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La fantascienza all'europea: poca tecnologia ma solo apparentemente

I Figli Degli Uomini è a tutti gli effetti un film di fantascienza, anche se facciamo fatica a riconoscerlo come tale
di Gabriele Niola

martedì 14 novembre 2006 - News
C'è un'idea diffusa secondo la quale la fantascienza all'americana è un convoglio di tutte le novità tecnologiche nel campo cinematografico mentre quella all'europa insiste molto di più sullo scenario e sull'idea di futuro. Il film di Alfonso Cuaròn in qualche modo smentisce questa regola.
La storia descrive infatti un futuro molto prossimo non solo in termini temporali (si tratta del 2027) ma anche in termini scenici. Le automobili sono leggermente più evolute, gli schermi televisivi sono sempre di più e sempre più piatti e le pubblicità hanno assunto forme nuove e più invadenti (quest'ultima poi è una cosa molto presente nell'immaginario fantascientifico). Se trascuriamo insomma lo spunto della trama, cioè il fatto che l'infertilità diffusa delle donne ha causato un generale stato di decadenza e militarizzazione delle nazioni, per il resto il mondo non è troppo diverso da quello attuale.

Apparentemente I Figli Degli Uomini è il tipico esempio di quella fantascienza all'europea che, un po' per fondi un po' per snobismo, non abbina descrizione del futuro e utilizzo di tecnologie di messa in scena. In realtà il film, che è una coproduzione inglese e americana, utilizza le tecnologie del cinema molto più di quanto possa sembrare, solo che lo fa in maniera più sottile e più invisibile del solito, come dimostra l'incredibile piano sequenza di 15 minuti che accompagna il protagonista dentro un palazzo attaccato militarmente.
Oltre infatti a una lunga serie di accorgimenti di postproduzione, molte immagini sono ritoccate al digitale per creare il mondo disperato immaginato dal regista (ma non la luce grigiastra, quella è vera luce inglese ricercata con perizia e fatica dal direttore della fotografia Emmanuel Lubezki). Accorgimenti apparentemente invisibili come si diceva, ma che contribuiscono a dare quel senso claustrofobico degli spazi aperti che caratterizza tutta la pellicola.

Ma è nel modo di riprendere il film che la tecnologia ha dominato. Per inseguire il senso di realtà Cuaròn ha voluto realizzare tutto il film seguendo due direttrici principali: primo, utilizzare al massimo la profondità di campo, cioè posizionare la macchina da presa abbastanza lontana dai protagonisti in modo da poter tenere a fuoco anche gli elementi di sfondo di ogni inquadratura e, secondo, realizzare il film attraverso l'unione di lunghi piani sequenza.
Queste due tecniche finalizzate alla costruzione di un forte senso di verosimiglianza della storia narrata, richiedono tecnologie che qualche anno fa non sarebbero state disponibili. Obiettivi particolari, lenti particolari e soprattutto videocamere digitali in grado di memorizzare lunghe riprese (le vecchie bobine più di tanto non potevano durare). La più lunga delle riprese senza stacchi, quel piano sequenza di 15 minuti cui già si è accennato, è un perfetto esempio di tutto questo.

Frutto di 5 giorni di prove e di un'attenta pianificazione degli spostamenti di protagonisti e troupe (che cercava in ogni modo di non essere ripresa dai continui movimenti della macchina da presa), ha richiesto l'utilizzo di una videocamera digitale wireless in grado di funzionare senza fili e trasmettere in diretta le immagini riprese su un monitor a disposizione del regista il quale, non sempre (durante quei 15 minuti) poteva inseguire l'operatore per controllare l'andamento della ripresa. La complessità e la dovizia di particolari di messa in scena di quella ripresa sarebbero stati impensabili solo qualche anno fa.

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