Volevo nascondermi

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L'essenziale è visibile agli occhi

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Con quattro film in 15 anni l'emiliano Giorgio Diritti ha definito meglio forse di chiunque in Italia la sua poetica. Calati in microcosmi remoti, percorsi da lingue e dialetti spesso impenetrabili, tutti i suoi lavori esplorano infatti il rapporto fra una comunità e un estraneo, un intruso, talvolta un nemico (i nazisti de "L' uomo che verrà"), destinato a mettere alla prova le forze che uniscono (o lacerano) quella comunità. Con una figura mitica come quella di Antonio Ligabue il rapporto sembra ribaltarsi. Fin dalla prima scena, quasi un calco da "Elephant Man", con l'occhio del futuro artista che (ci) guarda nascosto dentro un sacco, al centro c'è il diverso, l'elemento di disturbo. Ma la dimensione comunitaria resta decisiva per questo allievo di Olmi che sa resuscitare come nessun altro mondi scomparsi o semplicemente invisibili. Articolato in blocchi narrativi indipendenti, il film ripercorre l'intera parabola del grande pittore mostrando tutto l' essenziale senza spiegare nulla. Ma cosa significa "essenziale"? Qui Diritti impone il suo metodo e il suo stile. Dalla terribile infanzia in Svizzera all' arrivo in Italia, appena 19enne e già respinto da tutti, o quasi tutti; dalla vita selvatica sugli argini del Po, come un Gollum della Bassa, alla consacrazione artistica; dai ricoveri in manicomio alla furia quasi sciamanica con cui Ligabue si immedesima negli amati animali dipinti, sullo schermo sfilano le stazioni di una vita diversa da tutte che tutte le comprende, malgrado traumi e privazioni. Per questo, con la prova semplicemente sovrumana di Elio Germano, è così importante il piccolo mondo che gli ruota intorno. L' amico scalpellino che lo protegge e quasi lo adotta; l'artista Mazzacurati che lo scopre e lo porta a Roma; il regista Raffaele Andreassi che gli dedica documentari decisivi. Per non parlare delle donne, che Ligabue brama ma non avrà mai, anche quando ormai è ricco e famoso. Tanto da iniziare a vestire lui stesso abiti femminili, per appropriarsi magicamente di ciò che gli è negato. Alla fine, grazie anche a un'ambientazione miracolosa per grazia e esattezza, non sappiamo più se è quel mondo a rivelarsi in Ligabue o viceversa. E questo, in un paese - un cinema - che della distruzione della memoria sembra aver fatto un dovere, è davvero un regalo.
Da L'Espresso, 1 marzo 2020


di Fabio Ferzetti, 1 marzo 2020

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