sergio dal maso
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giovedì 29 ottobre 2020
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volevo nascondermi
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«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
Un occhio guardingo e spaurito spunta dalla fessura di un mantello calato sulla testa. Con uno sguardo diffidente spia cosa c’è fuori, sembra osservarci.
L’uomo rannicchiato sul pavimento della stanza dell’ospedale psichiatrico è Antonio Ligabue, Toni el mattper i compaesani di Gualtieri, piccolo borgo vicino a Reggio Emilia.
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«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
Un occhio guardingo e spaurito spunta dalla fessura di un mantello calato sulla testa. Con uno sguardo diffidente spia cosa c’è fuori, sembra osservarci.
L’uomo rannicchiato sul pavimento della stanza dell’ospedale psichiatrico è Antonio Ligabue, Toni el mattper i compaesani di Gualtieri, piccolo borgo vicino a Reggio Emilia.
Ha avuto una vita durissima.
Affidato già da neonato a un’anziana e austera coppia svizzero-tedesca, dopo essere stato abbandonato in un orfanatrofio di Zurigo, il piccolo Antonio è cresciuto in un ambiente ostile e difficile per un bambino gracile e con diversi problemi di salute. Deriso dai compagni, umiliato a scuola dai maestri, ha alternato alla vita famigliare periodi in istituti di rieducazione, fino all’espulsione dalla Svizzera dopo l’internamento in manicomio.
La prima parte del film ripercorre, con l’uso dei flashback,le dolorose tappe di un’infanzia disgraziata, il calvario di esclusioni e umiliazioni subite sia da parte degli altri bambini che dei adulti. E’ narrativamente destrutturata perché si cala nei suoi stati d’animo, mettendo al centro la solitudine e la sofferenza che ne hanno accompagnato l’infanzia.
L’arrivo nella provincia emiliana, terra di origine del padre, non è facile. Anche qui è un estraneo, uno straniero, se prima in Svizzera eral’italiano, adesso lo chiamano el tudesc (il tedesco).
Continua la sua vita errabonda, schiva e solitaria, si rifugia in una capanna sulla riva del Po tra fame e freddo. Lavora ogni tanto nella sistemazione degli argini del fiume. La svolta che gli cambia la vita è l’incontro con Marino Mazzacurati. Lo scultore bolognese si prenderà cura di lui e lo ospiterà a casa sua. La madre dell’artista lo tratterà con dolcezza e umanità, con quell’affetto che da bambino non aveva mai ricevuto.
Soprattutto, Mazzacurati lo avvicinerà alla pittura, riconoscendo da subito il talento cristallino e la genialità creativa che lo faranno diventare uno dei più importanti pittori italiani del novecento.
Pian piano, quell’uomo fragile ma irascibile, malato di rachitismo, dall’incedere curvo e scomposto, inizierà ad essere accettato, in particolare dalla comunità contadina e dai bambini, con cui passerà momenti di gioia e serenità. La comunità di Gualtieri imparerà a convivere con le bizzarrie di Toni el matt, come andare in giro col cappotto a luglio o comprarsi tredici delle sue adorate motociclette.
La notorietà seguita al riconoscimento artistico della sua pittura completerà il difficile inserimento sociale, purtroppo sempre precario per l’instabilità psicologica che non lo ha mai abbandonato.
Emotività che Ligabue esprime nei quadri, in cui, ai paesaggi agresti della vita contadina alterna spesso scene popolate da bestie feroci in lotta, come tigri, giaguari e leoni. Prima di dipingerle ne imita i ruggiti con una fisicità animalesca, interiorizza la loro ferocia per esorcizzare la rabbia che ha dentro, il demone interiore con cui convive dopo anni di patimenti e tribolazioni.
Nell’interpretare il pittore emiliano Elio Germano è ai limiti del sovrumano, in assoluto stato di grazia. Non è solo una mimesi totalizzante ma un abbandono incondizionato, quasi mistico, alla sua intimità. L’intensità espressiva degli occhi, la trasformazione del corpo con quella postura sgraziata e quel borbottio aspro e gutturale in un dialetto incomprensibile, ci trascinano nel labirinto insondabile della malattia mentale, della fragilità di un uomo in cui ognuno può, in parte, riconoscersi.
L’attore romano, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino come miglior attore, ha aggiunto con Ligabue un’altra interpretazione che resterà negli annali del cinema italiano.
Ma Volevo nascondermi è un film straordinario sotto molti punti di vista, dalla regia impeccabile alla splendida fotografia di Matteo Cocco, passando per una scenografia curatissima.
Il regista Giorgio Diritti ha ricostruito gli ambienti rurali della metà del novecento con un realismo autentico, senza caricature o luoghi comuni. I personaggi della campagna emiliana sono veri e credibili, ricordano i contadini dei film di Olmi con quelle facce ruvide e sincere di un popolo che non esiste più. Quel mondo antico dove l’inclusione e l’accettazione del “diverso” era ancora possibile.
Anche nelle opere precedenti di Diritti al centro della narrazione c’era il rapporto tra l’estraneo e il resto della comunità, una riflessione sul valore della diversità. Per il cineasta bolognese l’anima dell’uomo viene prima di quella dell’artista, della figura di Ligabue cerca di scandagliarne la fragilità, l’umanità che resiste malgrado tutto, anche nel dolore più estremo.
E commovente è stato Elio Germano nel dedicare l’Orso d’oro “a tutti gli storti, gli sbagliati, gli emarginati, tutti i fuori casta e ad Antonio Ligabue, perché gli artisti, prima di essere riconosciuti, sono tutti così, persone fragili che non nascondono la loro umanità."
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arsenio
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domenica 30 agosto 2020
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‘ritratto elementare’
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Di Pacifico Arsenio
Volevo Nascondermi è cervellotico solo per il gusto di essere cervellotico: ritmo contorto, sceneggiatura complicata e monotona, un po' di bella fotografia minimalista che non guasta.
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Di Pacifico Arsenio
Volevo Nascondermi è cervellotico solo per il gusto di essere cervellotico: ritmo contorto, sceneggiatura complicata e monotona, un po' di bella fotografia minimalista che non guasta. A differenza dello sceneggiato Tv finisce per sembrare una versione ripulita. Manca la cattiveria, la follia e il percorso narrativo è banale. L'ambizione di molte scene e' spesso esilarante per la serietà con cui vengono architettate. E l'insipido e narcolettico procedere di traiettorie prive di una vera tesi non aiuta di certo salvare il pubblico (o quantomeno il sottoscritto). Elio Germano invece bacia il film con toni sfumati e toccanti: frenetico, claustrofobico, spettrale. Spiragli tarkovskjiani qua e là di Andrej Rublev e, sul finale, di Zerkalo, per un’opera minore e derivativa.
Pacifico Arsenio
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luciano sibio
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lunedì 17 agosto 2020
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film a tratti ruffiano
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Film che ha tutti gli ingredienti del film dell'anno sia a lato della sceneggiatura che delle scenografia.Purtroppo cala di livello per un eccesso di cedimento a lato del pubblico e della parte commerciale.Che succede ? che l'assetto teorico del film consiste nella evidenziazione di un principio di cui la storia del pittore ne è vivida espressione.E cioè che oguno al mondo,anche il più malmesso e disfunzionale,può occupare un posto sociale,recitare cioè una parte,senza quindi doversi in nessuno modo nascondere.
Il fatto poi che il nostro Ligabue con la compiacenza di qualche luminare del campo e per simpatia sia asceso a singolari livelli di qualità artistica è un fatto secondario rispetto al contenuto generale per cui il riscatto vero e proprio è poter dire in giro che io sono un artista,cioè io so fare qualcosa che serve e nel cotesto sociale d'appartenenza, punto e basta, indipendentemente dal successo o da altre genericiità che possono in qualche modo implicare discorsi un pò affrettati sull'arte e sul compito degli artisti.
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Film che ha tutti gli ingredienti del film dell'anno sia a lato della sceneggiatura che delle scenografia.Purtroppo cala di livello per un eccesso di cedimento a lato del pubblico e della parte commerciale.Che succede ? che l'assetto teorico del film consiste nella evidenziazione di un principio di cui la storia del pittore ne è vivida espressione.E cioè che oguno al mondo,anche il più malmesso e disfunzionale,può occupare un posto sociale,recitare cioè una parte,senza quindi doversi in nessuno modo nascondere.
Il fatto poi che il nostro Ligabue con la compiacenza di qualche luminare del campo e per simpatia sia asceso a singolari livelli di qualità artistica è un fatto secondario rispetto al contenuto generale per cui il riscatto vero e proprio è poter dire in giro che io sono un artista,cioè io so fare qualcosa che serve e nel cotesto sociale d'appartenenza, punto e basta, indipendentemente dal successo o da altre genericiità che possono in qualche modo implicare discorsi un pò affrettati sull'arte e sul compito degli artisti.
Per fortuna il flm sull'arte taglia corto e fa bene rimane però a mio avviso un pò troppo legato alle ricostruzioni punto per punto della vita dellartista,con alcune punte inevitabili di dejà-vu e alcune pagine scontate per es a proposito delle donne,ma soprattutto con un disegno generale che man mano perde di vista il cotenuto suesposto per lasciar spazio alla solita ascesa sociale del tipo dalle stalle alle stelle che tanto piece al pubblico perchè fa sognare
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angelo umana
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martedì 25 agosto 2020
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gli abbracci negati
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Volevo nascondermi mi piacerebbe nominarlo “volevo gli abbracci mancati”. Potrebbe dirsi, se vi pare, il film sugli abbracci negati al bambino Ligabue o Laccabue, e sulle conseguenze che questa mancanza ebbe. In una scena ad inizio film compare la sua mamma che lo consegna ad una coppia adottiva a Zurigo e l'immagine di lui che piange mentre la mamma va via rimane forte in mente. Questo abbandono pare produrgli un rifiuto della realtà circostante e di questi genitori adottivi, è rifiutato e deriso a sua volta dall'ambiente e dagli altri bambini, un insubordinato per la scuola e per il lavoro, un disadattato che soggiornerà in manicomi quando verrà mandato a Gualtieri in Emilia, il padre naturale era di colà.
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Volevo nascondermi mi piacerebbe nominarlo “volevo gli abbracci mancati”. Potrebbe dirsi, se vi pare, il film sugli abbracci negati al bambino Ligabue o Laccabue, e sulle conseguenze che questa mancanza ebbe. In una scena ad inizio film compare la sua mamma che lo consegna ad una coppia adottiva a Zurigo e l'immagine di lui che piange mentre la mamma va via rimane forte in mente. Questo abbandono pare produrgli un rifiuto della realtà circostante e di questi genitori adottivi, è rifiutato e deriso a sua volta dall'ambiente e dagli altri bambini, un insubordinato per la scuola e per il lavoro, un disadattato che soggiornerà in manicomi quando verrà mandato a Gualtieri in Emilia, il padre naturale era di colà. Esistettero in Svizzera questi affidi con supposti “scopi assistenziali” a famiglie che facevano lavorare tra gli stenti dei bambini senza che nulla fosse loro riconosciuto, nemmeno l'istruzione. Verdingkinder si chiamavano, bambini a contratto (sull'argomento fu fatto un film). Si apprende qui che i genitori adottivi di Antonio ricevevano un sussidio per l'”impegno”.
Le immagini dell'infanzia tornano prepotenti e ossessive nel film e nella memoria di Antonio – inserti appropriatissimi della regia di Giorgio Diritti e della sceneggiatura - ogni volta che crescendo vive esperienze scomode o sgradite; ne fu segnato per sempre. Le sue reazioni, il nascondersi, la vergogna – derivanti dall'abitudine a scarsi contatti con essere umani - ci fanno partecipi della sua disperazione, le immagini sono così “marcate” da farci sentire vicini al protagonista, siamo con lui dentro il film e dentro le sue vicende: merito grandissimo di Elio Germano che lo interpreta e della regia che ci fa immergere, o sprofondare, nelle scene drammatiche ch'egli vive, “breathless” o da togliere il respiro.
Ligabue crebbe attratto dagli animali e da quelle persone che gli regalarono rare carezze, il personaggio dice di capire subito se un uomo è buono o cattivo. Gli animali li imitava, li vedeva nei suoi dipinti come creature vere; la pittura si rivelò la forma d'espressione con la quale il suo spirito trovava un po' di pace e cominciò ad essere apprezzata. Rimase impressionato dagli occhi di una bambina morta che volle riportare su tela; gli parve inaccettabile quella morte, un'esperienza mai vissuta, che talmente lo scosse da farlo vagare disperato e urlante in cimitero di notte.
Tante e ricche le citazioni della sceneggiatura, o forse cose vissute da Ligabue (1899-1965). La tassa sul celibato che gli si minaccia nel fascismo e cose da lui dette quando venne riconosciuto come grande pittore e scultore naif, sempre schivo e semplice, un po' rozzo ma immediato: “perché parlare dei quadri, i quadri si vedono, cosa puoi dirne?” o “il maggior condimento sulla pasta è riservato alla gente importante”; il paltò nuovo indossato in estate per tutto il freddo patito in vita, eppoi una certa affermazione di sé o autoriconoscimento, “sono un artista, di un artista o artigiano resta qualcosa, nulla resta di un autista!”
Commovente che in punto di morte gli ricompaia il volto della sua giovane madre naturale, gli dà la mano, lo chiama a sé, lui l'ha sempre attesa. Un film magnifico, ebbe solo un Orso d'argento a Berlino per Germano, ma tant'è.
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brunopepi
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martedì 10 novembre 2020
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ligabue è germano e germano è tutto il film
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La vita dell'acclamato pittore, tra i più importanti artisti naif del xx secolo viene riportata nel lungometraggio attraverso flashback della sua infanzia e gioventù nonché lungo la sua complessa e poco salubre esistenza. Il regista e sceneggiatore ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cinema lavorando a fianco di autori come Pupi Avati del quale si percepisce quello stile narrativo poetico e delicato senza qui però, riuscire ad introdurre emotività ed esaltazione in un soggetto dal quale, riguardo ciò, si sarebbe potuto fare di più.
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La vita dell'acclamato pittore, tra i più importanti artisti naif del xx secolo viene riportata nel lungometraggio attraverso flashback della sua infanzia e gioventù nonché lungo la sua complessa e poco salubre esistenza. Il regista e sceneggiatore ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cinema lavorando a fianco di autori come Pupi Avati del quale si percepisce quello stile narrativo poetico e delicato senza qui però, riuscire ad introdurre emotività ed esaltazione in un soggetto dal quale, riguardo ciò, si sarebbe potuto fare di più. Il film nella sua durata di due ore non scade mai in sequenze noiose, dietro una direzione che mantiene attivo l'interesse soffermandosi forse un po' troppo sui disturbi nevrotici e psicofisici del personaggio. Se il film non avesse avuto una narrazione eccessivamente cavillosa e fedelmente rigida offrendo più spunti emozionali e viscerali anche attraverso la musica peraltro carente, avrebbe potuto raggiungere quel maggior carisma cinematografico.
Cast semplice ed inespressivo composto da comparse, dove l'unico fiore all'occhiello è Elio Germano che, così come in "Come Dio comanda" e " L'uomo senza gravità" senza citarne altri, riesce con il suo imperialismo artistico a mantenere il giudizio finale di alcuni suoi lavori, come del resto questo, dentro un'abbondante sufficienza. Quindi potremmo anche affermare che il personaggio di Ligabue è Germano e che Germano è il film, e non per nulla premiato al Festival di Berlino con l'Orso d'Argento per il miglior attore.
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vanessa zarastro
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domenica 23 agosto 2020
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diversità e arte
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Il vero protagonista del film “Volevo nascondermi” è senza dubbio Elio Germano nel ruolo del pittore e scultore italiano Antonio Ligabue. Ormai Germano è andato a specializzarsi in questi ruoli che coniugano malattia fisica, sofferenza psicologica e creatività artistica. Basti pensare alla sua interpretazione di Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone del 2014, solo che qui, come se non bastasse, c’è anche la fame e la povertà. La biografia di Ligabue infatti è di per sé struggente: Toni nasce a Zurigo nel 1899 figlio di immigrati italiani, ma viene affidato subito a una coppia svizzera senza figli e adottato dopo la morte della madre.
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Il vero protagonista del film “Volevo nascondermi” è senza dubbio Elio Germano nel ruolo del pittore e scultore italiano Antonio Ligabue. Ormai Germano è andato a specializzarsi in questi ruoli che coniugano malattia fisica, sofferenza psicologica e creatività artistica. Basti pensare alla sua interpretazione di Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone del 2014, solo che qui, come se non bastasse, c’è anche la fame e la povertà. La biografia di Ligabue infatti è di per sé struggente: Toni nasce a Zurigo nel 1899 figlio di immigrati italiani, ma viene affidato subito a una coppia svizzera senza figli e adottato dopo la morte della madre. Purtroppo i suoi disturbi - il rachitismo e il gozzo - incisero negativamente sulla sua crescita e sui suoi studi. Non gli piaceva andare a scuola, amava solo disegnare mostrando un certo talento. Per problemi economici Toni e i suoi genitori adottivi cambiarono spesso città e lui iniziò a lavorare saltuariamente come bracciante agricolo o accudendo gli animali. Malauguratamente, era spesso in preda a crisi nervose che lo portarono alla fine, ad essere espulso dalla Svizzera. All’epoca i malati mentali avevano una sorte terribile, erano cacciati e derisi, quando non finivano in manicomio.
Ligabue giunse a Gualtieri, cittadina d’origine paterna di seimila abitanti nella bassa padana, dove continuò la sua vita da homeless, ma dove iniziò a dipingere. La possibilità di esprimersi artisticamente riempì la sua solitudine, dando sollievo alle sue ansie e mitigando le sue ossessioni.
Commoventi sono i suoi rapporti con gli animali, ma anche quelli con i bambini per i quali confeziona statuette. La sua vita sarà costellata di ricoveri, spesso per attacchi violenti e talvolta autolesionisti.
Sarà l’incontro con il critico e scultore Renato Marino Mazzacurati (interpretato da Pietro Traldi) - e con sua madre (Orietta Notari) che lo accoglie amorevolmente - che lo farà conoscere e crescere artisticamente. Solo dopo la Seconda Guerra mondiale verranno esposti i suoi quadri in collettive ma anche in mostre personali a Roma come quella presso la galleria “La barcaccia” nel 1961. Sfortunatamente, l’anno dopo l’artista viene colpito da emiparesi e finirà di nuovo accolto al ricovero Carri di Gualtieri dove morirà tre anni dopo.
“Volevo nascondermi” è un film toccante che fa star male lo spettatore e, in un certo senso lo fa sentire in colpa di essere “sano” per tutta la sua durata di 120 minuti. Per tutto il tempo ci si attende il rantolo, il grido di dolore, l’urlo di rabbia, che per fortuna, nella seconda parte del film, sono inframezzati da episodi di tenerezza come il ritratto a Cesarina (interpretata da Francesca Manfredini) e il rincontro a Roma con Mazzacurati madre.
Le scenografie accurate nei dettagli sono di Ludovica Ferrario. La fotografia di Matteo Cocco con i colori dell’Emilia, gli sconfinati pioppeti e le golene del Po, è molto bella, sottolinea e dimostra il possesso, da parte del regista Giorgio Diritti, di una profonda conoscenza del mondo rurale emiliano. Probabilmente l’empatia nei confronti della sofferenza del personaggio ha oscurato nel film la reale importanza artistica. Sono solo gli aspetti naïf dell’arte di Ligabue ad avere successo? O c’è un legame, anche inconsapevole, con altre tendenze contemporanee?
Per la sua interpretazione, Elio Germano ha vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino 2020.
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fabiofeli
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lunedì 9 marzo 2020
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mi è piaciuto di mondi !
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Un occhio spalancato guarda da un buco in un sacco nero un dottore, uno psichiatra, che parla in tedesco e che vediamo in controcampo. Non vuole essere visto, vuole restare nascosto“Toni al Matt” (Elio Germano), che ha già sofferto due abbandoni: dai genitori di Gualtieri (vicino Reggio Emilia) e da quelli adottivi. Nella sua infanzia è stato perseguitato dai coetanei che lo spaventavano a morte ansimando rumorosamente davanti a lui. Quando dalla Svizzera tedesca viene rispedito a Gualtieri, lo chiamano “il tedesco”.
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Un occhio spalancato guarda da un buco in un sacco nero un dottore, uno psichiatra, che parla in tedesco e che vediamo in controcampo. Non vuole essere visto, vuole restare nascosto“Toni al Matt” (Elio Germano), che ha già sofferto due abbandoni: dai genitori di Gualtieri (vicino Reggio Emilia) e da quelli adottivi. Nella sua infanzia è stato perseguitato dai coetanei che lo spaventavano a morte ansimando rumorosamente davanti a lui. Quando dalla Svizzera tedesca viene rispedito a Gualtieri, lo chiamano “il tedesco”. Però, quando lo incontra lo scultore Mazzacurati nell’inverno 1928, comincia un’altra vita per Toni; l’artista convince Ligabue a farsi ospitare nella casa della madre. Toni esce dalla solitudine: inizia a dipingere e a creare forme di creta con una preferenza per il mondo animale. Di fronte alle sue creazioni imita il verso dell’animale, come se volesse infondere vita alla sua creazione. Si trasforma in gallo e in tigre. Il suo autoritratto non è solo lo studio del suo aspetto guardandosi allo specchio - una fredda fotografia - ma come si deve osservare un artista mentre sta dipingendo. Quasi a rafforzare la sua autostima davanti a chi gli dà del “matt”, dice categorico “Ai son un artista!”. Convincerà anche i suoi critici che nella descrizione della natura il pittore si sintonizza con qualcosa di sfuggente ed apparentemente indescrivibile riuscendo a comunicarlo a chi guarda le sue opere. Con i guadagni per la vendita dei quadri compera 3 auto assumendo un autista e ben 13 motociclette di marche prestigiose; su queste gira per campagne e città dell’Emilia, pur avendo difficoltà a issarle sui cavalletti quando sosta. L’Istituto Luce fa un documentario sul pittore ed inventa una donna che lo bacia e dice che il bacio “le è piaciuto di mondi!” (moltissimo) . Ligabue quasi alla fine del film pettina la morbida sabbia del Po come se fosse l’artista polacco Christo che aveva incartato la costa australiana nel ’68 e nel ‘74 Porta Pinciana a Roma.
Giorgio Diritti, impostosi come autore nel 2005 con Il vento fa il suo giro e nel 2009 con L’uomo che verrà - la strage di Marzabotto vista dagli occhi di una bimba - non ha unito la critica per Il suo terzo film, Un giorno devi andare (2013), ugualmente buono, con Jasmine Trincal nastro d’argento come migliore attrice protagonista. Elio Germano, ormai tra i migliori attori del cinema italiano, fa come al solito uno studio encomiabile per calarsi nel personaggio, come ne La nostra vita di Luchetti, meritando il premio ex-equo di miglior attore protagonista con Bardèm al Festival di Cannes (2010), e ne Il giovane favoloso di Martone del 2014. Stavolta Elio Germano pesca il prestigioso Orso d’argento come miglior attore protagonista al Festival di Berlino 2020. La sinergia tra Diritti e Germano, con la ulteriore spinta della splendida fotografia di Matteo Cocco che illumina ed amplifica i colori caldi di città, borghi, casali e campagna, facendo eco ai colori saturi della pittura di Ligabue, produce un gran film su sofferenza ed Arte. Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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frankmoovie
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lunedì 7 settembre 2020
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volevo nascondermi: film da ... scoprire.
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Il personaggio di Ligabue, il suo carattere e le sue stranezze, sono abbastanza conosciute anche per uno sceneggiato TV fatto per il grande pubblico e ben interpretato da Flavio Bucci e questo film poteva correre il rischio di ripetere cose già viste, sotto l'influenza del successo di pubblico televisivo. Ma il regista Giorgio Diritti ormai ha esperienza e animo poetico per cui, conoscendo anche le zone in cui visse l'artista e la gente, ci regala un film da non dimenticare, che punta sulla scalata sociale di una persona problematica, mostrando come nella società ognuno può trovare il suo ruolo, e sulla ascesa e decadenza di un'artista spesso preso in giro, poi anche sfruttato.
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Il personaggio di Ligabue, il suo carattere e le sue stranezze, sono abbastanza conosciute anche per uno sceneggiato TV fatto per il grande pubblico e ben interpretato da Flavio Bucci e questo film poteva correre il rischio di ripetere cose già viste, sotto l'influenza del successo di pubblico televisivo. Ma il regista Giorgio Diritti ormai ha esperienza e animo poetico per cui, conoscendo anche le zone in cui visse l'artista e la gente, ci regala un film da non dimenticare, che punta sulla scalata sociale di una persona problematica, mostrando come nella società ognuno può trovare il suo ruolo, e sulla ascesa e decadenza di un'artista spesso preso in giro, poi anche sfruttato. La biografia di un artista molto difficile, cresciuto tra mille problemi e in realtà diverse che lo hanno trascinato da severità inaudite ad affetti spontanei, da durezze atroci e carezze dolcissime è stata rappresentata con maestria cinematografica, con primi piani intensi dei personaggi e fotografie di posti di natura e di borghi, con colonna sonora degnissima e la scelta di attori molto attenta, con un Elio Germano che sale a livelli altissimi di recitazione, con sguardi, gesti, trasparenze emotive e rabbiose o innocenti: non una scoperta, ma più che una conferma dell'impegno che lui mette in ogni personaggio che interpreta e, in questo caso, non solo regge, ma supera il pur grande Flavio Bucci. All'altezza dei ruoli anche gli altri, tra cui Oliver Ewy, Paola Lavini, Leonardo Carrozzo, Orietta Notari .. Un film da non ... nascondere, ma da scoprire perché fa del cinema, un'arte.
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maria f.
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mercoledì 23 settembre 2020
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evviva i buoni flim!
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Quando si sceglie un film, la preferenza è dovuta comunemente alla fiducia che si dà al regista, al protagonista, alla storia, si cerca insomma di ottimizzare quelle due ore che si trascorreranno per assistere a un buon lavoro, e all’ uscita dalla sala potere dire: “Non ho perso tempo, sono soddisfatta!”.
Questa volta sono stata accompagnata più che dentro una storia, nei meandri infiniti della sofferenza di un uomo, fin da bambino incapace di esprimersi e quindi di difendersi, abbandonato ai confini fra Italia e Svizzera perché povero e ritenuto deficiente, consegnato al paese d’origine Gualtieri dove vivrà come senza tetto in una miope Italia fascista.
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Quando si sceglie un film, la preferenza è dovuta comunemente alla fiducia che si dà al regista, al protagonista, alla storia, si cerca insomma di ottimizzare quelle due ore che si trascorreranno per assistere a un buon lavoro, e all’ uscita dalla sala potere dire: “Non ho perso tempo, sono soddisfatta!”.
Questa volta sono stata accompagnata più che dentro una storia, nei meandri infiniti della sofferenza di un uomo, fin da bambino incapace di esprimersi e quindi di difendersi, abbandonato ai confini fra Italia e Svizzera perché povero e ritenuto deficiente, consegnato al paese d’origine Gualtieri dove vivrà come senza tetto in una miope Italia fascista.
Trascorrerà parte della sua vita all’addiaccio, nutrendosi anche di topi e solo dopo l’incontro con lo scultore Mazzacurati la sua vita comincerà ad assumere un aspetto un po’ più umano e lui potrà rendersi conto di avere un valore, quello di essere un artista.
Tony ama gli animali e li fa diventare protagonisti dei suoi quadri, ama i bambini per i quali costruisce statuine, dimostra grande riconoscenza per chi l’ha accolto, è assetato d’amore.
La vita di Antonio Ligabue deve indurre tutti noi, quando incontriamo persone che ci sembrano non particolarmente dotate, secondo il nostro metro di giudizio troppo spesso gretto e arrogante, a fermarci e a dare loro spazio.
Tutti noi custodiamo nella nostra anima un talento che spesso ancora oggi non viene fuori perché le famiglie non sono all’altezza di comprendere e gli insegnanti cui i bambini sono affidati non hanno quella preparazione, quell’attitudine, per indicare e accompagnare i piccoli meno fortunati verso una possibile via di fuga, verso la salvezza e favorirli nello spiccare quel volo e far sì che non desiderino mai più nascondersi.
Tutto di questo film mi ha lasciato un segno profondo come una ferita e permanente come una cicatrice. Ringrazio la regia, Elio Germano e tutti quelli che hanno reso possibile quest’opera.
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felicity
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lunedì 20 dicembre 2021
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un grande elio germano
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Al centro di Volevo nascondermi c'è la vita di Antonio Ligabue: uno dei pittori e scultori italiani più importanti del XX secolo.
Volevo nascondermi si apre con un'inquadratura che ritrae Ligabue nascosto dietro una coperta mentre osserva un dottore intento a fargli una visita psichiatrica.
I primi venti minuti ci immergono all’interno della vita di Antonio Ligabue pre-pittura, un passaggio fondamentale per capire come è diventato un Artista.
L’inizio del film è caratterizzato da continui salti temporali in cui vediamo le vessazioni che Ligabue ha subito fin dalla prima infanzia dovute a un sistema di educazione arcaico e alle sue condizioni psichiche che gli impedivano di difendersi dalle continue aggressioni dei suoi coetanei.
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Al centro di Volevo nascondermi c'è la vita di Antonio Ligabue: uno dei pittori e scultori italiani più importanti del XX secolo.
Volevo nascondermi si apre con un'inquadratura che ritrae Ligabue nascosto dietro una coperta mentre osserva un dottore intento a fargli una visita psichiatrica.
I primi venti minuti ci immergono all’interno della vita di Antonio Ligabue pre-pittura, un passaggio fondamentale per capire come è diventato un Artista.
L’inizio del film è caratterizzato da continui salti temporali in cui vediamo le vessazioni che Ligabue ha subito fin dalla prima infanzia dovute a un sistema di educazione arcaico e alle sue condizioni psichiche che gli impedivano di difendersi dalle continue aggressioni dei suoi coetanei.
Questo passaggio è necessario ai fini dell’opera, ma può allo stesso tempo risultare ostico sia per lo stile narrativo, a tratti confusionario, sia per i dialoghi ridotti all’osso che possono far perdere l’interesse nei confronti della vita di Ligabue da parte del pubblico.
Una volta superato lo scoglio del primo atto, Volevo Nascondermi si evolve mettendo al centro la pittura di Ligabue usata dall’artista come mezzo per evadere dalla claustrofobia dei manicomi, per farsi amare o per comprare sentimenti e motociclette.
Il processo di creazione di un quadro viene rappresentato in maniera sorprendente, soprattutto grazie allo straordinario talento di Elio Germano.
Quando guardiamo un film biografico capita spesso di vedere il personaggio solamente imitato dell'attore e non realmente interpretato: questo con Elio Germano non succede mai.
Il suo Antonio Ligabue in Volevo nascondermi è fisico, dotato di una sensibilità fuori dal comune e anche di un ego spropositato.
Quando dipinge muta nel soggetto al centro dell’opera, immedesimandosi a tal punto da comunicare tramite onomatopee, diventando schivo e irruento, una condizione necessaria per poter rappresentare nella maniera più limpida ciò che lui vede.
Le campagne emiliane dell’epoca fascista sono curate nei minimi dettagli, in certe situazioni sembra di rivivere le atmosfere de L’albero degli zoccoli, capolavoro di Ermanno Olmi, così come la direzione delle comparse e l’uso del dialetto locale ci porta indietro di ottant'anni non risultando mai forzato né didascalico.
Se da una parte abbiamo quindi un grande Elio Germano, dall’altra la regia di Giorgio Diritti sembra accomodarsi sulle spalle dell’attore senza osare mai laddove si sarebbe potuto.
Un film algido, senza spunti e soluzioni narrative degne di nota che un soggetto straordinario come quello di Ligabue poteva offrire.
Un vero peccato, anche perché il lavoro fatto dalla fotografia e dalla scenografia è veramente mirabile.
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