lovemovies
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venerdì 22 settembre 2023
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un pittore matto che voleva nascondersi
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Io lo ricordo bene il Ligabue trasmesso in televisione nel 1977. Ricordo bene anche Flavio Bucci, grande attore dal triste destino. Non mi sembra però nè utile nè opportuno stare a fare il confronto fra le due produzioni. Basti solo dire che lo sceneggiato fa parte della preistoria della televisione, anche se il segno lo ha lasciato, eccome.
"Volevo nascondermi" è un commovente film dedicato ad un uomo buono che per tutta la vita si è portato sulle spalle il peso ed il trauma di una infanzia infelice. Un uomo buono e semplice, in sintonia con la natura e con gli animali, i suoi primi modelli, dipinti con crescente abilità. Con la pittura Ligabue confeziona la sua rivincita verso un mondo che lo aveva sempre deriso ed allontanato.
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Io lo ricordo bene il Ligabue trasmesso in televisione nel 1977. Ricordo bene anche Flavio Bucci, grande attore dal triste destino. Non mi sembra però nè utile nè opportuno stare a fare il confronto fra le due produzioni. Basti solo dire che lo sceneggiato fa parte della preistoria della televisione, anche se il segno lo ha lasciato, eccome.
"Volevo nascondermi" è un commovente film dedicato ad un uomo buono che per tutta la vita si è portato sulle spalle il peso ed il trauma di una infanzia infelice. Un uomo buono e semplice, in sintonia con la natura e con gli animali, i suoi primi modelli, dipinti con crescente abilità. Con la pittura Ligabue confeziona la sua rivincita verso un mondo che lo aveva sempre deriso ed allontanato. L'attore Elio Germano ha offerto una splendida prova recitativa. Il film "corre" un po', ma forse questa sensazione la si ha quando dispiace che lo spettacolo finisca presto. La gente che si relazione col pittore rappresenta un po' l'umanità reale che ci circonda: poche persone generose e veramente preoccupate per la sorte degli altri, molte altre indifferenti alla sofferenza, altre che manifestano la loro cattiveria, che colgono l'opportunità, che non si concedono se non per tornaconto. Nulla di diverso da quanto vediamo ogni giorno, a parte le modalità di partecipazione, che ora avviene digitando dietro a una tastiera. Ma come si sa, dalla Storia non apprendiamo mai niente, figurarsi dalla storia di un pittore matto che voleva nascondersi.
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eugenio
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venerdì 13 novembre 2020
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natura, arte e cultura nel segno di diritti
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La coperta, un occhio, uno sguardo che si nasconde dietro un buco. E che da quel buco guarda, come porta, il mondo che davanti a lui gli appare crudele, freddo e meschino, senza scampo.
Antonio è un prigioniero che tramite l’arte ha saputo liberarsi dalla gabbia: della malattia di gozzo e rachitismo; della famiglia di contadini svizzeri in un’infanzia non propriamente felice, frutto di violenza e abusi; degli studi, frammentari e superficiali; delle percosse subite dai coetanei che lo pestavano per il gusto di vederlo andare in crisi; dell’espulsione dalle scuole sino all’approdo tutt’altro che felice in Italia, in un paese di cui non conosceva nemmeno la lingua, una Romagna di lambruschi e felicità negate.
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La coperta, un occhio, uno sguardo che si nasconde dietro un buco. E che da quel buco guarda, come porta, il mondo che davanti a lui gli appare crudele, freddo e meschino, senza scampo.
Antonio è un prigioniero che tramite l’arte ha saputo liberarsi dalla gabbia: della malattia di gozzo e rachitismo; della famiglia di contadini svizzeri in un’infanzia non propriamente felice, frutto di violenza e abusi; degli studi, frammentari e superficiali; delle percosse subite dai coetanei che lo pestavano per il gusto di vederlo andare in crisi; dell’espulsione dalle scuole sino all’approdo tutt’altro che felice in Italia, in un paese di cui non conosceva nemmeno la lingua, una Romagna di lambruschi e felicità negate.
Antonio, Toni è un prigioniero ammalato di vita. Là a Gualtieri, località emiliana di cui è originario il padre putativo - il marito della madre biologica, Bonfiglio Laccabue – soffre gli scossoni dell’eterna solitudine. Nelle cornici di un mondo rurale segnato dal tempo del primo novecento, dai vividi colori sgargianti, pregno di vita, Toni scopre l’arte per curare i suoi affanni esistenziali. Conosce la pittura, inizia a dipingere con uno stile personalissimo, distintivo che lo accompagnerà, grazie all’incontro con Renato Marino Mazzacurati lungo il sentiero di una comunicazione sofferta, oltre il “valico” di quell’erta cima che non voleva superare e da cui si nascondeva. Si svelerà in un mondo spietato e crudele fatto anche di affetto e amicizia, di passione, di placida bellezza (bellissime le scene in motocicletta, il segno di una libertà vagheggiata) e di poetica speranza di un matrimonio. Fino alla paralisi del braccio sinistro che renderà Toni furia cieca, impossibilitato alla creatività fulminante. Fino alla morte cerebrale. Fino alla cesura con quel mondo odiato e amato. Quell’Antonio, Toni è Ligabue uno dei più criptici, semplici e appassionati artisti del nostro novecento ancora oggi studiato e acclamato dai critici.
Giorgio Diritti, regista allievo di Ermanno Olmi e Elio Germano talento dalla grande caratura a livello internazionale (come dimenticare il giovane favoloso, la figura essenziale e sofferta di Leopardi?) restituiscono l’afflato di un film fatto di silenzi e scorci di una Pianura padana, fatta di verdissime sponde e granturco dal colore giallo miele. Una regione segnata dai battiti del tempo del fiume Po che panteisticamente pervade e rende viva l’ispirazione, la furia creativa del grande artista segnato da un tormento interiore che supera traendo, da esso, la forza per ergersi e rappresentare il fuoco che ha dentro. Un fuoco che nasce e si consuma dentro una terra. La terra, con l’articolo determinativo. Quella fatta di animali, cascine, paesi rustici, campi. Di sguardi spietati e dolci, severi e misericordiosi. Di dialetti, quelli veri, che restituiscono il forte legame, quasi d’amore, del regista verso una comunità ritratta come in un quadro di Fattori, fedele nella sua magnifica rudezza.
Volevo nascondermi è un film caratterizzato da immagini di rara grazia e potenza, dalla nitida e accurata fotografia, essenziale come l’interpretazione di Germano, capace di restituirci un Ligabue in stato di grazia, perfettamente a suo agio nei movimenti “sghembi” dell’artista privi di alcuna retorica ma anzi di sano e profondo rispetto. Come quella per il cineasta per antonomasia di questa regione, Fellini, di cui Diritti cela nella pellicola una venata matrice di amarcord, nel dualismo luci/ombre che si specchiano nei volti degli abitanti di un paese avulso dal tempo, lontano e distante, non intaccato ancora dal consumismo o dal progresso che Ligabue ha reso nell’arte suo, vivo, coniugando naif, longevità e bellezza. Un piccolo gioiello. Da vedere.
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luca scialo
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venerdì 14 maggio 2021
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un pittore dall'animo semplice
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Giorgio Diritti, regista che si divide tra documentari e film drammatici, ci presenta la vita di Antonio Ligabue, prima Laccabue. Figlio di immigrati con alcune menomazioni fisiche e patologie mentali, che seppe trovare nella pittura il suo modo migliore di esprimersi. Ligabue dipingeva immagini semplici, che ci restituiscono però la vera essenza di ciò che ci circonda. Ciò che è essenziale, ma invisibile agli occhi. L'artista non ebbe una vita facile. Schernito e trattato come una bestia in Svizzera, troverà la sua dimensione umana a Gualtieri dove sarà adottato. Fortunatamente, però, le sue opere saranno apprezzate già quando egli era in vita. Contrariamente a quanto accadde a molti altri colleghi delle epoche passate.
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Giorgio Diritti, regista che si divide tra documentari e film drammatici, ci presenta la vita di Antonio Ligabue, prima Laccabue. Figlio di immigrati con alcune menomazioni fisiche e patologie mentali, che seppe trovare nella pittura il suo modo migliore di esprimersi. Ligabue dipingeva immagini semplici, che ci restituiscono però la vera essenza di ciò che ci circonda. Ciò che è essenziale, ma invisibile agli occhi. L'artista non ebbe una vita facile. Schernito e trattato come una bestia in Svizzera, troverà la sua dimensione umana a Gualtieri dove sarà adottato. Fortunatamente, però, le sue opere saranno apprezzate già quando egli era in vita. Contrariamente a quanto accadde a molti altri colleghi delle epoche passate. Aiutato forse da un modo di concepire l'arte che era cambiato e dava più spazio agli istinti e all'astrattezza. Straordinaria ancora una volta l'interpretazione di Elio Germano, nel suo nuovo ed ennesimo trasformismo. Aiutato comunque dal trucco e parrucco. Le ambientazioni sono quelle tipiche della "bassa" emiliana. Tra ruderi, campagne e cortili. Esaltati da colori caldi e una fotografia semplice ma efficace. Proprio come i dipinti del protagonista.
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michele
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domenica 23 agosto 2020
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il cinema d'autore italiano di gran valore.
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Volevo nascondermi è l'ultimo film di Giorgio Diritti, uscito poco prima del covid; ho avuto il piacere di vederlo al cinema l'altro ieri sera. La regia, impeccabile, si distingue in due parti: la prima mostra la visione dell'occhio del regista che mette in scena il realismo del paesaggio emiliano come se fosse pittore del 900, la seconda conferma la capacità attoriale di Elio Germano, che utilozza la atipica tecnica della "supermarionetta" di Edoard Graig nel portare in scena la vita privata di Laccabue. Non solo la regia è degna di nota: la fotografia è romantica e allo stesso tempo realistica e visionaria nel descrivere la realtà contadina con gli occhi di Ligabue; gli scenografi sono riusciti a ricostruire gli spazi interni ed esterni con profonda essenzialità.
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Volevo nascondermi è l'ultimo film di Giorgio Diritti, uscito poco prima del covid; ho avuto il piacere di vederlo al cinema l'altro ieri sera. La regia, impeccabile, si distingue in due parti: la prima mostra la visione dell'occhio del regista che mette in scena il realismo del paesaggio emiliano come se fosse pittore del 900, la seconda conferma la capacità attoriale di Elio Germano, che utilozza la atipica tecnica della "supermarionetta" di Edoard Graig nel portare in scena la vita privata di Laccabue. Non solo la regia è degna di nota: la fotografia è romantica e allo stesso tempo realistica e visionaria nel descrivere la realtà contadina con gli occhi di Ligabue; gli scenografi sono riusciti a ricostruire gli spazi interni ed esterni con profonda essenzialità. Per questo "volevo nascondermi" lascia un indelebile ricordo della vita incredibile dell'artista italo svizzero.
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mauridal
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mercoledì 27 gennaio 2021
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un vecchietto favoloso
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Quando un personaggio, protagonista di una storia, occupa con tutta la su pienezza un film, allora dobbiamo guardare all’interpretazione che ne dà l’attore, che si carica della responsabilità e della fatica di rappresentarlo. Anche il regista del film , ha in qualche modo l’onere della restituzione e della credibilità del personaggio, specie se questi è realmente esistito e ha lasciato tracce e testimonianze della sua esistenza.
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Quando un personaggio, protagonista di una storia, occupa con tutta la su pienezza un film, allora dobbiamo guardare all’interpretazione che ne dà l’attore, che si carica della responsabilità e della fatica di rappresentarlo. Anche il regista del film , ha in qualche modo l’onere della restituzione e della credibilità del personaggio, specie se questi è realmente esistito e ha lasciato tracce e testimonianze della sua esistenza. Un personaggio che come il pittore Ligabue ha lasciato tante testimonianze della sua vita ma soprattutto della sua arte pittorica. Ora un film su questo personaggio lascia poco spazio all’invenzione o alla divagazione del cinema, quindi scelta obbligata il genere biografico, pure se ben inquadrato nella scelta di lasciare ampio spazio alla interpretazione, direi emotiva e viscerale dell’interprete, l’attore Elio Germano, che qui in questo film , riesce a restituire tutto quello che di nascosto forse aveva voluto l’ uomo e artista Ligabue. L’uomo afflitto da follia, e l’artista che ne usufruisce per creare pittura naturalistica e di genere realistico per niente astratta o intellettualistica. I meriti di questo artista pittore rimangono nella storia dell’arte e nella sensibilità di coloro che sanno apprezzare questa pittura , Tuttavia i meriti del film sono a vantaggio dell’interprete che ha dato tutto il meglio della sua esperienza, forte dei personaggi già realizzati in precedenza come il giovane Leopardi. Elio Germano ha conseguito un meritato plauso, il suo Antonio Ligabue da vecchio è insuperabilmente straordinario . Il film in più fa conoscere al grande pubblico un artista italiano nel contesto culturale di una regione emiliano romagnola prolifica e vivace. ( mauridal)
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goldy
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mercoledì 2 settembre 2020
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interpretazione eccezionale
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La crudeltà e le sofferenze che la vita ha riservato a Ligabue sono così " vere" tali da frenare qualsiasi velleità stilistica o ricercatezza formle nella narrazione. Coa che il regista fa perfettamente grazie anche alla capacità interpretativa immensa di Elio Germano.
Gli stacchi scenici , il taglio di inutili lungaggini narrative conferiscono alla regia la stessa ruvidezza del personaggio . Una asciuttezza assolutamente apprezzabile e perfettamente in linea con le asperità del personaggio.
Splendida la fotografia del paesaggio lungo il Po. Non altrettanto apprezzabili le scene in dialetto dove recitazione e ambientazzione risentono pesantemente di uno stile recitativo proprio di una filodrammatica di paese.
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La crudeltà e le sofferenze che la vita ha riservato a Ligabue sono così " vere" tali da frenare qualsiasi velleità stilistica o ricercatezza formle nella narrazione. Coa che il regista fa perfettamente grazie anche alla capacità interpretativa immensa di Elio Germano.
Gli stacchi scenici , il taglio di inutili lungaggini narrative conferiscono alla regia la stessa ruvidezza del personaggio . Una asciuttezza assolutamente apprezzabile e perfettamente in linea con le asperità del personaggio.
Splendida la fotografia del paesaggio lungo il Po. Non altrettanto apprezzabili le scene in dialetto dove recitazione e ambientazzione risentono pesantemente di uno stile recitativo proprio di una filodrammatica di paese. Peccato.
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francesca meneghetti
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giovedì 27 agosto 2020
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tra naturalismo ed espressionismo, la storia di un artista matto e "foresto"
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"Volevo nascondermi" è un film che merita di essere visto, ma non per svago: esso richiede allo spettatore una partecipazione intelligente ed emotiva alla triste storia di Antonio Ligabue, così come l'ha raccontata Giorgio Diritti, regista e co-sceneggiatore. Non è la prima volta che il nostro Van Gogh padano attira l'interesse del cinema. Se escludiamo i primi documentari degli anni '60, le opere più importanti sono "Ligabue" del 1977, interpretato da Flavio Bucci, regia di Salvadore Nocita e il recente (2015) docufilm "Antonio Ligabue, L'Uomo", regista Ezio Aldoni. Ritornare sullo stesso tema è dunque una sfida che punta non tanto ai contenuti, in buona parte già noti, quanto alla forma, per dirla in maniera crociana: cioè si dà valore al modo di narrare.
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"Volevo nascondermi" è un film che merita di essere visto, ma non per svago: esso richiede allo spettatore una partecipazione intelligente ed emotiva alla triste storia di Antonio Ligabue, così come l'ha raccontata Giorgio Diritti, regista e co-sceneggiatore. Non è la prima volta che il nostro Van Gogh padano attira l'interesse del cinema. Se escludiamo i primi documentari degli anni '60, le opere più importanti sono "Ligabue" del 1977, interpretato da Flavio Bucci, regia di Salvadore Nocita e il recente (2015) docufilm "Antonio Ligabue, L'Uomo", regista Ezio Aldoni. Ritornare sullo stesso tema è dunque una sfida che punta non tanto ai contenuti, in buona parte già noti, quanto alla forma, per dirla in maniera crociana: cioè si dà valore al modo di narrare. Quattro sono i punti di forza di questo grande film. Anzitutto l'interpretazione di Elio Germano, che è stata premiata alla Berlinale, e che comporta una totale metamorfosi dell'attore che ne coinvolge il volto (sapientemente truccato), le espressioni degli occhi, la voce, la postura animalesca, i gesti, spesso enfatizzati all'estremo, come si addice a "un matto" (Bucci, per quanto bravo, mantiene una postura dritta, e si affida soprattutto allo guardo, allucinato). In secondo luogo la focalizzazione tematica, sulla scia degli altri film di Giorgio Diritti (formatosi come documentarista), in particolare: "Il vento fa il suo giro", "L'uomo che verrà". In tutti questi lavori si delineano, con precisione antropologica, dei microcosmi chiusi, ricchi di personaggi, di codici, di regole, alle prese con un corpo estraneo, che può essere rifiutato da tutti (come la coppia francese del primo film, giunta nella comunità pastorale di Valle Maira) o come i nazisti nel secondo, oppure può dar luogo a un mix di ostracismi e aperture, come ha scritto Fabio Ferzetti. In questo senso Ligabue è emblema dello Straniero. Ma Giorgio Diritti non gioca all'ideologo: racconta ciò che accade con un distacco documentario che non lascia però indifferente lo spettatore (ci si può indignare o si può piangere, come quando il pittore si inchina davanti alla madre di Renato Marino Mazzacurati, il primo che gli apre le porte a Gualtieri, dopo che Ligabue, espulso dalla Svizzera (dove nasce da genitori italiani che lo danno in affido), si trova a vivere come un animale selvatico lungo il Po. Il terzo elemento è lo stile della regia. Diritti non compie una narrazione compatta e lineare. Procede per sequenze frammentarie, ricorrendo a flashback specie nella prima parte, e richiedendo la partecipazione attiva dello spettatore, chiamato a incollare, ordinare, completare. Si aggiunga il ricorso alla reticenza, all'allusione, più che all'esplicito dire, efficaci per ricomporre la psicologia complessa e sofferta dell'artista. Il personaggio, a questo riguardo, risulta particolarmente dinamico e si dimostra, con il tempo, reattivo alla compassione e alla stima degli altri, tanto da uscire da quella condizione di bestia ferita dell'infanzia e della giovinezza, e da potersi relazionare, almeno un poco, con le altre persone. Molto meno con il sesso femminile (il che lo porterà a un travestitismo consolatorio: vestendosi da donna, si illuderà di averne una accanto). Infine, terzo elemento caratterizzante lo stile è la mescolanza del registro documentario-oggettivo con quello espressionistico, tendente al caricaturale, come quando Ligabue imita gli animali per coglierne lo spirito e dipingerli con vivacità. Questa dialettica naturalismo/rappresentazione della realtà carica di colore, si ritrova nell'ultimo punto di forza del film: la fotografia diretta dal giovane Matteo Cocco (vive all'estero), e premiata con il Globo d'oro. In realtà la variante espressionistica, che ci si aspetterebbe in un pittore naif, ma forse non digiuno della lezione di Van Gogh e dei Fauves, trova spazio soprattutto alla fine, quando i titoli di coda scorrono in sovraimpressione: sullo sfondo la pittura coloratissima di Ligabue. E all'inizio, quando un occhio sospettoso fa capolino da un grande mantello nero, dietro il quale Ligabue voleva nascondersi. Ma per il resto le immagini scorrono all'insegna di un'insolita naturalezza. In controtendenza rispetto al trend di moda (perseguire un'altissima definizione, forte contrasto ed estrema saturazione), Cocco opta per lo sfumato "leonardesco", nei contorni e nelle luci, così che un pulviscolo dorato viene a coprire il paesaggio padano. Altrimenti, per accentuare i momenti oscuri di Ligabue, ricorre alla sottoesposizione, senza correggerla con flash o luci artificiali. Tecnicamente meravigliosa, dunque, la fotografia di Cocco.
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