jacopo b98
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giovedì 27 marzo 2014
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ennesimo grande film per un grande regista!
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Ahmad (Mossaffa) arriva a Parigi dall’Iran per firmare le carte che ufficializzano il divorzio da sua moglie Marie (Bejo), che intanto convive con un uomo (Rahim) la cui moglie è in come…per tentato suicidio. Sconvolgenti verità verranno a galla. L’iraniano Farhadi, reduce dall’Oscar 2012 per il meraviglioso Una separazione, ha presentato al Festival di Cannes 2013 il suo nuovo film: Il passato. Scritto e diretto dal regista ha di nuovo il suo centro in un divorzio che sta per essere ufficializzato. Ma forse non è solo per fargli firmare le carte che Marie ha voluto far venire dall’Iran il suo ex marito. Forse ci sono ancora dei conti in sospeso, conti che prima o poi si devono saldare.
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Ahmad (Mossaffa) arriva a Parigi dall’Iran per firmare le carte che ufficializzano il divorzio da sua moglie Marie (Bejo), che intanto convive con un uomo (Rahim) la cui moglie è in come…per tentato suicidio. Sconvolgenti verità verranno a galla. L’iraniano Farhadi, reduce dall’Oscar 2012 per il meraviglioso Una separazione, ha presentato al Festival di Cannes 2013 il suo nuovo film: Il passato. Scritto e diretto dal regista ha di nuovo il suo centro in un divorzio che sta per essere ufficializzato. Ma forse non è solo per fargli firmare le carte che Marie ha voluto far venire dall’Iran il suo ex marito. Forse ci sono ancora dei conti in sospeso, conti che prima o poi si devono saldare. Ed è esattamente qui il significato generale del film. Per creare il futuro bisogna prima fare i conti con il passato, che lo si voglia o no. Non si può dimenticare quello che è stato come propone Marie in una scena del film. Farhadi sviluppa la sua trama come una grande tela a cui, minuto dopo minuto, scena dopo scena, aggiunge pian piano dei tasselli che solo alla fine faranno capire allo spettatore il quadro generale della trama. È la stessa tecnica che già aveva utilizzato proprio per Una separazione, che qui viene portata alle estreme conseguenze. Il risultato è a tratti sbalorditivo a tratti invece la trama si infittisce fin troppo. Comunque, seppur forse non al livello del film precedente, Il passato si conferma come uno dei più bei film dell’anno e probabilmente il miglior film presentato all’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il premio alla miglior attrice Bérénice Bejo (The Artist), datole probabilmente più che altro per risarcire il film della mancata Palma d’Oro, andata alla Vita di Adele di Kechiche. Infatti più della Bejo a ergersi sugli altri interpreti è lo sconosciuto Ali Mossaffa, che ci lascia una grande interpretazione.
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enrico omodeo sale
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mercoledì 5 febbraio 2014
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il passato e il ruscello in mezzo ai piedi
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2 ore e 10 volate via, senza un attimo di tregua. Si respira solo nel finale, che sembra andare nella direzione di "Amour" di Haneke, ma, come ne "La separazione", è una direzione fuorviante, che ci mostra, come in tutto il film, colpi di scena continui.
La morale, se ce n'è una, è rappresentata dal proverbio iraniano che cita un personaggio secondario, l'amico ristoratore di Amad: "non puoi avere un piede di qua e un piede di la del ruscello: poi il ruscello si allarga". Il passato è un film tutto incentrato sulla ambivalenza dei personaggi. Amad, sensibile piccolo uomo alle prese con l'incertezza se dimenticare o no l'ex moglie (ma come si fa a dimenticare Berenice Bejo?).
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2 ore e 10 volate via, senza un attimo di tregua. Si respira solo nel finale, che sembra andare nella direzione di "Amour" di Haneke, ma, come ne "La separazione", è una direzione fuorviante, che ci mostra, come in tutto il film, colpi di scena continui.
La morale, se ce n'è una, è rappresentata dal proverbio iraniano che cita un personaggio secondario, l'amico ristoratore di Amad: "non puoi avere un piede di qua e un piede di la del ruscello: poi il ruscello si allarga". Il passato è un film tutto incentrato sulla ambivalenza dei personaggi. Amad, sensibile piccolo uomo alle prese con l'incertezza se dimenticare o no l'ex moglie (ma come si fa a dimenticare Berenice Bejo?). Marie, che ha un presente con un uomo, Samir, diviso dalla moglie in coma, dal nuovo rapporto e dal fatto che diventerà ancora padre. Presente che però inconsciamente dimostra di non volere al 100%, perchè fa entrare in casa l'ex marito che, a modo suo, tenta di risolvere tutto il dramma familiare. In mezzo a questo triangolo ci sono i figli, spettatori sofferenti e impotenti (Lucie compresa...) di una o più disgregazioni familari.
Un cinema vero, neorealista nello stile e "americano" nella solidissima sceneggiatura a incastro, che non lascia nulla al caso e all'improvvisazione. Attori ben scelti, anche se a volte (e non è affatto un difetto) sembrano delle pedine (do you remember Bresson?) usate dal regista per raggiungere il scuo scopo. Quello del coinvolgimento totale dello spettatore. Scena iniziale e scena finale da antologia. Chapeau.
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maurizio d
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lunedì 20 gennaio 2014
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ineluttabile presenza del dolore
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L'immagine finale : una mano viva , che stringe una mano inerme è forse il paradigma più significativo di questo film.
La sofferenza dell'uomo, la labilità del vivere , il repentino passaggio cui tutti noi siamo sottoposti:
da una realtà in movimento ad una staticità senza ritorno.
Dietro la quotidianità , quasi neorealistica di una casa di periferia dai muri sudici e dalle cucine ingombre di
utensili, c'è il peso e la gravità delle tragedie di Eschilo.
Eventi e rivelazioni ci rendono a poco a poco compartecipi della ineluttabile condizione esistenziale
dei personaggi di questo dramma.
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L'immagine finale : una mano viva , che stringe una mano inerme è forse il paradigma più significativo di questo film.
La sofferenza dell'uomo, la labilità del vivere , il repentino passaggio cui tutti noi siamo sottoposti:
da una realtà in movimento ad una staticità senza ritorno.
Dietro la quotidianità , quasi neorealistica di una casa di periferia dai muri sudici e dalle cucine ingombre di
utensili, c'è il peso e la gravità delle tragedie di Eschilo.
Eventi e rivelazioni ci rendono a poco a poco compartecipi della ineluttabile condizione esistenziale
dei personaggi di questo dramma.
Il dilemma fondamentale è: svuotarsi delle proprie energie negative per allontanare da sé il male
o continuare a convivere con esso.
Attraverso la catarsi i personaggi della tragedia greca solevano purificarsi e cacciare via il male,
ma il regista non è qui cosi' categorico , non sempre liberarsi dei propri segreti solleva la situazione dei personaggi.
Ci sono tre donne che soffrono , ciascuna a loro modo e che vorrebbero liberarsi dalla loro pena.
Marie soffre per l'abbandono del suo amato e cerca di compensarlo trovandolo in altro volto , quasi un sosia dalle stesse
dolci movenze.Sua figlia , Lucie , soffre perché vede nella madre futilità e superficialità , forse perché la conosce poco , agisce quasi
per vendetta e provoca in tal modo il danno irreparabile . Infine c'è una donna che conosciamo poco , moglie di Samir ,
che mette fine alle sue sofferenze con il suicidio. Tre modi diversi di soffrire.
Ci sono poi due uomini miti: Ahmed e Samir ,spinti da un destino ineluttabile , uomini che rifulgono
da ogni violenza e da ogni manifestazione di maschilismo, che non intendono prevaricare che si misurano con rispetto alle decisioni
degli altri, si curano dei loro figli , lavano i piatti , preparano da mangiare. Non sono degli eroi
non riescono a modificare il reale , lo accettano , lo subiscono come ineluttabile.
Qui il rimando alla tragedia di Eschilo è di obbligo: il fato non si puo' mutare , ci sovrasta .Questi uomini lo sanno.
Solo l'infanzia , ignara , radiante sembra all'oscuro dell'immensa tragedia della vita, ma ha uno sguardo straniante nei confronti del mondo degli adulti.
Il film procede gradualmente , rivelandoci a poco a poco , la personalità ed il passato di ciascuno dei personaggi , fino alla scena
centrale quella in cui Lucia rivela la sua nefasta azione contro la madre .Servirà questa rivelazione ad allontanare da sé il male e la sofferenza?
Il film dà una risposta:la mano viva che stringe la mano inerme ci da proprio la misura dell'inevitabilità del male nella condizione umana.
Sta proprio nella gradualità delle rivelazioni la grandezza di Farhadi , nel centellinare a poco a poco , scavando nella psiche di ognuno dei personaggi
giungendo fino agli antri più reconditi della loro persona, fino a renderci compartecipi, fino a patire insieme a loro.
M D'Agata
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silvia errante
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giovedì 16 gennaio 2014
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stilisticamente bello, ma opprimente
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Molti dicono che Farhadi ha fotografato esattamente la realtà della nostra società senza voler esprimere giudizi e offrendo i diversi punti di vista dei diversi personaggi. Ma è davvero così? Si può fotografare un bel paesaggio con accanto una discarica ed escludere dalla foto la discarica? L'inquadratura che scegliamo non è già un modo di interpretare e quindi, anche, di giudicare la realtà? Ecco, secondo me Farhadi ha mostrato soltanto la discarica,la rovina della famiglia, delle relazioni umane, la sofferenza dei bambini e degli adulti, la lacerazione degli affetti, l'impossibilità a stabilirne altri duraturi, l'incomunicabilità. Tutte queste cose sono vere, ma non è vero che non esista una speranza, una via di uscita se non, verrebbe fatto di pensare sebbene non sia detto esplicitamente, nel ritorno all'ordine della famiglia tradizionale, ammesso che ciò sia ancora possibile nella società occidentale.
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Molti dicono che Farhadi ha fotografato esattamente la realtà della nostra società senza voler esprimere giudizi e offrendo i diversi punti di vista dei diversi personaggi. Ma è davvero così? Si può fotografare un bel paesaggio con accanto una discarica ed escludere dalla foto la discarica? L'inquadratura che scegliamo non è già un modo di interpretare e quindi, anche, di giudicare la realtà? Ecco, secondo me Farhadi ha mostrato soltanto la discarica,la rovina della famiglia, delle relazioni umane, la sofferenza dei bambini e degli adulti, la lacerazione degli affetti, l'impossibilità a stabilirne altri duraturi, l'incomunicabilità. Tutte queste cose sono vere, ma non è vero che non esista una speranza, una via di uscita se non, verrebbe fatto di pensare sebbene non sia detto esplicitamente, nel ritorno all'ordine della famiglia tradizionale, ammesso che ciò sia ancora possibile nella società occidentale.
In questo film il futuro è prigioniero del passato e il passato non lascia scampo al futuro. Il bimbo nel ventre della protagonista femminile è già e sarà ancora prigioniero; l'uomo fedifrago che l'ha amata e l'ama è imprigionato nella mano della moglie tradita, suicida, stesa su un letto d'ospedale in stato vegetativo. Il passato non può rinverdire, eppure si chiude come una morsa, con le armi più tradizionali, la colpa, il rimorso, la paura, e soffoca ogni speranza.
La scena finale mi ha impressionato, mi ha fatto capire quanto vi sia di grottesco, persino melodrammatico, quindi non realistico ma soggettivo, parziale, nella visione che Farhadi ci offre. Una lacrima che scende sulla guancia di una donna in stato vegetativo, il volto sempre gonfio di lacrime di Lucy adolescente che non può accettare - comprensibilmente - una famiglia "aperta", perfino le lacrime che gonfiano il volto del giovane marito fedifrago a causa di un'allergia alla vernice certamente simbolica: ma quante lacrime! Troppe!
E che dire della protagonista femminile? Isterica, pasticciona, persino violenta,inconsciamente sembra abbia solo voglia di tornare a farsi guidare da Ahmed - per esempio quando ripete le sue parole al nuovo compagno riguardo al rischio di lasciare i documenti in macchina: "E' un po' pericoloso..." Davvero Ahmed è l'unico personaggio adulto simpatico, positivo. Lei non riesce a vivere con nessuno per più di qualche anno. Ma davvero vogliamo abbracciare una visione delle cose così pessimistica e tradizionalista? Viva la libertà, viva il disordine! Qualunque prezzo abbia, viva la scelta personale, che si continui a correre il rischio di sbagliare! Quella famiglia che è stata ormai scardinata era comunque oppressione e dolore.
Un film diversissimo, che affronta temi in parte diversi in parte analoghi, ma lo fa col canto il sole e la speranza, con la fiducia nell'amore e nel perdono, cioè la fiducia che si può rimediare agli sbagli, che le ferite si possono rimarginare e le persone possono maturare e cambiare in meglio, è "Una piccola impresa meridionale" di Papalardo. Sicuramente come stile è meno bello, eppure lo preferisco e canto con quella prostituta slovacca la mia ribellione ai tentativi di imprigionarci di nuovo nel passato
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kaipy
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giovedì 26 dicembre 2013
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dimmi la verità
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Dall'Iran giunge Ahmad, deve firmare i documenti del divorzio. Fin da subito le cose si complicano. A casa di Marie c'è il figlio dell'amante, un algerino con cui Marie intende costruire il suo prossimo futuro. Purtroppo la figlia è ostile al rapporto. Ahmad cercherà di conoscere i motivi che spingono la ragazza a rifiutare l'amante della madre. E, lentamente... Uno dopo l'altro i segreti escono allo scoperto. La verità può far male, ferire gli altri, e costringerci a vivere con il senso di colpa, ma è la verità e nulla sembra più importante, alla fine, che fare chiarezza.
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Dall'Iran giunge Ahmad, deve firmare i documenti del divorzio. Fin da subito le cose si complicano. A casa di Marie c'è il figlio dell'amante, un algerino con cui Marie intende costruire il suo prossimo futuro. Purtroppo la figlia è ostile al rapporto. Ahmad cercherà di conoscere i motivi che spingono la ragazza a rifiutare l'amante della madre. E, lentamente... Uno dopo l'altro i segreti escono allo scoperto. La verità può far male, ferire gli altri, e costringerci a vivere con il senso di colpa, ma è la verità e nulla sembra più importante, alla fine, che fare chiarezza. Non importa a cosa dovremo rinunciare, la verità, solo, può renderci liberi nell'anima
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siebenzwerg
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giovedì 12 dicembre 2013
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sapientemente inconcluso
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È un film in cui ci si perde, nel senso che sembra fatto per smarrirsi, anche perché dura a lungo e le versioni della storia cambiano nel corso dello svolgimento. Ma conoscendo il regista credo che sia proprio il risultato voluto. Per chi ha conosciuto "Una separazione", il suo film precedente, questo risulta meno compatto e apparentemente più dispersivo. Ci sono più personaggi, con più vicende e soprattutto storie di cui non si conosce mai tutto, fino alla fine, e quello che si viene a sapere si scopre poco alla volta. Una scelta rischiosa e coraggiosa, con personaggi dai toni cangianti, anche se ognuno col suo carattere, che lavorano sotterraneamente per costruire un quadro umano di complessità e incertezza.
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È un film in cui ci si perde, nel senso che sembra fatto per smarrirsi, anche perché dura a lungo e le versioni della storia cambiano nel corso dello svolgimento. Ma conoscendo il regista credo che sia proprio il risultato voluto. Per chi ha conosciuto "Una separazione", il suo film precedente, questo risulta meno compatto e apparentemente più dispersivo. Ci sono più personaggi, con più vicende e soprattutto storie di cui non si conosce mai tutto, fino alla fine, e quello che si viene a sapere si scopre poco alla volta. Una scelta rischiosa e coraggiosa, con personaggi dai toni cangianti, anche se ognuno col suo carattere, che lavorano sotterraneamente per costruire un quadro umano di complessità e incertezza. Mi sento di dire che un film così poco immediato può funzionare solo per la bravura della protagonista, Berenice Bejo, che si conferma attrice dotata come poche. Senza togliere niente agli altri, compresi i ragazzini prodigiosi, con un'interprete meno straordinaria di lei il film non avrebbe retto la metà del tempo. Anche solo per questo è da vedere.
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zoom e controzoom
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lunedì 9 dicembre 2013
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eccesso di materiale non fluido
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Mentre in “una separazione” la struttura del film era più complessa di quel che ad una prima lettura poteva apparire, ma dove tutto era calibrato e fluido nella successione, in questo film Farhadi, inserisce troppe figure se non improbabili, molto fragili nell’economia del discorso. La tematica di base – quella dell’inutilità di fuggire davanti alle problematiche anzichè affrontarle in una consapevole risoluzione – è certamente interessante, ma è come ogni singolo personaggio sia costruito con contorsioni che sembra vogliano solamente rendere più lungo il film piuttosto che dargli uno svolgimento plausibile.
Troppo “carta velina” il marito di Marie, Ahmad, che appare un fantoccio più che un uomo saggio; troppo “passivo” con momenti bruschi da isteria interiorizzata, il nuovo compagno di Marie.
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Mentre in “una separazione” la struttura del film era più complessa di quel che ad una prima lettura poteva apparire, ma dove tutto era calibrato e fluido nella successione, in questo film Farhadi, inserisce troppe figure se non improbabili, molto fragili nell’economia del discorso. La tematica di base – quella dell’inutilità di fuggire davanti alle problematiche anzichè affrontarle in una consapevole risoluzione – è certamente interessante, ma è come ogni singolo personaggio sia costruito con contorsioni che sembra vogliano solamente rendere più lungo il film piuttosto che dargli uno svolgimento plausibile.
Troppo “carta velina” il marito di Marie, Ahmad, che appare un fantoccio più che un uomo saggio; troppo “passivo” con momenti bruschi da isteria interiorizzata, il nuovo compagno di Marie. Troppo immatura Marie stessa che non solo non sa quello che vuole e come lo vuole, ma ha reazioni infantili racchiuse in fattezze fisiche che non giustificano – se così a volte è – tali atteggiamenti capricciosi che non sono poi altro che una richiesta d’aiuto. Troppo contorta con la perversione della contorsione della costanza, la figlia Lucie che a volte fa pensare d’essere giustificato da una morbosità di rapporti tra lei ed il nuovo compagno della madre, cosa che poi non c’è. Certo, il passato ha stratificato e non dipanato le problematiche, ma il tutto ci viene presentato in eccesso tranne il piccolo miracolo di possibile verità splendidamente interpretato dal piccolo Fouad, splendido interprete con una grande espressività fisica (dato che è doppiato non si può certo valutarne le capacità della recitazione).
Tanto era commovente Una Separazione”, tanto fastidio lascia questo film che sfiora verso la fine, il noir in quello svelamento della colpevole del dramma consumatosi nei confronti della moglie del compagno di Marie.., senza però averne il senso. Tutto troppo, eccessivo ed alla fine confuso quel tanto per sentirsi poco partecipi ed infastiditi da questa famiglia allargata che vive di sé in un coacervo di situazioni non dipanate che fanno pensare che certe persone le sfighe se le vanno a procurare..
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nino pell.
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domenica 8 dicembre 2013
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le conseguenze dei grandi
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Un film d'autore di notevole spessore. Esso ci fa riflettere di come spesso, nell'ambito di un nucleo familiare, le conseguenze di certi comportamenti dei grandi si riflettono sulla fragilità psicologica e sull'esigenza nella stabilità degli affetti da parte dei figli. Ma non dico oltre per non togliere la sorpresa. Una sorta di film dall'acuta vena neorealistica che consiglio di non perdere.
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filippo catani
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domenica 8 dicembre 2013
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la forza preopotente del passato
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Una donna riesce a rivedere l'ex marito iraniano dopo quattro anni per fargli firmare il divorzio. La donna infatti ha intrecciato una nuova relazione ma tutti i protagonisti dovranno fare i conti con il loro passato.
Tante carne al fuoco per l'ottimo film del regista Farhadi che ci aveva già tutti stregati con Una separazione. Ecco si può dire che anche questa pellicola riflette su questo tema riuscendo a ricostruire la complessa psiche dei personaggi protagonisti che sono tutti segnati da una o più separazioni. Da una parte c'è una donna che ha già avuto due figlie con il primo marito poi si è risposata e ora è rimasta nuovamente incinta. Troviamo poi il suo attuale compagno dilaniato dai sensi di colpa e dall'amore che ancora prova per la moglie in coma per aver tentato il suicidio.
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Una donna riesce a rivedere l'ex marito iraniano dopo quattro anni per fargli firmare il divorzio. La donna infatti ha intrecciato una nuova relazione ma tutti i protagonisti dovranno fare i conti con il loro passato.
Tante carne al fuoco per l'ottimo film del regista Farhadi che ci aveva già tutti stregati con Una separazione. Ecco si può dire che anche questa pellicola riflette su questo tema riuscendo a ricostruire la complessa psiche dei personaggi protagonisti che sono tutti segnati da una o più separazioni. Da una parte c'è una donna che ha già avuto due figlie con il primo marito poi si è risposata e ora è rimasta nuovamente incinta. Troviamo poi il suo attuale compagno dilaniato dai sensi di colpa e dall'amore che ancora prova per la moglie in coma per aver tentato il suicidio. Quindi poi troviamo il secondo marito anche lui alle prese con un passato non facile. Se gli adulti non riescono a fare i conti con i propri sentimenti sono i bambini e i figli a pagarne le conseguenze più dirette e forti. Specialmente la figlia maggiore non riesce ad accettare la nuova storia della madre e farà di tutto per cercare di metterle i bastoni tra le ruote. C'è poi il figlio dell'attuale fidanzato della madre che non si è ancora ripreso dai tragici avvenimenti che hanno sconvolto il suo piccolo e meraviglioso universo familiare. Insomma un film complesso che, prendendo a prestito la frase di lancio del trailer, si può davvero definire come un thriller dei sentimenti. In tutto questo brilla la stella della bravissima Bejo alle prese con un ruolo intenso quanto difficile e che è stata giustamente premiata. Va detto però che tutto il cast al completo merita una menzione speciale. Ancora una volta quindi Farhadi si candida come possibile protagonista della notte degli Oscar nella sezione che speriamo potrebbe contenere anche la Grande Bellezza. Certo vedendo la raffinatezza di un prodotto come questo aumentano i rimpianti per una cinematografia italiana che solo raramente riesce più a spingersi verso queste vette.
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uppercut
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venerdì 6 dicembre 2013
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incancellabile
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Bellissimo dal titolo al finale:
la scritta "Il passato" su cui passa e ripassa un tergicristalli impossibilitato a cancellarne la presenza;
i titoli di coda sull'immagine di due mani che resistono a ogni dissolvenza a nero.
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