Il codice Da Vinci

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Un film di Ron Howard. Con Tom Hanks, Audrey Tautou, Jean Reno, Alfred Molina.
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Titolo originale The Da Vinci Code. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 148 min. - USA 2006. uscita venerdì 19 maggio 2006. MYMONETRO Il codice Da Vinci * * - - - valutazione media: 2,14 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un viaggio credibile nell'inverosimile Valutazione 3 stelle su cinque

di Robert Pocket


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giovedì 12 luglio 2007

La trama, inutile dirlo, e' risaputa. E lasciamo perdere il polverone sollevato da cattolici, ferventi credenti, fanatici, critici, i quali hanno avuto il fegato e l'ardire di prendere sul serio il romanzo di Dan Brown e passiamo ad altro concentrandoci sui meriti di questo "Codice Da Vinci". Cominciamo pure col dire che il talento di Tom Hanks e' fuori discussione cosi' com'e' altrettanto vero che la francesina Audrey "Amelie" Tautou e' ad oggi una delle attrici piu' sopravvalutate del momento. E diciamo pure che Dan Brown sa scrivere romanzi e che Akiva Goldsman li sa sceneggiare tanto quanto il bravo Ron Howard li sa portare sullo schermo confezionando, come in questo caso, un prodotto commerciale che nella sua durata di 150 minuti ci regala un prologo e un epilogo che valgono da soli l'intero prezzo del biglietto. Io poi che adoro quello che amo definire "cinema notturno" sono rimasto letteralmente folgorato dalla prima mezz'ora (la magia del Louvre, le riprese notturne in esterni) e dagli ultimi dieci minuti (notturni anche quelli) carichi di una rara intensita' emotiva con un Tom Hanks che nell'ordine: si rade, sanguina, ha una folgorazione (epifania?), legge, capisce e corre nella magica notte parigina, declamando versi mentre la straordinaria musica in crescendo di Hans Zimmer suggella il climax, l'apice, la fine di un film che non ha piu' bisogno di critiche feroci quanto gratuite. "Il Codice" dunque sta tutto qui: nelle riprese notturne, nella magia del LOUVRE e nel bellissimo finale. Il resto sono solo chiacchiere da bar. Perche' (poche balle ragazzi!) Dan Brown e' un bravissimo romanziere: sa scrivere, sa catturare il lettore e sa come tirar fuori il marcio della chiesa. Perche' la chiesa e' marcia sia chiaro, marcia fino al midollo con tutte le porcate che ha commesso in passato e che per certi versi sta continuando a perpetrare ai danni dell'umanita' - non ultima l'etichettare chi abortisce di essere un terrorista quando, al massimo, i veri terroristi sono proprio loro che negano ancora oggi l'ultilizzo degli anti-contraccettivi con l'idea malsana che il sesso debba essere praticato solo per procreare mettendo cosi' a rischio la vita di milioni di persone - (fedeli?). Ma lasciando perdere anche i vaneggiamenti della Chiesa e dell'Opus Dei che si sono scagliate (per paura che si diffondesse una sorta di verita'?) contro quest'opera letteraria manco si fosse trattato del libro delle "bestie di satana" e lasciando stare il divino che forse poi tanto divino non e' come teorizza (a ragione?)lo stesso Dan "Robert Langdon" Brown ribadiamo quanto appena detto, ovvero: che Akiva Goldsman rimane(giustamente) fedele al romanzo dall'intreccio inverosimile da risultare quasi credibile, che Ron Howard gira con mestiere, competenza e quel pizzico di furbizia (tutta hollywoodiana) che non gusta regalando uno spettacolo assicurato, e che Tom Hanks e' riuscito a regalarci un professore senza frusta e cappello, spaesato al punto giusto in un mondo non suo (e dico questo in risposta a chi lo criticava affermando a torto che la sua recitazione fosse senza spessore). Anzi, semmai la vera spaesata sembra essere proprio la francesina Tautou che forse non realizzava di recitare in un kolossal da 100 e passa milioni di dollari e non nel (suo) "Favoloso mondo di Amelie". Per il resto chiudiamo dicendo che: Paul Bettany risulta fin troppo credibile, Ian McKellen seppur sopra le righe resta estremamente coinvolgente, mentre per Jean Reno varrebbe lo stesso discorso fatto per la sua connazionale se non fosse che lui, al contrario di lei, ha gia’ dato prova di saper recitare. Infine da segnalare il grandissimo successo di pubblico italiano che, al contrario di quello (finto-bigotto-moralista) americano ha dimostrato coi fatti di saper apprezzare.

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