writer58
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domenica 20 febbraio 2011
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non è un western...
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I fratelli Cohen sono maestri nel decontestualizzare i generi e nell'attraversarli col loro sguardo che ne altera e disordina gli stilemi. L'hanno fatto con "Fargo", thriller atipico e stralunato, con "Barton Fink", che mescola in modo potente la commedia e l'horror, con "Non è un paese per vecchi", noir violento e insieme apologo morale, solo per citare alcune delle loro produzioni.
Anche in questo ultimo lavoro, "Il grinta" (che onestamente non mi è parso tra le loro migliori proposte), l'ambientazione western costituisce solo lo scenario, l'involucro della narrazione. Mancano l'epopea western, le simbologie, i miti che hanno caratterizzato il genere.
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I fratelli Cohen sono maestri nel decontestualizzare i generi e nell'attraversarli col loro sguardo che ne altera e disordina gli stilemi. L'hanno fatto con "Fargo", thriller atipico e stralunato, con "Barton Fink", che mescola in modo potente la commedia e l'horror, con "Non è un paese per vecchi", noir violento e insieme apologo morale, solo per citare alcune delle loro produzioni.
Anche in questo ultimo lavoro, "Il grinta" (che onestamente non mi è parso tra le loro migliori proposte), l'ambientazione western costituisce solo lo scenario, l'involucro della narrazione. Mancano l'epopea western, le simbologie, i miti che hanno caratterizzato il genere.
Innanzi tutto, la protagonista è una ragazza di 14 anni che va alla ricerca dell'assassino del padre. Ha una determinazione ferrea e una lucidità da adulta. Riesce a imporsi persino allo sceriffo Rooster Cogburn (un ottimo Bridges) e a convincerlo a mettersi sulle tracce dell'assassino. Le scene di azione sono secondarie rispetto ai dialoghi e alla caratterizzazione dei personaggi. I personaggi appaiono a volte "fuori fuoco", per nulla sterotipi, in quaslche caso goffi e verosimili nelle loro Imperfezioni. Per esempio, quando la ragazza s'imbatte in Tom Chaney, la persona che cerca per consegnarlo alla giustiza, e gli spara goffamente ferendolo, questi reagisce dicendo "Ma sei matta? Mi hai rotto una costola". Mi è venuto in mente in quel frangente la detective incinta di "Fargo" e gli squinternati criminali che finirà per assicurare alla giustizia.
Nel "Grinta" la violenza è rappresentata in modo esplicito e crudo, sia quella legata alla caccia all'uomo, sia quella "legale" (la scena dell'impiccagione). Tuttavia, la cifra del film - al di là della sua ambientazione nell'Ovest americano del 1875- è il senso di perdita, il tempo che passa e rende stabili le ferite e gli abbandoni, la difficoltà a vivere sotto un cielo troppo vasto.
A ben vedere, questa è la cifra stilistica dell'intera opera dei fratelli Cohen: uno sguardo che disorganizza e rimette insieme i pezzi in modi nuovi e originali, mai prevedibili o scontati.
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jacopo b98
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venerdì 27 settembre 2013
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un grande western classico alla coen
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Mattie Ross (Steinfeld), in seguito all’omicidio del padre da parte di Tom Chaney (Brolin), assume uno sceriffo (Bridges) per partire con lei all’inseguimento del vigliacco fuggitivo. Con loro parte anche il Texas Ranger texano LaBouef (Damon). I Coen in un modo o nell’altro hanno sempre realizzato film con molto di western (Fratello dove sei?, Non è un paese per vecchi, ecc.) ma mai si erano addentrati all’interno del genere classico. E qui fanno un western vero e proprio, seppur a modo loro. È il rifacimento del classico con John Wayne, e supera l’originale in molte cose, se non in tutto. Sempre tratto dal romanzo di Charles Portis è una versione più fedele al romanzo, ricca di momenti memorabili, scene e personaggi divertenti e grotteschi (il bandito che fa i versi degli animali, ecc.
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Mattie Ross (Steinfeld), in seguito all’omicidio del padre da parte di Tom Chaney (Brolin), assume uno sceriffo (Bridges) per partire con lei all’inseguimento del vigliacco fuggitivo. Con loro parte anche il Texas Ranger texano LaBouef (Damon). I Coen in un modo o nell’altro hanno sempre realizzato film con molto di western (Fratello dove sei?, Non è un paese per vecchi, ecc.) ma mai si erano addentrati all’interno del genere classico. E qui fanno un western vero e proprio, seppur a modo loro. È il rifacimento del classico con John Wayne, e supera l’originale in molte cose, se non in tutto. Sempre tratto dal romanzo di Charles Portis è una versione più fedele al romanzo, ricca di momenti memorabili, scene e personaggi divertenti e grotteschi (il bandito che fa i versi degli animali, ecc.), il tutto immerso nell’ambientazione classica da western, valorizzata dalle scenografie di Jess Gonchor, dalle musiche di Carter Burwell e soprattutto dalla splendida fotografia di Roger Deakins. Interpretato da un trio (quartetto se si conta anche Brolin, in realtà poco presente) di attori infallibili ed eccellenti tra cui spiccano Bridges, assolutamente perfetto per il ruolo, che ci regala un’interpretazione magistrale e la Steinfeld, una piccola perla del cinema del futuro, che al suo esordio sul grande schermo compete alla grande con due attori navigati ed “oscarizzati”. Dieci nomination agli Oscar, tra cui film, regia, attore e attrice non protagonista, e vergognosamente nemmeno una statuetta. BAFTA alla migliore fotografia.
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nick simon
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martedì 9 luglio 2013
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una straordinaria storia di frontiera
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Joel e Ethan Coen si cimentano per la prima volta nel western (la seconda per alcuni, dopo "Non è un paese per vecchi"), pur abbandonando in parte gli stilemi classici del genere. I due fratelli danno vita ad una pellicola più aderente al romanzo di Charles Portis rispetto al precedente adattamento del 1969, facendo combaciare il punto di vista della narrazione con quello della ragazzina, narratrice in prima persona 25 anni dopo gli eventi mostrati. Il loro tocco è inconfondibile: humour nero, gag divertenti, personaggi bizzarri caratterizzati alla perfezione, messaggi apparentemente nichilisti ma realisticamente ancorati al presente. I due registi non si erigono a giudici delle azioni e del mondo che raccontano, e mostrano il tutto sotto una luce a prima vista fredda e distaccata, tuttavia affettuosa verso i personaggi e le storie.
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Joel e Ethan Coen si cimentano per la prima volta nel western (la seconda per alcuni, dopo "Non è un paese per vecchi"), pur abbandonando in parte gli stilemi classici del genere. I due fratelli danno vita ad una pellicola più aderente al romanzo di Charles Portis rispetto al precedente adattamento del 1969, facendo combaciare il punto di vista della narrazione con quello della ragazzina, narratrice in prima persona 25 anni dopo gli eventi mostrati. Il loro tocco è inconfondibile: humour nero, gag divertenti, personaggi bizzarri caratterizzati alla perfezione, messaggi apparentemente nichilisti ma realisticamente ancorati al presente. I due registi non si erigono a giudici delle azioni e del mondo che raccontano, e mostrano il tutto sotto una luce a prima vista fredda e distaccata, tuttavia affettuosa verso i personaggi e le storie. Si preoccupano di chiarire il senso ultimo delle vicissitudini messe in scena, e in questo senso la pellicola è dominata da una sorta di giustizia divina, seppur amara talvolta: numerosi sono infatti i riferimenti alla fede ed in particolare alla Bibbia, anche in alcuni brani della colonna sonora. Si tratta, per certi versi, di uno dei film meno ironici dei Coen, maestri nel restare saldamente aggrappati alla realtà pur mettendo in mostra vicende pressoché surreali. Jeff Bridges è straordinario nei panni dello sceriffo Rooster Cogburn, al quale riesce a dare uno squisito tocco personale: non si limita a rappresentare il vecchio burbero, ubriacone e dal grilletto facile, ma lo rende goffo e divertente al punto giusto, non mancando di mostrare una tenerezza quasi paterna verso la ragazzina nel finale. La giovanissima Hailee Steinfeld è una vera e propria rivelazione nelle vesti della quattordicenne Mattie Ross: sfacciata, grintosa e determinata, animata da una solidissima fede e da un innato senso di giustizia; una fanciulla coraggiosa abbastanza da avventurarsi nel selvaggio West a caccia di criminali, ma che non ha paura di mostrare le sue debolezze ed il suo lato infantile e bisognoso d'affetto. Mattie è disposta a tutto pur di catturare l'assassino di suo padre, il codardo quanto ottuso Tom Chaney, che si è unito alla banda del criminale Lucky Ned Pepper; i due sono interpretati con efficacia rispettivamente da Josh Brolin e Barry Pepper, resi oltremodo brutti e trasandati dal trucco e dagli splendidi costumi di Mary Zophres. Oltre che da Cogburn, Mattie sarà affiancata dal Texas Ranger LeBoeuf, interpretato da un vanitoso ed impettito Matt Damon. La ricostruzione è accurata sia dal punto di vista scenografico, sia per quanto riguarda lo spirito ed il tenore di vita dell'epoca: furti, rapine, assassinii ed impiccagioni erano all'ordine del giorno nelle caotiche terre di frontiera. Musiche curate da Carter Burwell, perfette nel sottolineare ed accentuare i momenti di tensione, avvincenti nell'accompagnare l'avventuroso entusiasmo dei personaggi, struggenti nelle fasi più drammatiche (da lacrime la disperata corsa a cavallo nel finale). È doveroso spendere qualche parola per la meravigliosa fotografia di Roger Deakins, vero maestro della luce, collaboratore ormai fisso dei Coen; qui mette a frutto i suoi trascorsi documentaristici trasformando luoghi e atmosfere di per sé affascinanti in affreschi mozzafiato. Nel complesso, il prodotto è di alto livello tecnico/artistico, e sicuramente più valido rispetto al precedente adattamento, in cui non vi era modo di conoscere il lato spietatamente violento del West.
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lisa casotti
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venerdì 30 agosto 2013
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la grinta
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Più che Il Grinta avrebbero dovuto intitolarlo La Grinta, perché nella versione dei fratelli Coen, molto distante dal film del 1969 (che pare non abbiano nemmeno visto) e più fedele al romanzo True Grit di Charles Portis, il ruolo di protagonista sembra interpretarlo Mettie (Hailee Steinfeld), la ragazzina quattordicenne che assolda lo sceriffo Cogburn (Jeff Bridges al posto di John Wayne) per scovare e uccidere l’assassino del padre rifugiatosi in terra indiana. O almeno questa è l’impressione iniziale: quando la vediamo cocciuta mercanteggiare i cavalli del padre, un posto letto al becchino, muoversi con totale (e decisamente insolita per l’epoca) disinvoltura in un mondo di soli uomini, fino a seguire lo sceriffo nella temeraria impresa.
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Più che Il Grinta avrebbero dovuto intitolarlo La Grinta, perché nella versione dei fratelli Coen, molto distante dal film del 1969 (che pare non abbiano nemmeno visto) e più fedele al romanzo True Grit di Charles Portis, il ruolo di protagonista sembra interpretarlo Mettie (Hailee Steinfeld), la ragazzina quattordicenne che assolda lo sceriffo Cogburn (Jeff Bridges al posto di John Wayne) per scovare e uccidere l’assassino del padre rifugiatosi in terra indiana. O almeno questa è l’impressione iniziale: quando la vediamo cocciuta mercanteggiare i cavalli del padre, un posto letto al becchino, muoversi con totale (e decisamente insolita per l’epoca) disinvoltura in un mondo di soli uomini, fino a seguire lo sceriffo nella temeraria impresa. È lei la voce narrante, e sempre lei che media nelle inevitabili incomprensioni del viaggio.
Ma mano a mano che ci si cala nella storia si percepisce che, al contrario, c’è equilibrio tra i personaggi, non ultimo LeBoeuf, il Texas Ranger cacciatore di taglie anch’esso sulle tracce del pistolero Chaney (e qui interpretato da un Matt Damon irriconoscibile per il suo trasformismo). Procedendo nel racconto, infatti, i protagonisti, iniziali macchiette da Far West, si umanizzano, fino a farci percepire chiaramente che questo duro western in realtà è un film sui sentimenti, su sentimenti grandiosi, inauditi e più che umani. Da lì la “malinconia” evocata dalla pellicola che non è nostalgia del selvaggio West, della rudezza, della sporcizia, della bestemmia imprecata, ma di un’età dell’oro quasi al tramonto, ma non ancora finita, in cui si poteva davvero essere pionieri e credere nella potenza di ogni inizio, nella bellezza tremante di un mondo senza regole ancora da conquistare.
La sequenza che racchiude tutta la poesia del messaggio dei Coen (insieme alle insolite nevicate) è certamente quella della lunga cavalcata notturna per salvare la vita di Mettie, morsa da un serpente a sonagli. La ragazza in effetti ce la farà e non tradisce il suo personaggio, la sua determinazione, nemmeno alla fine, quando dopo venticinque anni dalla vicenda che li ha uniti, ormai donna, alla ricerca di Cogburn, dichiara: “Non mi sono mai sposata, è vero, non ho mai avuto tempo da perdere”.
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joker79
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domenica 20 febbraio 2011
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la parabola dell'uomo che corre
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I Coen decidono di riportare in vita un classico del cinema americano, rielaborato alla luce di un crepuscolo di una Nazione. Con il cinema si può ammaestrare, questo affermava certa propaganda in un tempo non troppo lontano. Il regista a due teste in questo caso ha appreso appieno la lezione e sceglie un antieroe per puntare il dito contro la fine di un'epoca. Gli Stati Uniti al termine della Secessione costituirono un calderone, un immenso brodo primordiale da cui ognuno poteva attingere. Una Terra di opportunità, questa era una parola molto in voga ai tempi della corsa all'oro, dove uno Stato(il Texas) poteva esser strappato ad una Nazione(Il Messico) e divenire il Mito dell'Americaneità alla John Wayne.
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I Coen decidono di riportare in vita un classico del cinema americano, rielaborato alla luce di un crepuscolo di una Nazione. Con il cinema si può ammaestrare, questo affermava certa propaganda in un tempo non troppo lontano. Il regista a due teste in questo caso ha appreso appieno la lezione e sceglie un antieroe per puntare il dito contro la fine di un'epoca. Gli Stati Uniti al termine della Secessione costituirono un calderone, un immenso brodo primordiale da cui ognuno poteva attingere. Una Terra di opportunità, questa era una parola molto in voga ai tempi della corsa all'oro, dove uno Stato(il Texas) poteva esser strappato ad una Nazione(Il Messico) e divenire il Mito dell'Americaneità alla John Wayne. I Coen scelgono un vecchio debosciato e ebbro di vita come Reuben Cogburn detto il Grinta, sceriffo confederato federale, paradosso nel ruolo in una Nazione allo stato di Morula. Alla luce quasi funebre delle parole di Portis disseppeliscono questa carcassa, mitizzata nella versione quasi disneyana e glamour che era valsa un Oscar al Duca,gettandolo in un mondo che non lo vuole dove il progresso giunge sui binari di una ferrovia. Il tempo è trascorso e il Grinta è stanco, spompato. Non esiste più la voglia di primeggiare come ad Antietam, piutttosto il desiderio di scomparire in un letto di corda sfondato, circondato da vecchi quanto inutili trofei, immerso in un insapore spaccabudella. Non ci sono eroi in questo film, solo perdenti. La stessa Mattie, come vuole la storia originale si perde come i suoi protagonisti, inseguendo l'inafferabile quanto eburnea balena della vendetta. Anche lei come Cogburn perde(e non solo fisicamente), tanto insegue l'assassino delle sue origini che non si avvede del tempo che passa, dove un villaggio diventa citta', dove un insieme di stati divengono una nazione.I Coen ribattono anche in questo film l'iniquità della giustizia(sia essa divina o terrena). Fanno parlare anche i morti.Non perdono occasione di contestare la barbarie della pena capitale, vissuta a quei tempi come una sorta di Grande Fratello Collettivo e celebrata in tutta la propria "giustezza" nella versione del'69. Puntualizzano la persistenza di un'integrazione che di fatto(e nonostante Obama)non sara'mai presente nella "terra delle occasioni", udibile nel silenzio imposto ad un pellerossa e nelle stivalate del loro maledetto a dei bambini. Chi dovrebbe allora renderci giustizia?Non certo un "Lone" Ranger che non sa sparare con uno Sharp( ma per caso centra un bersaglio). Anche in questo film I Coen ,già in A serious man,pongono una domanda a risposta aperta.Quello che resta ai titoli di coda è il fascino dei ricordi, che impolverano ma non scompaiono come una vecchia Colt Dragoon custodita in una sacca d'avena da un nichelino.
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marv89
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domenica 20 febbraio 2011
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c'era una volta il w...forse no
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Nell'anno 1903 nasceva con il film "Assalto al treno" un filone culturale che avrebbe, di li a poco, scritto le piu belle pagine della storia della cinema: il western. Il percorso strorico del genere vede uno crocevia negli anni trenta con l'avvento dei più grandi registi che si siano mai cimentati con esso: Ford e Hawks. Grandi pellicolee sono entrate di diritto nella mente e nel cuore del pubblico del XX secolo, influenzando non sono la società, ma tutto il panorama cinematografico (si sfrornavano western con una facilità disarmante); col tempo si crearono sotto-generi come i nostrani spaghetti-western che influenzarono a loro volta il western americano che cambiò stile e tematiche sfociando nei cosidetti revisionisti.
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Nell'anno 1903 nasceva con il film "Assalto al treno" un filone culturale che avrebbe, di li a poco, scritto le piu belle pagine della storia della cinema: il western. Il percorso strorico del genere vede uno crocevia negli anni trenta con l'avvento dei più grandi registi che si siano mai cimentati con esso: Ford e Hawks. Grandi pellicolee sono entrate di diritto nella mente e nel cuore del pubblico del XX secolo, influenzando non sono la società, ma tutto il panorama cinematografico (si sfrornavano western con una facilità disarmante); col tempo si crearono sotto-generi come i nostrani spaghetti-western che influenzarono a loro volta il western americano che cambiò stile e tematiche sfociando nei cosidetti revisionisti. Dagli eccessi degli anni quaranta si passa però ad un abbandono progressivo del genere causato principalmente dalla nuova mentalità del pubblico e dalle decisioni dei piani alti del cinema, fino alla media odierna di un film western all'anno (remake per lo più). Nell'anno 2010 ecco che la singola cartuccia a disposizione è sparata dai fratelli coen, che arma da fuoco hanno usato? hanno centrato l'obiettivo? Come da presupposto il film in questione è un remake del noto "True Grit" datato 1969, o meglio(a dirla come i Coen) è basato come il precedente sullo stesso romanzo omonimo, quindi il paragone è doveroso e giusto farlo. Il grinta di Hataway è un western classico, per intenderci sulla riga di Ford e Hawks (con le dovute proporzioni), arricchito dalla grande interpretazione di un Wayne sul viale del tramonto, ma povero di quella epicità e atmosfera che richiede una trama di questo tipo.
True grit 2010? Bè che dire, il film è un ritorno al cinema di una volta,e quello si che era cinema, con uno stile diverso, sotto certi punti di vista migliore, marchio di fabbrica dei due fratelli di Minneapolis; quelle caratteristiche che venivano a mancare nel vecchio Grinta qui esplodono in un connubio perfetto. Il tempo cinematografico qui è quello della Mattie Ross adulta che sul treno che la sta riportando dopo anni da Rooster rammenda quello spezzato di vita che l'ha cambiata emotivamente e fisicamente. La voglia di vendetta fa da spina dorsale ad uno scheletro molto più complesso, nel quale vengono analizzati i personaggi principali senza però intermezzi pesanti che rallentano il tempo cinematografico; la trama è lineare, priva di colpi di scena, ma chi li vuole? La grandezza è tutta lì, la grandezza è nella semplicità; siamo davanti a una storia emotivamente importante e piena di significati. Grandiosi Briedges e la Steinfeld, il primo oscura l'oscar di Wayne con una maestosità palpabile dalla prima scena; la ragazzina invece emerge con un mix di innocenza e caparbietà che gli traspare dalle movenze e dalle espressioni. Le doti tecniche del film sono eccelse: fotografia non inferiore a pellicole dello stesso genere,elogiate a loro tempo sotto questo punto di vista,come: corvo rosso non avrai il mio scalpo...eleganza, stile e scelta dell'angolo mixate al genio dei fratelli rendono il video perfetto all'occhio umano. La speranza del sottoscritto è quella che True Grit funga da carburante per far ripartire il motore del genere western....C'era una volta il west...diceva Leone ........forse no...risponde il grinta
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riccardo t.
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venerdì 25 febbraio 2011
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intrigante e raffinato
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western intrigante e raffinato, che calibra i momenti d'azione per lasciar spazio ai personaggi, la Steinfield ha talento, non tanto per il ruolo in sè, ma per la maturità dimostrata, complimenti. Bridges è una garanzia, il suo ruolo era rischioso, e poteva diventare banale. Damon e Brolin un po lasciati soli,ma sono al servizio della storia. sceneggiatura che se la prende comoda e di stampo classico, ma che si lascia seguire e si dilata bene per la durata del film. ottima colonna sonora, non invasiva ma che accompagna bene le scene, e voglio l'oscar a Deakins.
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mariangela sansone
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giovedì 24 marzo 2011
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il grinta: il western raccontato dai fratelli coen
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Se una donna si mette in testa qualcosa è difficile dissuaderla,soprattutto se si tratta di una donna dotata di una notevole dose di testardaggine e ferocemente assetata di vendetta; la donna in questione è una giovane quattordicenne, con gli occhi da cerbiatto impaurito e lunghe trecce alla Laura Ingalls, ostinata e decisa nel suo intento di consegnare alla giustizia l'uomo che ha ucciso suo padre. E' difficile dire di no a Mattie Ross, anche per un uomo come Rooster Cogburn, dallo sguardo reso liquido dall'alcool, ma ancora considerato il più spietato in circolazione, noto a tutti come Il Grinta. Il burbero Rooster,reso unico dalla recitazione di un convincente Jeff Bridges, e l' impertinente texas ranger La Boeuf, interpretato da un ottimo Matt Damon, si convincono ad aiutare Mattie, colpiti dal coraggio della piccola donna cresciuta in fretta.
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Se una donna si mette in testa qualcosa è difficile dissuaderla,soprattutto se si tratta di una donna dotata di una notevole dose di testardaggine e ferocemente assetata di vendetta; la donna in questione è una giovane quattordicenne, con gli occhi da cerbiatto impaurito e lunghe trecce alla Laura Ingalls, ostinata e decisa nel suo intento di consegnare alla giustizia l'uomo che ha ucciso suo padre. E' difficile dire di no a Mattie Ross, anche per un uomo come Rooster Cogburn, dallo sguardo reso liquido dall'alcool, ma ancora considerato il più spietato in circolazione, noto a tutti come Il Grinta. Il burbero Rooster,reso unico dalla recitazione di un convincente Jeff Bridges, e l' impertinente texas ranger La Boeuf, interpretato da un ottimo Matt Damon, si convincono ad aiutare Mattie, colpiti dal coraggio della piccola donna cresciuta in fretta.I tre partono per un viaggio che li condurrà attraverso un percorso di crescita interiore e di consapevolezza sulla caducità della vita, inseguendo il miraggio della vendetta, in nome dei principi di un'etica giusta per il polveroso west; chi sbaglia paga, perchè "si deve pagare per tutto in questo mondo, niente è gratuito, tranne la grazia di Dio". Il film è il remake di True Grit, di Henry Hathaway, western classico ma anomalo per gli anni in cui fu girato, a ridosso dei settanta, periodo degli spaghetti western di Sergio Leone e dei western crepuscolari. True Grit, del 1969, trasposizione cinematografica del libro "Un vero uomo per Mattie Ross",di Charles Portis, rimane unico nel suo genere, proprio perchè il protagonista, Reuben J. "Rooster" Cogburn, è ben lontano dallo stereotipo dell'eroe pistolero taciturno e belloccio di leoniana memoria, come "Il Buono" Clint Eastwood. Il Grinta è un vecchio imbolsito, ubriacone e sbruffone, guercio da un occhio, un antieroe interpretato, nel film del 1969, da John Wayne, che tornava al western ormai passati i sessant'anni, e che con questo ruolo ottenne l'unico Oscar della sua carriera.Il fascino dei cavalli lanciati al galoppo nelle sterminate praterie,le atmosfere polverose, le lunghe passaggiate a cavallo per gli angusti sentieri montani, tra i silenzi di uomini consumati dall'alcool e dalla ferocia di quel west selvaggio, dove vige la regola del più forte e si preferisce sparare piuttosto che parlare, hanno evidentemente affascinato le menti geniali di Joel ed Ethan Coen, che hanno confezionato un prodotto godibile e curato. I registi si confrontano con il remake di un film importante, come già avevano fatto in passato con Ladykillers, rifacimento de La signora omicidi di Alexander Mackendrick, riuscendo a caratterizzare il loro prodotto con l'inconfondibile impronta Coen, avvalendosi di una fotografia curata, dell'ottimo Roger Deakins, e delle musiche di Carter Burwell.Abbandonati i toni sarcastici della commedia nera, i fratelli Coen si affidano alla faccia sorniona di Jeff Bridges; se nel film di Hathaway tutto verteva sul viso del Duca, rugoso come una cartina geografica, rappresentativo di un certo cinema western, classico e nostalgico, ne Il Grinta firmato Coen, Jeff Bridges affascina il pubblico riproponendo a tratti il Dude-Drugo, hippie reduce degli anni sessanta, de Il grande Lebowski. Il Grinta è una lunga cavalcata nello spazio libero del territorio indiano dell'Arkansas sotto un cielo nero rischiarato dalla luce delle stelle alla riscoperta di un genere, il western, che mancava da tempo, forse troppo, sugli schermi cinematografici.
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fabiooo12
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sabato 19 febbraio 2011
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tanti fumo e poco arrosto
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Premetto che il film resta sicuramente buono e godibile, ma viste le premesse che avevano accompagnato 'Il Grinta' (addirittura ben 10nomination agli Accademy Awards) mi aspettavo molto molto di più..
La storia è lenta e prevedibile e si sbadiglia fino a metà film poi migliora nettamente ma non entusiasma fino in fondo; inoltre il grande Jeff Bridges cerca in ogni modo di dare credibilità ad un personaggio che semplicemente non ne ha e che a mio avviso non convince, non trascina e soprattutto non ci porta dentro al contesto western, peraltro, perfettamente ricreato dai fratelli Coen. Convince molto di più la ragazzina che, non a caso, riceve una delle nomination. Insomma un film non male siamo chiari ma non il film tanto atteso e osannato dalla critica e dagli Accademy stessi.
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Premetto che il film resta sicuramente buono e godibile, ma viste le premesse che avevano accompagnato 'Il Grinta' (addirittura ben 10nomination agli Accademy Awards) mi aspettavo molto molto di più..
La storia è lenta e prevedibile e si sbadiglia fino a metà film poi migliora nettamente ma non entusiasma fino in fondo; inoltre il grande Jeff Bridges cerca in ogni modo di dare credibilità ad un personaggio che semplicemente non ne ha e che a mio avviso non convince, non trascina e soprattutto non ci porta dentro al contesto western, peraltro, perfettamente ricreato dai fratelli Coen. Convince molto di più la ragazzina che, non a caso, riceve una delle nomination. Insomma un film non male siamo chiari ma non il film tanto atteso e osannato dalla critica e dagli Accademy stessi..
Buona Visione
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massimo49
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lunedì 14 marzo 2011
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angeli dalla scorza dura
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Finalmente una boccata d'ossigeno. Torna il cuore buono e puro degli Angeli dalla scorza dura, che non amano gli applausi e nemmeno lodarsi e imbrodarsi. Apparentemente rozzi se non disgustosi, odiosi alla maniera di John Wayne, ne 'Il Grinta', alter ego dell'indimenticabile regista John Ford, con lo stesso simbolo nei capolavori film/affreschi 'Sentieri selvaggi' e 'L'uomo che uccise Liberty Valance'. In questo splendido film che scruta nei meandri dell'animo umano, viene riproposto, tra i silenzi di spazi infiniti dove la Natura è sovrana e l'orrore di un mondo senza legge, un archetipo in via di estinzione nella storia dell'antropologia: l'uomo ad una faccia sola, talmente onesto da apparire anche asociale e scostante, poiché fuori dal gregge delle ipocrisie - anche se profondamente buono e altruista fino al sacrificio.
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Finalmente una boccata d'ossigeno. Torna il cuore buono e puro degli Angeli dalla scorza dura, che non amano gli applausi e nemmeno lodarsi e imbrodarsi. Apparentemente rozzi se non disgustosi, odiosi alla maniera di John Wayne, ne 'Il Grinta', alter ego dell'indimenticabile regista John Ford, con lo stesso simbolo nei capolavori film/affreschi 'Sentieri selvaggi' e 'L'uomo che uccise Liberty Valance'. In questo splendido film che scruta nei meandri dell'animo umano, viene riproposto, tra i silenzi di spazi infiniti dove la Natura è sovrana e l'orrore di un mondo senza legge, un archetipo in via di estinzione nella storia dell'antropologia: l'uomo ad una faccia sola, talmente onesto da apparire anche asociale e scostante, poiché fuori dal gregge delle ipocrisie - anche se profondamente buono e altruista fino al sacrificio. Così furono Paul Newman nel film 'Hombre' e Clint Eastwood in 'Gran Torino'. E, a ben guardare, nella storia a noi vicina, Claus von Stauffenberg nel bel film 'Operazione Valchiria'.
Se ne sentiva la necessità, dopo essere stati sommersi da tanti ipocriti e buonisti.
Massimo de Rigo
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