ennas
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martedì 26 novembre 2013
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il passato e la colpa
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
Marie spera che Ahmad riesca ad avere uno scambio con la figlia : è molto attaccata a lui anche
se non è sua figlia. Marie infatti ha avuto due figlie da una unione precedente il matrimonio con Ahmad.
Al loro arrivo a casa, insieme alla seconda figlia di Marie, Ahmad trova un bambino che non conosce: è Fouad il figlio di Samir il nuovo amore di Marie, un amore col quale la donna progetta di vivere dopo il divorzio e come sapremo in seguito, aspetta un figlio da lui. La madre del piccolo Fouad, moglie di Samir è in coma dopo un tentato suicidio.
La casa stessa, in cui sono girate gran parte delle riprese del film, ci comunica un messaggio caotico che allude scenograficamente alla vita dei personaggi, spazi stracolmi e lavori in corso danno un senso di provvisorietà e disordine.
E’ il ritratto di una famiglia allargata quello che il regista ci mette in scena fin dall’inizio : unioni fallite e nuovi incontri che costringono i soggetti coinvolti a vivere le contraddizioni delle loro mutate condizioni di esistenza. Questo è, a mio avviso, il nucleo centrale del film e il suo filo d’Arianna non è solamente il passato dei protagonisti, bensì il senso di colpa alimentato dalle perdite e dalle aspettative frustrate di ciascuno nei confronti dell’altro.
Sono ottimi gli attori, magistralmente diretti da una regia che vuole rendere palesi le sfumature umane e psicologiche dei personaggi e ci riesce egregiamente. Pur con questi presupposti di grande cinema di altissimo livello, il clima del film è opprimente: nessun sottofondo musicale scandisce i passaggi e i dialoghi del film. Il regista ha voluto, a mio parere, non solo evitare il melò,
ma rimarcare questa atmosfera di oppressione: il senso di colpa è oppressivo per antonomasia.
I suoi personaggi se lo “passano” vicendevolmente come un virus : è troppo duro da reggere,è
meno pesante andare a caccia di motivi, meglio se fuori dal proprio io.
Il finale del film che ci presenta un “non concluso” altamente drammatico, aperto alla sensibilità interpretativa dello spettatore, enfatizza all’estremo questo sentimento di colpevolezza cosmica, quasi da “peccato originale”.
Nessuno dei personaggi del film è escluso da questo meccanismo , nemmeno il più apparentemente razionale e conciliante Ahmad. Ognuno si ritrova, sembra suggerirci la regia, a fare i conti non tanto e solo con il passato ma con gli effetti che il proprio agire, le proprie scelte hanno anche sulla vita degli altri oltre che sulla propria.
La regia riesce a far esprimere efficacemente ai suoi personaggi anche il “non detto” dei dialoghi,il disagio della loro labirintica esistenza.
Nuovamente per questo regista, una prova di grande cinema di qualità, assolutamente da vedere.
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[+] il passato che non passa mai...
(di antonio montefalcone)
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ennas
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martedì 26 novembre 2013
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il passato e la colpa
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
Marie spera che Ahmad riesca ad avere uno scambio con la figlia : è molto attaccata a lui anche
se non è sua figlia. Marie infatti ha avuto due figlie da una unione precedente il matrimonio con Ahmad.
Al loro arrivo a casa, insieme alla seconda figlia di Marie, Ahmad trova un bambino che non conosce: è Fouad il figlio di Samir il nuovo amore di Marie, un amore col quale la donna progetta di vivere dopo il divorzio e come sapremo in seguito, aspetta un figlio da lui. La madre del piccolo Fouad, moglie di Samir è in coma dopo un tentato suicidio.
La casa stessa, in cui sono girate gran parte delle riprese del film, ci comunica un messaggio caotico che allude scenograficamente alla vita dei personaggi, spazi stracolmi e lavori in corso danno un senso di provvisorietà e disordine.
E’ il ritratto di una famiglia allargata quello che il regista ci mette in scena fin dall’inizio : unioni fallite e nuovi incontri che costringono i soggetti coinvolti a vivere le contraddizioni delle loro mutate condizioni di esistenza. Questo è, a mio avviso, il nucleo centrale del film e il suo filo d’Arianna non è solamente il passato dei protagonisti, bensì il senso di colpa alimentato dalle perdite e dalle aspettative frustrate di ciascuno nei confronti dell’altro.
Sono ottimi gli attori, magistralmente diretti da una regia che vuole rendere palesi le sfumature umane e psicologiche dei personaggi e ci riesce egregiamente. Pur con questi presupposti di grande cinema di altissimo livello, il clima del film è opprimente: nessun sottofondo musicale scandisce i passaggi e i dialoghi del film. Il regista ha voluto, a mio parere, non solo evitare il melò,
ma rimarcare questa atmosfera di oppressione: il senso di colpa è oppressivo per antonomasia.
I suoi personaggi se lo “passano” vicendevolmente come un virus : è troppo duro da reggere,è
meno pesante andare a caccia di motivi, meglio se fuori dal proprio io.
Il finale del film che ci presenta un “non concluso” altamente drammatico, aperto alla sensibilità interpretativa dello spettatore, enfatizza all’estremo questo sentimento di colpevolezza cosmica, quasi da “peccato originale”.
Nessuno dei personaggi del film è escluso da questo meccanismo , nemmeno il più apparentemente razionale e conciliante Ahmad. Ognuno si ritrova, sembra suggerirci la regia, a fare i conti non tanto e solo con il passato ma con gli effetti che il proprio agire, le proprie scelte hanno anche sulla vita degli altri oltre che sulla propria.
La regia riesce a far esprimere efficacemente ai suoi personaggi anche il “non detto” dei dialoghi,il disagio della loro labirintica esistenza.
Nuovamente per questo regista, una prova di grande cinema di qualità, assolutamente da vedere.
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catcarlo
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martedì 26 novembre 2013
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il passato
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Il passato non vuol passare, specie se ci si ostina a non farci i conti: una considerazione all’apparenza banale (ma troppe volte ignorata) attorno alla quale si snoda il nuovo film del regista iraniano Fahradi che dà un nuovo saggio della sua bravura nel disegnare – e analizzare – la quotidianità delle dinamiche di relazione in un piccolo gruppo di personaggi. Ahmad torna da Teheran in Francia per siglare il divorzio da Marie e si trova coinvolto negli squilibri originati dalla nuova relazione della donna con il maghrebino Samir: a essa è apertamente ostile la di lei figlia adolescente Lucie, nata da una precedente relazione ma che vede in Ahmad una figura paterna, mentre il piccolo Fouad vive con difficoltà il rapporto del padre con Marie anche perchè sua mamma – cioè Céline, la moglie di Samir – è in coma dopo un tentato suicidio.
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Il passato non vuol passare, specie se ci si ostina a non farci i conti: una considerazione all’apparenza banale (ma troppe volte ignorata) attorno alla quale si snoda il nuovo film del regista iraniano Fahradi che dà un nuovo saggio della sua bravura nel disegnare – e analizzare – la quotidianità delle dinamiche di relazione in un piccolo gruppo di personaggi. Ahmad torna da Teheran in Francia per siglare il divorzio da Marie e si trova coinvolto negli squilibri originati dalla nuova relazione della donna con il maghrebino Samir: a essa è apertamente ostile la di lei figlia adolescente Lucie, nata da una precedente relazione ma che vede in Ahmad una figura paterna, mentre il piccolo Fouad vive con difficoltà il rapporto del padre con Marie anche perchè sua mamma – cioè Céline, la moglie di Samir – è in coma dopo un tentato suicidio. Ahmad, la cui relazione con Marie ha avuto risvolti dolorosi, può provare a ricucire la situazione da un punto di vista almeno in parte esterno: il vetro che, all’inizio, lo divide simbolicamente da lei, un po’ si incrina, anche se non si può dire che, alla fine, la situazione sia di tanto migliorata rispetto a quella di partenza: se, da una parte, madre e figlia si riavvicinano, dall’altra i sensi di colpa di Samir si ingigantiscono. Il film finisce su una nota di sospensione, lasciando all’immaginazione dello spettatore i possibili sviluppi di queste esistenze arruffate che ben si riflettono nel perenne disordine delle case in cui vengono vissute: (non) conclusione di un dramma sulla capacità o meno di vedere i propri sbagli e accettarne le responsabilità. Ogni personaggio ha il suo carico irrisolto originato da azioni o omissioni, ma lo sguardo del regista non parteggia per nessuno perché nulla, nella vita di tutti i giorni, è solo nero o solo bianco e ogni essere umano può diventare sgradevole in determinati momenti o condizioni. Chi ha visto ‘Una separazione’ riconoscerà immediatamente questi temi e il modo di trattarli: la sensibilità è la stessa, solo l’ambientazione è del tutto diversa, visto che questa coproduzione franco-italiana è ambientata in una periferia urbana assai spesso piovosa che finisce, però, per raffreddare la temperatura emotiva. Non che scarseggino i momenti di grande intensità, solo che Fahradi non riesce qui a mantenere sempre la tensione nel perfetto equilibrio che contraddistingueva la pellicola di due anni fa: all’impeccabile impronta visiva e ritmica della prima parte, fa seguito una seconda metà più sfilacciata e meno corale, con un cambio di prospettiva che la incentra sulla ricerca delle motivazioni del tentato suicidio da parte di Céline. Qui la figura centrale è Samir, mentre Ahmad in pratica sparisce: la staffetta nella storia è analoga a quella nella vita di Marie che è, ovviamente, il fulcro di tutto: una figura di donna problematica e insoddisfatta, alla perenne ricerca di un completamento che non arriva mai. Più ombre che luci, quindi, anche perché, per lunghi momenti, dà più l’impressione di essere in sintonia con Ahmad di quanto non sia innamorata di Samir (la relazione sembra poco profonda, malgrado il figlio in arrivo – sempre che quest’ultimo ci sia, viene a volte da pensare): così, per una volta, sono gli uomini a fare una figura migliore – o, meglio, meno peggiore. Se sulla costruzione della storia si può lamentare qualche imperfezione, è invece inattaccabile la qualità della messa in immagini: Fahradi conferma la grande capacità di direzione degli attori riuscendo a ottenere il massimo da un’occhiata o da un’espressione e lavorando in maniera mirabile anche con i bambini (oltre a quelli citati, c’è anche Léa, sorella piccola di Lucie) che ancora una volta risultano molto importanti nell’economia complessiva. Il cast lo asseconda alla perfezione, con menzione speciale per la sempre incantevole Bérénice Bejo che riesce a calarsi con grande partecipazione nell’interpretazione di un personaggio non facile e antipatico la sua parte, destinato in origine a Marion Cotillard, che le ha fatto vincere con merito il premio di miglior attrice a Cannes. Al tirar delle somme, ‘Il passato’ non è ‘Una separazione’ – e, in fondo, era assurdo pretendere che lo fosse – ma è comunque un ottimo lavoro che si fa strada nell’animo dello spettatore facendovi germogliare un certo numero di domande scomode.
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diomede917
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martedì 26 novembre 2013
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gli effetti domino del dolore
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CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: IL PASSATO
Ashgar Farhadi si sta specializzando un regista di Thriller interiori……di quei tormenti sopiti pronti ad esplodere come un colpo di scena che trasformeranno per sempre la vita dei suoi protagonisti.
Lo è stato About Elly, lo è stato Una separazione lo è ancora di più questa sua trasferta francese Il Passato.
Al centro, come il film precedente, c’è l’ufficializzazione della fine di un matrimonio……un marito che arriva dall’Iran apposta per firmare l’atto e una moglie pronta a rifarsi la vita con un nuovo compagno e il figlio di lui….
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CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: IL PASSATO
Ashgar Farhadi si sta specializzando un regista di Thriller interiori……di quei tormenti sopiti pronti ad esplodere come un colpo di scena che trasformeranno per sempre la vita dei suoi protagonisti.
Lo è stato About Elly, lo è stato Una separazione lo è ancora di più questa sua trasferta francese Il Passato.
Al centro, come il film precedente, c’è l’ufficializzazione della fine di un matrimonio……un marito che arriva dall’Iran apposta per firmare l’atto e una moglie pronta a rifarsi la vita con un nuovo compagno e il figlio di lui…..questa situazione iniziale crea scompiglio e tormento nella figlia maggiore avuta da una precedente unione……un malessere interiore che sarà causa scatenante dell’affiorare dei segreti e bugie su cui si regge il precario equilibrio emotivo dei protagonisti del film.
Il film procede lentamente ambientato in una Francia plumbea sempre piovosa quasi a dimostrare un nesso tra le nuvole nere in cielo e quelle dell’anima…….gli attori vivono in una casa in via di ricostruzione con una vernice che ti brucia gli occhi e porte scrostate chiaro segno di una fase in evoluzione ma sicuramente molto labile…….
Poi all’improvviso scoppia tutto, la ricerca di capire cosa ci sia dietro il suicidio della moglie del nuovo uomo della protagonista provoca una sorta di effetto domino sentimentale che coinvolgerà tutti i protagonisti della storia mettendoli davanti ai propri doveri, paura e responsabilità.
Ashgar Farhadi sceglie un cast ad hoc per rappresentare questo dramma Berenice Bejo (premiata a Cannes per l’interpretazione) ha una fisicità di perfetta donna della periferia limando la sua bellezza a favore della sua sofferenza come si può vedere nella scena molto fisica del conflitto con la figlia…..anche Tahar Rahin e Ali Mossafa si ritagliano il loro spazio in un’interpretazione in levare quasi a voler reprimere il proprio dolore……
Ma la vera fortuna del regista sono i due giovani attori che interpretano Lucie e Fuad che con i loro occhi ci trasmettono tutto il loro malessere che questa situazione al limite del paradossale li espone…..sfoghi, pianti, urla ma anche rumorosi silenzi coinvolgono lo spettatore a questo autentico drammone…..
Ciò che limita Il passato a essere “solo” un bel film e non un grandissimo film (come la Vita di Adele) è quella strana sensazione che alcune situazioni siano un po’ troppo studiate a tavolino…..forse per colpa della mia aspettativa……ma mi è mancato il colpo d’ala del regista che rimedia con l’intenso e bellissimo ultimo fotogramma su cui partono i titoli di coda
Voto 7,25
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theophilus
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martedì 26 novembre 2013
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non esistono fatti, ma solo interpretazioni...
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LE PASSÉ
Prima ancora che come film – senza dubbio riuscito e incalzante – Le passé può essere visto con il filtro di una considerazione filosofica sul senso, la potenzialità e l’inafferrabilità del tempo.
Sin dall’inizio della storia, girata dal regista iraniano Asghar Farhadi (About Elly, Una separazione), si può intuire il clima di ambiguità e d’instabilità che non solo non cesserà mai, ma continuerà a crescere fino alla fine, a tutti gli effetti un nulla di fatto.
Possiamo cogliere subito una nascosta capacità d’intesa fra Marie e Ahmad - perfetti nelle loro parti Bérénice Bejo e Ali Mosaffa. I due, però, non riescono a vederla, perdendo quella che è probabilmente l’ultima possibilità loro concessa.
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LE PASSÉ
Prima ancora che come film – senza dubbio riuscito e incalzante – Le passé può essere visto con il filtro di una considerazione filosofica sul senso, la potenzialità e l’inafferrabilità del tempo.
Sin dall’inizio della storia, girata dal regista iraniano Asghar Farhadi (About Elly, Una separazione), si può intuire il clima di ambiguità e d’instabilità che non solo non cesserà mai, ma continuerà a crescere fino alla fine, a tutti gli effetti un nulla di fatto.
Possiamo cogliere subito una nascosta capacità d’intesa fra Marie e Ahmad - perfetti nelle loro parti Bérénice Bejo e Ali Mosaffa. I due, però, non riescono a vederla, perdendo quella che è probabilmente l’ultima possibilità loro concessa. Separati da un vetro che annulla il suono delle loro parole, l’uomo e la donna sembrano capirsi perfettamente. Noi non sentiamo nulla, loro non sentono nulla. Poco dopo, però, si ritrovano entrambi fuori dell’aeroporto di Parigi dove Marie è andata a prendere Ahmad, momentaneamente rientrato in Francia dall’Iran. Il giorno dopo dovranno trovarsi davanti ad un giudice per dare seguito al loro proposito di divorziare.
Il passato non si cancella. E non lo si può fare - sembra affermare il film - perché non si conosce. Per quanto i protagonisti sperino di andare avanti, sono costretti a rivolgersi perennemente a quanto si trova dietro le loro spalle. Il passato è sfaccettato, pieni di punti oscuri, mai risolto, ti rincorre. È un conto che non puoi chiudere. È un’eterna e irresolubile fatica di Sisifo. Probabilmente è questa la generale sostanza di cui sono fatti i rapporti umani e, per quanto indaghiamo e ci sforziamo, non ne veniamo a capo.
Ahmad, persona lucida, pacata e razionale affronta e analizza momento per momento quello che sta accadendo a lui, a Marie e a tutti gli altri protagonisti della storia. Ma non risolverà nulla. Né gli altri lo potranno. Ognuno resterà incasellato in un’incognita spazio temporale, un futuro non preventivabile, un ritorno ad un passato di cui resteranno oscuri gli aspetti, un presente destinato a ripetersi sempre uguale.
Inutile elencare tutto il reticolato di sentimenti, fatti, ipotesi e mancata realizzazione di desideri, peraltro mai chiari. Il film è drammatico. Tiene avvinta la platea come un poliziesco. Lascia aperta la porta ad ogni possibile scenario, ovvero a nessuno.
Se questi sono i suoi notevoli pregi, celano, però, l’insidia dell’artificio. L’ambientazione, gli avvenimenti e i personaggi di Le passé sono quanto di più concreto ci si possa immaginare. Non c’è alcuna fumisteria intellettualistica che possa far storcere il naso. Ma, a lungo andare, la mano del regista e dello sceneggiatore fa sentire in modo pesante il suo intervento. Quello che potrebbe assomigliare ad un esperimento neorealistico, rischia talora di apparire cervellotico, cerebrale, artificioso. La mutabilità d’intreccio di avvenimenti che prendono di continuo strade diverse e sfuggenti, illuminate come sono di sbieco, non appare sempre convincente e riuscita. Il tentativo di tenere insieme il dramma esistenziale e le esigenze narrative a volte non raggiunge l’esatto punto di fusione. Il cinema è arte. Arte e artificio hanno la medesima derivazione semantica. Ma l’artificio, come il trucco nelle donne, non si deve notare, altrimenti perde d’efficacia.
Enzo Vignoli
25 novembre 2013
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robertoredsox
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lunedì 25 novembre 2013
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drammi familiari. tradimento? brutta cosa.
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Una storia intrecciata. Una donna che continua a cambiare uomini. Figli traumatizzati. Un divorzio da firmare. Una nuova relazione appesantita da dolorosi sensi di colpa che incidono in maniera trasversale su tutti i protagonisti del film. La trama c'è tutta e gli attori si dimostrano capaci di rendere coi loro volti il clima di tristezza e tensione che aleggia sulle loro sgangherate vite. Vite segnate da un gesto estremo di una protagonista che nel suo ruolo così "assente" si rivela tristemente forte e presente nel finale. Molto lenti alcuni passaggi che servono solo a far passare il tempo e a consumare pellicola. La nuova avventura cinematografica dell'iraniano Asghar Farhadi, premio Oscar per il film "Una separazione", non gli porterà nessun Oscar in questa occasione.
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Una storia intrecciata. Una donna che continua a cambiare uomini. Figli traumatizzati. Un divorzio da firmare. Una nuova relazione appesantita da dolorosi sensi di colpa che incidono in maniera trasversale su tutti i protagonisti del film. La trama c'è tutta e gli attori si dimostrano capaci di rendere coi loro volti il clima di tristezza e tensione che aleggia sulle loro sgangherate vite. Vite segnate da un gesto estremo di una protagonista che nel suo ruolo così "assente" si rivela tristemente forte e presente nel finale. Molto lenti alcuni passaggi che servono solo a far passare il tempo e a consumare pellicola. La nuova avventura cinematografica dell'iraniano Asghar Farhadi, premio Oscar per il film "Una separazione", non gli porterà nessun Oscar in questa occasione. Consigliabile? Ni.
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mammut
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lunedì 25 novembre 2013
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spettacolare
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tutto ottimo. E' un regista coi fiocchi
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melania
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domenica 24 novembre 2013
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poco convincente....
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A mio parere decisamente inferiore a "Una separazione",film che è uno spaccato di vita iraniana e che mi è piaciuto moltissimo."Il passato" non è male ma c'è qualcosa di poco convincente,forse perchè sembra molto costruito,fatto un po' "a tavolino".Peccato,mi aspettavo qualcosa di più.
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mikomik
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domenica 24 novembre 2013
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film sopravalutato
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Il film resta decisamente di scarsa qualità. E' un melodramma fastidioso e poco convincente, con situazioni difficilmente credibili e personaggi stereotipati di poco spessore. la critica sul programma del Lumière che paragona il cinema del regista Asghar Farhadi a quello di Bergman e/o di Hitchcock è veramente abusiva e ingiustificata.
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linus2k
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domenica 24 novembre 2013
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il thriller dell'anima
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Attendevo con trepidazione "Il passato", la nuova avventura cinematografica dell'iraniano Asghar Farhadi, premio Oscar per il film "Una separazione".
Nei suoi due film precedenti mi aveva conquistato il suo sguardo asciutto, profondo e arguto e la perfetta conoscenza dei tempi cinematografici.
"Il passato", primo film girato fuori dai confini persiani, con un cast internazionale con una meravigliosa Bérénice Béjo (candidata all'Oscar come miglior attrice non protagonista per "The Artist"), mi conferma in pieno le ottime sensazioni delle precedenti opere.
Tutto nel film funziona alla grande: regia, fotografia, sceneggiatura, attori e la sensazione è davvero di assistere ad una prova di Grande Cinema come raramente si può vedere nelle sale ultimamente.
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Attendevo con trepidazione "Il passato", la nuova avventura cinematografica dell'iraniano Asghar Farhadi, premio Oscar per il film "Una separazione".
Nei suoi due film precedenti mi aveva conquistato il suo sguardo asciutto, profondo e arguto e la perfetta conoscenza dei tempi cinematografici.
"Il passato", primo film girato fuori dai confini persiani, con un cast internazionale con una meravigliosa Bérénice Béjo (candidata all'Oscar come miglior attrice non protagonista per "The Artist"), mi conferma in pieno le ottime sensazioni delle precedenti opere.
Tutto nel film funziona alla grande: regia, fotografia, sceneggiatura, attori e la sensazione è davvero di assistere ad una prova di Grande Cinema come raramente si può vedere nelle sale ultimamente. Il regista ha saputo dosare la giusta leggerezza nella scrittura evita l'effetto melò, la suspance in dosi sempre maggiori con repentini e continui colpi di scena, l'attenzione alla veridicità delle reazioni (complici degli attori assolutamente perfetti).
Ahmad atterra a Parigi dopo 4 anni dall'Iran per chiudere definitivamente il capitolo matrimoniale con la sua ex moglie Marie, pronta a risposarsi ed a cominciare una nuova vita. Ritroverà una situazione affettiva diversa, in crisi, schiacciata in non detti ed in reciproci sospetti ed accuse che rischiano di far esplodere la situazione.
Con un ritmo sempre più concitato, giocando con i colpi di scena, si apre un vero e proprio thriller emotivo sentimentale alla scoperta di quella verità di cui tutti i protagonisti del film sono portatori in parte; parte che, rimanendo all'oscuro del resto, genera pregiudizi, sospetti, rancori.
Con tatto e amorevole distacco, il film si dipana tra confessioni ed accuse con una perfezione narrativa tale da essere indotti di volta in volta come spettatori a rileggere la storia secondo i vari punti di vista, condordando con il protagonista di turno sulle accuse e sulla presunta verità, fino a scoprire poco dopo tasselli in più che ridisegnano dinamiche e responsabilità.
"Il passato" ha quasi la dimensione di un giallo con Ahmad che, con il dovuto distacco, cerca di indagare, mediare, favorire il dialogo.
L'aspetto interessante è come questa dimensione vada oltre il genere, l'indagare chi ha commesso cosa, ma in realtà va a svelare i vari protagonisti nelle loro debolezze, paure, nei loro rancori, il tutto senza reale condanna verso nessuno di loro, solo voglia di mostrare i percorsi emotivi che spingono una famiglia a scontrarsi, non capirsi e provare a confrontarsi.
Perché il passato può nascondere verità non dette che pesano come macigni e la loro scoperta può mostrare la strada più giusta (ma non necessariamente non dolorosa) verso il futuro.
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