Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia, Bosnia-Herzegovina |
Durata | 65 minuti |
Regia di | Elisabetta Lodoli |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 23 marzo 2014
Le storie di uomini e donne a cui é accaduto di vivere su differenti sponde durante la guerra in Jugoslavia, dal 1992 al 1995.
CONSIGLIATO SÌ
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Nella Bosnia di oggi, la regista Elisabetta Lodoli invita un gruppo di cittadini di origine serba, croata, mussulmana ed ebraica a ricordare gli anni della guerra, e in particolare l'assedio di Serajevo, durato dal '92 al '96, e il massacro di Srebenica. Gli intervistati appartengono quasi tutti al settore delle comunicazioni - giornalisti, fotografi, addetti alle pubbliche relazioni - e molti si esprimono in inglese, soprattutto i giovani, che erano bambini ai tempi della guerra.
A poco a poco si ricompone il puzzle delle identità etniche all'origine della nazione yugoslava e poi scardinata dal conflitto, quando si è scelto - uno degli intervistati parla chiaramente di "scelta politica" - di esacerbare le differenze per creare divisioni territoriali utili all'espansione di alcuni a danno di altri e giustificare un genocidio ancora oggi negato dai suoi perpetuatori e da una parte della comunità internazionale.
Attraverso i racconti di chi ha vissuto quel periodo sulla propria pelle, e che ancora oggi ne paga le conseguenze, emerge il desiderio di sopravvivenza, la necessità di ricordare di fronte all'imperativo di rimuovere una memoria troppo scomoda o troppo dolorosa, il bisogno di ristabilire la verità storica, la reazione di odio e di rabbia ma anche la necessità di trovare la strada del perdono, ricostruire un dialogo e riedificare i ponti distrutti (anche fisicamente) durante il conflitto.
Lodoli mantiene una distanza discreta e pudica, senza mai interferire nel racconto dei testimoni, intervallando alle interviste le immagini della Bosnia di ieri e di oggi, tornando laddove possibile nei luoghi descritti dagli intervistati, mostrando tanto la bellezza quanto la devastazione bellica di un paese tormentato.
Quel che più colpisce è la compostezza dignitosa con cui i testimoni raccontano la Storia e il modo in cui ha sconvolto le loro vite, e la tristezza nello sguardo di tutti, soprattutto gli uomini sopravvissuti ai campi di prigionia che tengono lo sguardo basso e lontano, come se non riuscissero a guardare in faccia il presente e a dimenticare l'orrore e la vergogna del passato.
Senza retorica e senza sentimentalismi, Lodoli si mette sulle tracce di un pugno di vite travolte dagli eventi e calpestate dalla brutalità di chi aveva abdicato alla propria umanità, e si concentra su quanti hanno lottato e lottano "per fare qualcosa di bello e di artistico e sopravvivere al quotidiano". Opponendosi a chi, ancora oggi, vorrebbe fare della Bosnia un paese monoetnico invece che un mosaico multietnico.