Anno | 2014 |
Genere | Documentario |
Produzione | Messico |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Riccardo Silva |
Attori | Richard Lewis (III), Amador Granados, Yareni García . |
Tag | Da vedere 2014 |
MYmonetro | 3,34 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 7 settembre 2014
CONSIGLIATO SÌ
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Nel bel documentario italiano del 2013, Sacro GRA, il regista Gianfranco Rosi ci narrava le storie di una Roma periferica attraverso il furto di scene di vita vissuta di coloro che vivono lungo il Grande Raccordo Anulare; oggi Ricardo Silva (qui al suo esordio) con uno stile che mescola mockumentary e finzione, ci mostra Navajazo, una variante messicana (è girato a Tijuana) di un'umanità molto simile ma anche molto diversa, il tutto con adeguate dosi di found footage e di ampia spettacolarità pornografica.
Homeless che vivono in discariche quasi fatate, all'interno delle quali si sono costruiti delle case fatte di giocattoli rotti e, non lontani da loro, disoccupati che cercano amorevolmente di tirare su le proprie figlie tenendole lontane dalla droga. Non mancano eccentrici cantanti gotho che mettono in musica, in un parcheggio accanto a una pompa di benzina, tutto il loro disprezzo per la società consumistica, vestiti come se volessero emulare un ibrido fra i Kiss e Diamanda Galas. E neppure junkies che disquisiscono sulla qualità della droga, prostitute, registi pornografici amatoriali e piccoli delinquenti.
Navajazo, che letteralmente significa "colpo di rasoio" o "ferita che non si può rimarginare", si distacca però da quelli che sono i canoni del genere documentaristico perché propone le storie dei suoi protagonisti senza un filtro etico a livello audio-visivo, rendendo non solo le loro vite "molto umane" ma, nel contempo anche "disumane". Un paradosso percettivo e narrativo che si esprime maggiormente nelle scene di quella che potrebbe essere definita "gioia", dove cioè si balla e si canta, e dove questi personaggi, nonostante la realtà nella quale vivano, trovino il modo di esprimere qualcosa che sembra un briciolo di felicità o riescano a definire cosa è per loro l'amore e se ci credano o meno.
Una deformazione di un cinema vérité con macchina a mano sgraziata, crudele, con momenti di riflessione anche televisiva sul trash che sgorga da piccolo schermo e che non mancherà di farvi sentire addosso una sensazione di grottesca bizzarria.
Il limite di Navajazo, come già accade per molti documentari, è nell'incapacità di queste - seppur perfette - opere di trovare una loro distribuzione e resistere per l'interesse degli spettatori più curiosi. Per il resto, Silva è meritevole del Leopardo d'Oro attribuitogli dal Festival di Locarno come regista del presente per aver saputo ricamare assieme, con uno stile raffinato nonostante l'asprezza delle immagini, esistenze povere, inquinate, che si limitano a sopravvivere negli opprimenti bassi del suburbio cittadino messicano.