume dal titolo I morti (The Dead) (1977). Il regista diresse il film poco prima di morire, sapendo di morire, rappresentando, con coraggio più che umano, il mistero che andava incontrando. Si racconta la vicenda di Gretta, che lasciando una casa dove ha cenato, sente una canzone che letteralmente la sconvolge. Il marito, Gabriel, se ne accorge. Lei gli racconta che quella canzone era cantata da un ragazzo, Michael Furey, morto a 17 anni di polmonite perché era rimasto sotto la pioggia per salutare lei che stava per partire. Gabriel è a sua volta sconvolto: non ha mai davvero conosciuto sua moglie, era all'oscuro di un sentimento così profondo e radicato. Di notte, mentre la moglie dorme, Gabriel pensa alla morte. Parla a se stesso guardando il buio oltre la finestra.

Neve
Joyce conclude il racconto con queste parole: "Neve cadeva su ogni punto dell'oscura pianura centrale, sulle colline senz'alberi; cadeva lieve sulla pianura di Allen e più a occidente cadeva lieve sulle fosche onde rabbiose dello Shannon. E anche là, su ogni angolo del cimitero deserto in cima alla collina dov'era sepolto Michael Furey. S'ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle tombe, sulle punte del cancello e sui roveti spogli. E l'anima gli svanì mentre udiva la neve stancamente cadere su tutto l'universo, stancamente come se scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti."
Ma Huston non se la sente di far morire il protagonista, e queste parole le fa pronunciare allo stesso Gabriel. Il film dunque interviene sulle straordinarie parole di Joyce con due licenze: un finale diverso e soprattutto le immagini. Huston mostra il buio, la neve sui vetri, un campanile nero, il ghiaccio sul fiume. La morte secondo le immagini del cinema. Grande cinema, grandi autori e grande letteratura. Un soccorso reciproco e tempestivo. Joyce è dunque stato servito dal cinema con passione e dolore. La morte nella fiction e quella nella vita. E anche Huston entra in un numero ristretto di magnifici, magari non di sette, ma ... pochi di più.

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