cespuglio
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lunedì 28 maggio 2007
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la famiglia al tempo dell'imperatore
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Non parlerò dei colori e delle scene di massa, del lato estetico e spettacolare. Mi preme sottolineare qualcosa che a mio avviso è stato a torto trascurato: il rilievo della famiglia. La chiave di lettura è data dal discorso dell'imperatore durante la prima riunione di famiglia, quando spiega il significato del cerchio e del quadrato, il ruolo della famiglia e di componenti all'interno di essa, una trama di relazioni e ruoli che si basa su un delicato e celeste equilibrio. Un equilibrio che nel momento in cui veniva esaltato era già corrotto proprio dal suo cantore: emblematica la scena finale, quando il rimedio, scagliato in aria dal rifiuto dell'imperatrice, ricade al centro del tavolo, corrodendolo in una macchia nera.
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Non parlerò dei colori e delle scene di massa, del lato estetico e spettacolare. Mi preme sottolineare qualcosa che a mio avviso è stato a torto trascurato: il rilievo della famiglia. La chiave di lettura è data dal discorso dell'imperatore durante la prima riunione di famiglia, quando spiega il significato del cerchio e del quadrato, il ruolo della famiglia e di componenti all'interno di essa, una trama di relazioni e ruoli che si basa su un delicato e celeste equilibrio. Un equilibrio che nel momento in cui veniva esaltato era già corrotto proprio dal suo cantore: emblematica la scena finale, quando il rimedio, scagliato in aria dal rifiuto dell'imperatrice, ricade al centro del tavolo, corrodendolo in una macchia nera. Quell'iniziale macchinazione aveva avviato la catena di tragici eventi che ha distrutto la famiglia imperiale. Una famiglia in cui nessuno rispettava il proprio ruolo. Inizialmente il padre aveva ripudiato la prima madre e ciò ha creato il rancore dell'imperatrice, l'apparente incesto con il primo genito dell'imperatore che ha scatenato l'odio dell'ultimo genito; l'incesto reale tra il primo genito e la figlia del medico imperiale, che si scopre essere sua sorella, poiché la madre non era morta come detto dal padre, ma era sopravvissuta all'originario complotto ed era stata salvata dall'ignaro medico. Il figlio maggiore confuso che si dà la morte. Il figlio maggiore che la ottiene, ma dal fratello minore. Un figlio mediano, designato imperatore, che non impara l'insegnamento del padre, non sa accettare ciò che gli è dato senza prendersi ciò che non gli viene concesso. Il risultato di tanta macchinazione? Una coppia sterile, che ha fallito il suo compito naturale: crescere ed educare la prole. Anzi: ha fatto di tutto per annientarla.
Per questo, alla luce dei recenti telegiornali, in un contesto in cui si fatica a capire cosa si intenda per "famiglia", l'affresco del maestro cinese sembra richiamare ad antichi valori e al significato del ruolo che ciascuno occupa nel tessuto sociale.
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bob
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giovedì 7 giugno 2007
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yimou torna sfarzoso ed abbagliante
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Con lo sfarzoso e abbagliante "La città proibita" Zhang Yimou chiude in pratica la sua trilogia dedicata al cappa e spada orientale che un po' ovunque ha tanto avuto successo in questi ultimi anni.Ma a differenza di "Hero" e "La foresta dei pugnali volanti" in verita' qui non siamo in presenza di un wuxiapian in senso stretto. E qualcuno, specie coloro che conoscono di Yimou solo questi ultimi film, probabilmente se ne rammarichera'. I combattimenti infatti questa volta sono molto meno numerosi (e tutti o quasi relegati nella straodinaria parte finale del film) e comunque messi in secondo piano (nonostante la loro sempre forte spettacolarita', si pensi alle sequenze e alle coreografie degli scontri nel canyon) rispetto alle intricate e melodrammatiche vicende di corte.
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Con lo sfarzoso e abbagliante "La città proibita" Zhang Yimou chiude in pratica la sua trilogia dedicata al cappa e spada orientale che un po' ovunque ha tanto avuto successo in questi ultimi anni.Ma a differenza di "Hero" e "La foresta dei pugnali volanti" in verita' qui non siamo in presenza di un wuxiapian in senso stretto. E qualcuno, specie coloro che conoscono di Yimou solo questi ultimi film, probabilmente se ne rammarichera'. I combattimenti infatti questa volta sono molto meno numerosi (e tutti o quasi relegati nella straodinaria parte finale del film) e comunque messi in secondo piano (nonostante la loro sempre forte spettacolarita', si pensi alle sequenze e alle coreografie degli scontri nel canyon) rispetto alle intricate e melodrammatiche vicende di corte. A ben guardare "La città proibita" rimanda dunque piu' da vicino (senza pero' raggiungerne la medesima intensita') a "Lanterne rosse", vero capolavoro di Yimou. Perche' in effetti l'azione si concentra a lungo e teatralmente all'interno dei corridoi dello sfavillante ed immenso palazzo reale. Ed e' qui, come anche allora, che il regista orchestra abilmente un dramma intimistico, quasi una tragedia dal sapore shakespeariano. Cinema elegante, visivamente di enorme impatto, sempre sontuoso e sfavillante dal punto di vista scenografico e coreografico, ma dal respiro quindi (almeno nelle intenzioni) piu' classico. Tuttavia pur non essendo quel calligrafico esercizio di stile che apparira' a qualcuno, (chi non e' interessato al genere dovrebbe forse astenersi dalla visione) "La città proibita" non riesce ad appassionare quanto il regista avrebbe voluto. Sicuramente colpisce meno al cuore del precedente stupefacente "La Foresta dei pugnali volanti ". Questo nonostante la bravura dei due protagonisti/antagonisti, interpretati da Chow Yun-Fat (...e' qui che lo potete veder recitare veramente, non certo nell'ultimo deludente "Pirati dei Caraibi - Ai confini del Mondo"...) imperatore cinico, crudele e fortemente carismatico. E da una sublime e magnifica (al solito) Gong Li nel ruolo della vendicativa e incestuosa imperatrice, che costretta a vivere nella malattia in una claustrofobica prigione dorata medita vendetta. Pero' a non convincere alla stessa maniera sono innanzitutto i personaggi di contorno, al quale il regista non ha saputo dare il medesimo vigore e che a volte anzi (vedi il medico di corte ) finiscono per avere toni quasi caricaturali . Qualche dubbio suscita anche il soggetto e lo svilupparsi della vicenda, anche perche' il montaggio non e' impeccabile e preciso quanto la messa in scena. All'inizio c'e' poi da parte del regista un eccesso di spiegazioni, quando sappiamo bene che per ben delineare certi sotterfugi, per non parlare di certi legami d'amore, bastano pochi incroci di sguardi. Il linguaggio del corpo sa parlare benissimo da solo...Ma nonostante alcuni difetti, tutti coloro che amano Zhang Yimou non possono mancare l'appuntamento con questo film, capace comunque di regalare immagini di grande fascino e seduzione (tutti i duetti tra i due protagonisti, la strabiliante scena della battaglia finale all'interno del palazzo imperiale e quella subito successiva in cui i migliaia di crisantemi gialli calpestati e distrutti durante il sanguinoso scontro, sono prima tolti di mezzo e poi subito rimpiazzati, perche' cosi' esige da tradizione la "festa"...) . E poi come non rimanere sedotti dalla prova di Gong Li, vera maestra di recitazione?
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martina
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martedì 29 maggio 2007
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e' la volta dell'oro, dello sfarzo
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Zhang Yimou sembra avere una tavolozza di colori, dove in ogni film sceglie di usarne solo uno o piu' di uno. Questa volta ha scelto l'oro, simbolo di sfarzo della dinastia imperiale dei Tang. Accanto all'oro Yimou doveva usare altri colori per dare piacere visivo allo spettatore, e quale colori migliori dei colori accesi dell'arcobaleno, magenta, verde, giallo, azzurro. Il risultato è una visione della scena satura, dove il colore riempie gli spazi vuoti lasciati dalla mobilia. I costumi sono sfarzosi e tutti, sempre pesanti e ovviamente..d'oro. Particolare attenzione anche al trucco dell'imperatrice che ancora una volta riporta l'oro, l'arancio quasi rame del rossetto.
Principalmente di questo film, come degli ultimi di Zhang Yimou, nota di merito sono appunto i colori.
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Zhang Yimou sembra avere una tavolozza di colori, dove in ogni film sceglie di usarne solo uno o piu' di uno. Questa volta ha scelto l'oro, simbolo di sfarzo della dinastia imperiale dei Tang. Accanto all'oro Yimou doveva usare altri colori per dare piacere visivo allo spettatore, e quale colori migliori dei colori accesi dell'arcobaleno, magenta, verde, giallo, azzurro. Il risultato è una visione della scena satura, dove il colore riempie gli spazi vuoti lasciati dalla mobilia. I costumi sono sfarzosi e tutti, sempre pesanti e ovviamente..d'oro. Particolare attenzione anche al trucco dell'imperatrice che ancora una volta riporta l'oro, l'arancio quasi rame del rossetto.
Principalmente di questo film, come degli ultimi di Zhang Yimou, nota di merito sono appunto i colori.
Tutto ciò rende il suo cinema non solo arte ed attenzione per la cinepresa, ma fa capire quanto questo regista sia attento alla fotografia ed alla resa "visiva" delle sue opere, quasi tutte le volte stesse dipingendo un quadro.
Attenzione forse un po' retro' è stata fatta riguardo ai primi piani, sia sui volti che sui particolari (specialmente nel duello tra imperatore ed il figlio Jay). Un'inquadratura del soggetto e dell'azione che ricorda molto il modo di girare degli anni'70. Quei primi piani macro, con il retro offuscato, quei primi piani imperscrutabili e silenziosi, le spade che scivolano sulle armature, ma di cui vediamo solo una parte, la parte del contatto tra le armi o con le armature.
Il film colpisce sicuramente in ampia parte per la cromaticità associata alle due "fazioni" imperiali, l'imperatrice che si ribella, usa l'oro per i suoi crisantemi, l'oro per le armature dell'esercito costituito appositamente per la sua rivolta e per detronizzare l'imperatore.
Viceversa l'imperatore, usa l'esercito color argento, i suoi guerrieri di fiducia coperti da abiti neri e maschere d'argento.
Bellissimo è proprio l'attacco sul tappetto giallo di crisantemi che si trova nella piazza del palazzo da parte della valanga d'oro contro la controparte valanga argento.
Zhang Yimou non c'è dubbio, portatore verso l'occidente di una cultura orientale attenta ai particolari, una fotografia pittorica che raramente si trova in occidente, giustificata forse proprio da una cultura differente.
La storia non è molto offuscata dai colori, come sembrerebbe, perchè bisogna notare che quando il cinema di Yimou affronta storie e film "in grande" le storie sono sempre semplici e brevi. A differenza dell'altro cinema di Yimou, come la Storia di Qui ju, Vivere, La strada verso casa, film che lasciano spazio al racconto di storie semplici, dove c'è un uso dei colori diverso, meno spettacolarità "occidentale". Film che ci fanno vedere l'altra parte di Cina, quella popolare, le storie di tutti i giorni, storie di cultura differente.
Nello scrivere cio' mi potrebbe sorgere un timore. Il timore che Yimou possa esaltare la sua spettacolarità emulando il cinema da botteghino fatto di effetti speciali tipico americano.
Spero sia solo un recondito timore, fugato dalla consapevolezza e speranza che venga sempre fuori quella bella cultura orientale che tanto differenzia l'oriente dall'occidente.
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francois
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giovedì 31 maggio 2007
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così vicino, così lontano
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Una sovrastruttura talmente incredibile da apparire impossibile circonda la famiglia imperiale. La stessa sovrastruttura è causa al contempo dell'impossibilità di vivere autenticamente.
L'imperatore declama la necessità di vivere seguendo le leggi naturali imposte dal cerchio, il cielo, al quadrato, la terra. In realtà si vive seguendo leggi sovrastrutturate figlie di superfetazioni storiche, oramai irriconoscibili come tali e rivendicanti il titolo di, appunto, leggi della natura.
Dapprima emerge il lusso della superiorità gerarchica, ma mano a mano che ci si addentra nella Famiglia, il lusso si sfalda sotto il fuoco del delirio innaturale della struttura gerarchica stessa. Ed allora lo spettatore odierno potrebbe ritrarsi da quest'opera di Zhang Yimou, vedendo in essa l'immagine dell'irrazionale bisogno di conoscere l'intima vita dei potenti.
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Una sovrastruttura talmente incredibile da apparire impossibile circonda la famiglia imperiale. La stessa sovrastruttura è causa al contempo dell'impossibilità di vivere autenticamente.
L'imperatore declama la necessità di vivere seguendo le leggi naturali imposte dal cerchio, il cielo, al quadrato, la terra. In realtà si vive seguendo leggi sovrastrutturate figlie di superfetazioni storiche, oramai irriconoscibili come tali e rivendicanti il titolo di, appunto, leggi della natura.
Dapprima emerge il lusso della superiorità gerarchica, ma mano a mano che ci si addentra nella Famiglia, il lusso si sfalda sotto il fuoco del delirio innaturale della struttura gerarchica stessa. Ed allora lo spettatore odierno potrebbe ritrarsi da quest'opera di Zhang Yimou, vedendo in essa l'immagine dell'irrazionale bisogno di conoscere l'intima vita dei potenti. Ci si potrebbe ritraere percependo la volgarità di entrare nel privato di quella che è una Famiglia, seppur peculiare. Tuttavia il tocco è troppo nobile per sembrare volgare, ed i temi troppo forti per essere propri dei semplici curiosi. Non un capolavoro assoluto come fu "Hero", che ne è superiore proprio per l'estrema semplicità con cui tratta un tema ampio come la "visione più ampia" attraverso un racconto esemplificativo. Qui invece si va ben oltre il piano del complesso, ed il fascino dell'anintelleggibile è imprescindibile.
L'unico legame per la comprensione è una totale identificazione con l'imperatore, ente vicino alla deificazione per il suo assoluto sottostare, ma al contempo senza subirne quanto gli altri della Famiglia, alla sovrastruttura. Chow Yun Fatt e Gong Li sono la perfezione dell'arte recitativa, validi al di là del tempo e dello spazio. Una forma di recitazione eterna. Zhang Yimou chiude degnamente la parentesi nel pantheon della Cina antica.
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(di petrov)
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martina bada
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mercoledì 6 giugno 2007
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crollano gli idoli
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Quadro delle relazioni familiari precario e affidato ad assurde cadenze rituali,che adombrano un glaciale distacco fra Imperatore,Imperatrice e figli rinchiusi a Palazzo,nonostante lo sfarzo degli arredi e la supina obbedienza dei devoti servitori della omertosa Città proibita..
Gong Li è un autentico prodigio:bella,severa,radiosa più del lusso che la accalora ma anche più orgogliosa del marito che la umilia.Eccelle nel ruolo più controverso e difficile da interpretare:perchè si nutre di gesti e sembianti,movenze eloquenti,sguardi inchiodati a terra dal Male ma sempre pronti a snidare complotti.
Attualmente,l'attrice asiatica più dotata(indimenticabile la sua geisha caduta nel discredito sociale in "Memorie di una geisha".
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Quadro delle relazioni familiari precario e affidato ad assurde cadenze rituali,che adombrano un glaciale distacco fra Imperatore,Imperatrice e figli rinchiusi a Palazzo,nonostante lo sfarzo degli arredi e la supina obbedienza dei devoti servitori della omertosa Città proibita..
Gong Li è un autentico prodigio:bella,severa,radiosa più del lusso che la accalora ma anche più orgogliosa del marito che la umilia.Eccelle nel ruolo più controverso e difficile da interpretare:perchè si nutre di gesti e sembianti,movenze eloquenti,sguardi inchiodati a terra dal Male ma sempre pronti a snidare complotti.
Attualmente,l'attrice asiatica più dotata(indimenticabile la sua geisha caduta nel discredito sociale in "Memorie di una geisha"...).
Film spettacolare e spettacoloso dal ritmo crescente,che invoglia a trascorrere col pensiero più di una notte nelle magnifiche stanze imperiali...
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robertodb
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sabato 23 giugno 2007
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tragedia greca nella cina imperiale
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"La città proibita" è il capitolo conclusivo della trilogia di "cappa e spada" cinese ideata da Yimou. Esso è però un film che, a differenza dei due precedenti ("Hero" e "la foresta dei pugnali volanti")non si configura come un vagabondare per la Cina imperiale, ma come un'analisi accurata e a tratti introspettiva della vita a corte (la "città proibita", appunto)che assume i toni della tragedia. E proprio di tragedia - nel senso classico e teatrale del termine - sembra lecito parlare,perchè nella corte imperiale cinese "dipinta" da Yimou ce ne sono tutti i tratti essenziali: incesto, tradimento, ribellione al padre,fratricidio, uxoricidio. Sorretta da queste tematiche si dipana una narrazione che non conosce "tempi morti", che attira l'attenzione dello spettatore attraverso intelligenti giochi di anticipazioni ed è, infine, supportata da un impatto visivo che oramai sembra un marchio di fabbrica del regista cinese: perchè, come anche per i due precedenti capitoli, è bene non tacere degli elementi visivi (fotografia,scenografia, costumi)che si impongono all'occhio dello spettatore e divengono un elemento funzionale alla narrazione stessa.
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"La città proibita" è il capitolo conclusivo della trilogia di "cappa e spada" cinese ideata da Yimou. Esso è però un film che, a differenza dei due precedenti ("Hero" e "la foresta dei pugnali volanti")non si configura come un vagabondare per la Cina imperiale, ma come un'analisi accurata e a tratti introspettiva della vita a corte (la "città proibita", appunto)che assume i toni della tragedia. E proprio di tragedia - nel senso classico e teatrale del termine - sembra lecito parlare,perchè nella corte imperiale cinese "dipinta" da Yimou ce ne sono tutti i tratti essenziali: incesto, tradimento, ribellione al padre,fratricidio, uxoricidio. Sorretta da queste tematiche si dipana una narrazione che non conosce "tempi morti", che attira l'attenzione dello spettatore attraverso intelligenti giochi di anticipazioni ed è, infine, supportata da un impatto visivo che oramai sembra un marchio di fabbrica del regista cinese: perchè, come anche per i due precedenti capitoli, è bene non tacere degli elementi visivi (fotografia,scenografia, costumi)che si impongono all'occhio dello spettatore e divengono un elemento funzionale alla narrazione stessa. Attraverso la ricchezza di colori delle architetture, degli arredamenti e dei costumi infatti Yimou si impone di rappresentare la magnificenza ma anche la rigida vacuità della corte imperiale, al di sotto della quale si nascondono intrighi familiari e sordidi tradimenti; ogni scena viene volutamente investita di una potenza visiva notevole, che permea allo stesso modo una semplice scena di ricamo e l'imponente scena della battaglia finale. E, ultimo ma non ultimo, non si può non menzionare la straordinaria prova di gran parte del cast: su tutti svetta insuperabile la stupenda Gong Li - eterna Musa di Yimou - che in questo film conferisce uno spessore monumentale e un carattere profondamente tragico al suo personaggio, quello di un'imperatrice che tenta inutilmente di ribellarsi ad un mondo in cui le obiezioni non sono ammesse.
Meno "sperimentale" nella struttura drammaturgica (e forse meno bello) di "Hero", ma migliore del precedente "la foresta dei pugnali volanti", "La città proibita" è un film notevole: qualcuno potrebbe accusare Yimou di manierismo, ma questo poco conta perchè il suo è un film capace di coinvolgere ed emozionare. E tanto basta.
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brandon
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venerdì 22 ottobre 2010
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l' estetismo di zhang yimou
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Dramma ottimo nalla messa in scena, però le sequenze dei combattimenti sono quasi nulle quindi il paragone coi precedenti film del regista HERO e LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI è del tutto inopportuno così come risulta fuorivante collocarlo nel genere wuxia. Gli attori sono tutti bravissimi, Chow Yun-Fat e Gong Li in particolare e le atmosfere ben create, mentre la narrazione risulta un po' troppo lente e con qualche imprecisione. L' elemento veramente eccezionale è l' estetismo della pellicola che rende ogni singolo fotogramma un vero capolavoro visivo. Già in HERO, il regista aveva dimostrato una forte attenzione per i colori e le scenografie, attenazione che qui viene ancor più marcata mostrando una regia veramente da lode.
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Dramma ottimo nalla messa in scena, però le sequenze dei combattimenti sono quasi nulle quindi il paragone coi precedenti film del regista HERO e LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI è del tutto inopportuno così come risulta fuorivante collocarlo nel genere wuxia. Gli attori sono tutti bravissimi, Chow Yun-Fat e Gong Li in particolare e le atmosfere ben create, mentre la narrazione risulta un po' troppo lente e con qualche imprecisione. L' elemento veramente eccezionale è l' estetismo della pellicola che rende ogni singolo fotogramma un vero capolavoro visivo. Già in HERO, il regista aveva dimostrato una forte attenzione per i colori e le scenografie, attenazione che qui viene ancor più marcata mostrando una regia veramente da lode. Le luci, i ricami degli abiti, le decorazioni sulle mura del palazzo , il campo fiorito attraggono in modo incisivo lo spettatore esprimendo un' idea di grande suggestione e poesia come raramente accade anche nelle produzioni "serie" orientali sempre attente a questo aspetto. Ben rappresentata pure la battaglia finale, sempre con questo particolare estetismo che rende poetiche anche le scene di violenza. Insomma le scenografie e la fotografia sono così ben fatte da valere da sole la visone, certo poteva starci un po' di azione in più.
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g.
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giovedì 7 giugno 2007
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la maestosità del colore
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Più di quarant'anni fa il celebre Cartier Bresson sosteneva la tesi per cui le pellicole a colori non erano capaci (giustamente) di riprodurre tutte le sfumature e quindi le scale cromatiche del colore, per questo quindi prediligeva la pellicola in bianco nero. Peccato che non ha potuto conoscere le attuali potenzialità del colore che Zhang Yimou ed il suo direttore della fotografia Zhao Xiaoding con ricercatezza stilistica e tecnica allo stesso tempo sono riusciti a raggiungere in questa nuova pellicola La città proibita. L'oro infatti è la dominante del film costellato da altri colori come l'azzuro il verde ed altri splendidamente abbinati ed affiancati a questo. L'oro è qui il colore del crisantemo (proprio dall'etimologia greca "fiore dorato") che raffigura in modo chiastico la maestosità del palazzo imperiale e ,di contro, il simbolo del golpe organizzato dall'iperatrice contro il marito.
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Più di quarant'anni fa il celebre Cartier Bresson sosteneva la tesi per cui le pellicole a colori non erano capaci (giustamente) di riprodurre tutte le sfumature e quindi le scale cromatiche del colore, per questo quindi prediligeva la pellicola in bianco nero. Peccato che non ha potuto conoscere le attuali potenzialità del colore che Zhang Yimou ed il suo direttore della fotografia Zhao Xiaoding con ricercatezza stilistica e tecnica allo stesso tempo sono riusciti a raggiungere in questa nuova pellicola La città proibita. L'oro infatti è la dominante del film costellato da altri colori come l'azzuro il verde ed altri splendidamente abbinati ed affiancati a questo. L'oro è qui il colore del crisantemo (proprio dall'etimologia greca "fiore dorato") che raffigura in modo chiastico la maestosità del palazzo imperiale e ,di contro, il simbolo del golpe organizzato dall'iperatrice contro il marito. E' l'oro che sottolinea l'infinita ricchezza della famiglia imperiale ed allo stesso tempo la pesantezza che porta ad esserne membro (la scena in cui imperatore e imperatrice per quanto irati e tristi si tolgono violentemente le vesti).
Una sceneggiatura impeccabile scritta dallo stesso regista insieme a Wu Nan e Bian Zhihong
che verrebbe definita da alcuni shakespiriana , ma che di fatto è solo tragica e segna un continuum con la leteratura cinese che offre molto in quanto a storie di intrighi di corte, ambizioni e storie passionali.
E così Zhang Yimou con quest'ultima sua pellicola, ultima della trilogia dopo Hero e La foresta dei pugnali volanti che fa omaggio alla sua Cina pubblicizzando , in un contesto storico difficile, una sua immagine splendente ed esteticamente unica e variegata; probabilmente contro tutte le attuali , comuni e basse convinzioni .
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piernelweb
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domenica 28 ottobre 2007
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gigantismo tagico
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Dopo "Hero" e "La foresta dai pugnali Volanti" ancora un film scenograficamente sfarzoso per il regista Zhang Yimou con mire stavolta più dirette alla tragedia Shakespeariana piuttosto che ad un vero e proprio wuxia. L'incipt è molto buono, il cast di assoluto livello (Gong Li è una sicurezza assoluta) tuttavia il regista cinese rimane imprigionato nell'eccessivo gigantismo della sua opera, con una regia che diviene a lungo andare eccessivamente manieristica e tronfia. Tutto il sangue che scorre sul tragico finale famigliare appare francamente ridondante (e questo è un difetto cronico di un certo tipo di cinema orientale) ed esaspera troppo i toni del dramma che diviene allora poco credibile e soprattutto strappa poche emozioni.
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Dopo "Hero" e "La foresta dai pugnali Volanti" ancora un film scenograficamente sfarzoso per il regista Zhang Yimou con mire stavolta più dirette alla tragedia Shakespeariana piuttosto che ad un vero e proprio wuxia. L'incipt è molto buono, il cast di assoluto livello (Gong Li è una sicurezza assoluta) tuttavia il regista cinese rimane imprigionato nell'eccessivo gigantismo della sua opera, con una regia che diviene a lungo andare eccessivamente manieristica e tronfia. Tutto il sangue che scorre sul tragico finale famigliare appare francamente ridondante (e questo è un difetto cronico di un certo tipo di cinema orientale) ed esaspera troppo i toni del dramma che diviene allora poco credibile e soprattutto strappa poche emozioni. Gli amanti delle scene d'azione all'arma bianca potranno aprezzare le notturne incursioni dal cielo dei guerieri del re ma resteranno delusi dalle battaglie di massa visibilmente artificiose e non dovutamente sostenute dalla grafica digitale. Un film riuscito a metà che garantisce il meglio nella prima parte quando il veleno imperiale che scorre nelle vene dell'imperatrice fà davvero male.
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enigammi
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lunedì 20 agosto 2012
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estetismo poco profondo
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il film è un racconto mitologico. la trama è molto semplice, con tanto di non-lieto fine, come ogni racconto mitologico che si rispetti; le descrizioni delle azioni sono arricchite e ridondanti come quelle di un'iliade o un'odissea orientale, fatte di sequenze di immagini invece che di parole.
il fulcro della trama è una guerra, prima sottile e covata segretamente, e poi sviluppata tramite le armi; una guerra che nasce nel cuore della famiglia imperiale, in cui invidia e malfidenza la fanno da padroni e il vuoto di affetti è totale; l'unico rapporto d'amore familiare è quello tra Jay e la madre.
al di là dell'estetismo maniacale, delle cascate d'oro, dei ninja volanti e degli epocali combattimenti finali, in realtà, si avverte la mancanza di un senso compiuto del film, qualcosa che resti allo spettatore una volta passato il senso di fascino e di spettacolarità.
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il film è un racconto mitologico. la trama è molto semplice, con tanto di non-lieto fine, come ogni racconto mitologico che si rispetti; le descrizioni delle azioni sono arricchite e ridondanti come quelle di un'iliade o un'odissea orientale, fatte di sequenze di immagini invece che di parole.
il fulcro della trama è una guerra, prima sottile e covata segretamente, e poi sviluppata tramite le armi; una guerra che nasce nel cuore della famiglia imperiale, in cui invidia e malfidenza la fanno da padroni e il vuoto di affetti è totale; l'unico rapporto d'amore familiare è quello tra Jay e la madre.
al di là dell'estetismo maniacale, delle cascate d'oro, dei ninja volanti e degli epocali combattimenti finali, in realtà, si avverte la mancanza di un senso compiuto del film, qualcosa che resti allo spettatore una volta passato il senso di fascino e di spettacolarità. qui l'estetica sembra fine a sé stessa, e non al sottolineare gli aspetti emotivi dei personaggi.
uno dei motivi principali per vedere il film è comunque l'interpretazione di Gong Li, imper-attrice strepitosa, e particolarmente in forma.
menzione d'onore ai traduttori che hanno inventato il titolo per la fedeltà: da "la maledizione del fiore d'oro" a "la città proibita". solito interrogativo: cosa sniffano, prima di scegliere il titolo italiano?
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