Il regno d'inverno - Winter Sleep

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Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan, Serhat Mustafa Kiliç.
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Titolo originale Kis uykusu. Drammatico, durata 196 min. - Turchia, Francia, Germania 2014. - Parthénos uscita giovedì 9 ottobre 2014. MYMONETRO Il regno d'inverno - Winter Sleep * * * 1/2 - valutazione media: 3,85 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

paesaggio parlante ed atmosfere sospese Valutazione 4 stelle su cinque

di pepito1948


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domenica 26 ottobre 2014

E’ lui che tira le fila della storia, Aydin, ex attore ritiratosi nella Cappadocia semidesertica per gestire un piccolo hotel, intento a scrivere piccoli articoli su un piccolo giornale locale e aspirante a scrivere una grande storia del teatro turco, insieme alla giovane moglie, impegnata in un progetto benefico  ed alla sorella, divorziata insoddisfatta e forse pentita. Poi c’è un contorno di figure come un imam, locatario moroso per mancanza di mezzi ed ipocritamente accondiscendente, suo fratello esacerbato dalla recente esperienza  carceraria, un ossequioso ma saggio factotum, un amico di vecchia data, che entrano ed escono dal racconto in funzione delle vicende di quel triangolo.
C’è anche un altro protagonista, un paesaggio ancestrale, primitivo, immobile, di pietra nuda, che entra nelle pareti del  piccolo hotel trasmettendo all’interno un senso di fermo immagine della vita, di isolamento, di durezza immutabile, di solitudine; interazione che, sotto il manto innevato dell’inverno, aggiunge un senso di lenta sonnolenza esistenziale. Gli incastri del trio sembrano reggere nel pigro scorrere delle giornate, ma, come preannuncia la rottura improvvisa di un finestrino a causa di una sassata,  qualcosa sta per infrangersi nel menage. L’interazione verbale fa emergere diversità di vedute, che vanno concentrandosi sul rapporto coniugale: Aydin, dietro la facciata bonaria e rassicurante dell’erudito, del paziente capo-azienda, dell’esperto professionista, si dimostra uomo di pochi scrupoli verso i più esposti alle difficoltà e soprattutto si rivela paterfamilias, intransigente nel ribadire la preminenza del proprio ruolo e nell’imporre il controllo sulle attività della moglie, a sua volta ferma nel rifiutare un ruolo meramente ancillare. Il vortice dei dissensi si allarga al passato, alle rispettive rinunce, alle denunce di incomprensione, finchè l’attempato scrittore, poco incline a flettere dalle sue radicate convinzioni, decide di imboccare una strada solitaria. Ma, in attesa del treno che lo porterà all’agognata Istanbul, cede all’impulso di rimettersi in discussione e di avviare una profonda riflessione sulle scelte troppo istintivamente adottatee su un’identità rivelatasi imperfetta.
Ceylan, dopo il Viaggio in Anatolia, conferma la grande capacità di entrare nei labirinti tortuosi delle relazioni umane, per scoprirne le contraddizioni, le false apparenze, le zone ombrose, e lo fa qui accentuando l’apporto di un dialogo serrato,  avvalendosi della complicità di un panorama inquietante ma affascinante e sempre presente, di simbologie a contrasto (l’ospite motociclista che persegue un itinerario di vita basato sull’imprevedibilità, sul rischio, sull’ignoto), ed evidenziando la stridente convivenza tra modernità dilagante e resistenza di valori tradizionali, tipica della Turchia attuale. L’impegno richiesto dal seguire il filo logico dei dialoghi stringenti e l’irrompere di momenti ad alta tensione emotiva (come il confronto imprevisto quanto drammatico tra la moglie e lo squinternato fratello dell’imam) fanno sì che le tre ore e un quarto di durata scorrano via, lasciandoti un corredo di riflessioni ed emozioni da elaborare. Nonostante qualche caduta di ritmo e traccia di artificiosità nel finale (non si sa se e quanto dovute alla traduzione e al doppiaggio), il film si apprezza anche per il fascino di atmosfere autentiche, sospensive e mai da cartolina, soprattutto negli interni ripresi con abile uso della luce diradata, come quella tenue ma viva delle lanterne e dei caminetti, il tutto recitato da un cast di alto livello e diretto dal regista con mano attenta a gestire con la dovuta morbidezza i cambiamenti di tono.

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