Le relazioni pericolose

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Un film di Stephen Frears. Con Michelle Pfeiffer, Glenn Close, John Malkovich, Uma Thurman, Keanu Reeves.
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Titolo originale Dangerous Liaisons. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 120 min. - USA 1988. - VM 14 - MYMONETRO Le relazioni pericolose * * * * - valutazione media: 4,32 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

BELLISSIMO Valutazione 5 stelle su cinque

di LaMazoniana


Feedback: 100
domenica 31 luglio 2011

Cosa dire di questo straordinario film,  vincitore di tre Premi Oscar, interpretato da attori superbi, tra i quali fanno capolino due giovanissimi Uma Thurman e Keanu Reaves, al loro primo ruolo di rilievo?
Come l’opera da cui è tratto (considerato il miglior romanzo epistolare mai scritto) credo che “Le relazioni pericolose” possa essere, in qualche modo, forse, riassunto in una sola frase, emblema dell’intera opera, ovvero la frase che la Marchesa de Merteuil dice al Visconte di Valmont: “La vanità è nemica della felicità”.
Perché è proprio per colpa dell’orgoglio, di un’insopprimibile vanità che Valmont sacrifica la donna che ama, la Presidentessa de Tourvel, per evitare che egli venga schernito dalla Marchesa, la quale giudica l’innamoramento, in un uomo come lui, una prova di codardia,  un infrangere del codice del libertino.  Ma forse Valmont non si rende conto neanche lui di quanto fosse innamorato: difatti, ha sempre cura di sostenere il contrario, ogni qual volta la Marchesa gli rinfaccia che ne è pazzo, anche dopo la consegna della famosa lettera di rottura (che nel film diventa un tragico colloquio tra lui e la Presidentessa, di cui è emblema la significativa frase “Trascende ogni mio controllo”).
Forse, nel film possiamo notare una Marchesa più “umana” rispetto al romanzo, una donna che, oltre ad essere capace di ordire intrighi infami solo per il gusto di nuocere alle sue vittime, è anche capace di debolezze e di sentimenti umani; più di una volta appare chiaro quanto ella sia attratta da Valmont, anzi, in una frase lo esprime chiaramente: “Io vi volevo ancor prima di conoscervi. Lo esigeva la mia presunzione. Poi quando cominciaste ad inseguirmi io vi volevo da morire. La sola volta che mi sono sentita dominata dal mio desiderio... in una singolar tenzone.”; come dimenticare, poi, la scena di costernante disperazione che ci offre una magistrale Glenn Close (la quale ammiriamo per tutto il tempo in una delle sue interpretazioni cinematografiche meglio riuscite), quando la machiavellica Marchesa viene a sapere della morte del Visconte.
La scena più struggente è senz’altro quella del duello e della conseguente morte di Valmont: qui notiamo un’ulteriore differenza, rispetto all’opera di De Laclos: in quest’ultima non sono riportati i particolari del duello, ma nel lungometraggio notiamo chiaramente come Valmont, sopraffatto dai rimorsi per aver lasciato Madame de Tourvel (la quale, nel frattempo, sta morendo per lui) si lascia letteralmente uccidere da Danceny, al quale consegna prima di spirare la corrispondenza che in quei mesi aveva avuto luogo tra lui e la Merteuil, corrispondenza che condanna definitivamente la Marchesa, smascherando i suoi perfidi intrighi dei quali ne erano divenuti vittima Cècile, Danceny, M.me de Tourvel, e lo stesso Valmont.
Altra differenza: alla fine del film Valmont dice a Danceny di riferire alla Signora de Tourvel quanto egli l’abbia amata e di come egli non sappia spiegarsi perché abbia dovuto interrompere la loro relazione ma che, dall’istante in cui si è separato da lei, la sua vita non ha avuto più alcun senso; nel romanzo, invece,  ella viene a sapere della morte dell’uomo amato in una conversazione tra il medico e Madame de Volanges, la quale si trova al suo capezzale, subendo così il colpo finale che la porterà alla morte.
La tragica fine della Marchesa, che nel film è “limitata” alla distruzione totale della sua reputazione in società, nel romanzo assume toni più drammatici: si ammala di vaiolo, riesce a guarire, ma ne esce sfigurata, cosicché “la sua anima è ora dipinta sul suo volto” (particolare che mi fa balzare alla mente un altro grande capolavoro, “Il ritratto di Dorian Grey”), perde tutti i suoi beni nel processo cui ella fa riferimento in alcune lettere, e fugge in Olanda.
Ma, per tutto il resto, il film è fedelissimo al romanzo, ed alla fedeltà della riproduzione cinematografica hanno contribuito senz’altro l’abilità di un grande regista (Stephen Frears), la bravura di tre attori eccezionali, ed una ricostruzione dell’epoca in cui vengono narrati i fatti (XVIII secolo) praticamente perfetta.
Credo che “Le Relazioni pericolose” sia ormai divenuto il mio film preferito; così come il romanzo è uno dei miei favoriti in assoluto; i suoi personaggi difficilmente si riescono a dimenticare e, personalmente, mai dimenticherò soprattutto la figura del Visconte de Valmont, libertino sarcastico ed egocentrico, ma ben più umano della Marchesa, vittima forse quanto gli altri delle spietate macchinazioni di quest’ultima,  consapevole di non poter vivere senza l’unica donna che egli abbia mai amato in tutta la sua vita.
 
 
 
Cosa dire di questo straordinario film,  vincitore di tre Premi Oscar, interpretato da attori superbi, tra i quali fanno capolino due giovanissimi Uma Thurman e Keanu Reaves, al loro primo ruolo di rilievo?
Come l’opera da cui è tratto (considerato il miglior romanzo epistolare mai scritto) credo che “Le relazioni pericolose” possa essere, in qualche modo, forse, riassunto in una sola frase, emblema dell’intera opera, ovvero la frase che la Marchesa de Merteuil dice al Visconte di Valmont: “La vanità è nemica della felicità”.
Perché è proprio per colpa dell’orgoglio, di un’insopprimibile vanità che Valmont sacrifica la donna che ama, la Presidentessa de Tourvel, per evitare che egli venga schernito dalla Marchesa, la quale giudica l’innamoramento, in un uomo come lui, una prova di codardia,  un infrangere del codice del libertino.  Ma forse Valmont non si rende conto neanche lui di quanto fosse innamorato: difatti, ha sempre cura di sostenere il contrario, ogni qual volta la Marchesa gli rinfaccia che ne è pazzo, anche dopo la consegna della famosa lettera di rottura (che nel film diventa un tragico colloquio tra lui e la Presidentessa, di cui è emblema la significativa frase “Trascende ogni mio controllo”).
Forse, nel film possiamo notare una Marchesa più “umana” rispetto al romanzo, una donna che, oltre ad essere capace di ordire intrighi infami solo per il gusto di nuocere alle sue vittime, è anche capace di debolezze e di sentimenti umani; più di una volta appare chiaro quanto ella sia attratta da Valmont, anzi, in una frase lo esprime chiaramente: “Io vi volevo ancor prima di conoscervi. Lo esigeva la mia presunzione. Poi quando cominciaste ad inseguirmi io vi volevo da morire. La sola volta che mi sono sentita dominata dal mio desiderio... in una singolar tenzone.”; come dimenticare, poi, la scena di costernante disperazione che ci offre una magistrale Glenn Close (la quale ammiriamo per tutto il tempo in una delle sue interpretazioni cinematografiche meglio riuscite), quando la machiavellica Marchesa viene a sapere della morte del Visconte.
La scena più struggente è senz’altro quella del duello e della conseguente morte di Valmont: qui notiamo un’ulteriore differenza, rispetto all’opera di De Laclos: in quest’ultima non sono riportati i particolari del duello, ma nel lungometraggio notiamo chiaramente come Valmont, sopraffatto dai rimorsi per aver lasciato Madame de Tourvel (la quale, nel frattempo, sta morendo per lui) si lascia letteralmente uccidere da Danceny, al quale consegna prima di spirare la corrispondenza che in quei mesi aveva avuto luogo tra lui e la Merteuil, corrispondenza che condanna definitivamente la Marchesa, smascherando i suoi perfidi intrighi dei quali ne erano divenuti vittima Cècile, Danceny, M.me de Tourvel, e lo stesso Valmont.
Altra differenza: alla fine del film Valmont dice a Danceny di riferire alla Signora de Tourvel quanto egli l’abbia amata e di come egli non sappia spiegarsi perché abbia dovuto interrompere la loro relazione ma che, dall’istante in cui si è separato da lei, la sua vita non ha avuto più alcun senso; nel romanzo, invece,  ella viene a sapere della morte dell’uomo amato in una conversazione tra il medico e Madame de Volanges, la quale si trova al suo capezzale, subendo così il colpo finale che la porterà alla morte.
La tragica fine della Marchesa, che nel film è “limitata” alla distruzione totale della sua reputazione in società, nel romanzo assume toni più drammatici: si ammala di vaiolo, riesce a guarire, ma ne esce sfigurata, cosicché “la sua anima è ora dipinta sul suo volto” (particolare che mi fa balzare alla mente un altro grande capolavoro, “Il ritratto di Dorian Grey”), perde tutti i suoi beni nel processo cui ella fa riferimento in alcune lettere, e fugge in Olanda.
Ma, per tutto il resto, il film è fedelissimo al romanzo, ed alla fedeltà della riproduzione cinematografica hanno contribuito senz’altro l’abilità di un grande regista (Stephen Frears), la bravura di tre attori eccezionali, ed una ricostruzione dell’epoca in cui vengono narrati i fatti (XVIII secolo) praticamente perfetta.
Credo che “Le Relazioni pericolose” sia ormai divenuto il mio film preferito; così come il romanzo è uno dei miei favoriti in assoluto; i suoi personaggi difficilmente si riescono a dimenticare e, personalmente, mai dimenticherò soprattutto la figura del Visconte de Valmont, libertino sarcastico ed egocentrico, ma ben più umano della Marchesa, vittima forse quanto gli altri delle spietate macchinazioni di quest’ultima,  consapevole di non poter vivere senza l’unica donna che egli abbia mai amato in tutta la sua vita.
 
 
 
Cosa dire di questo straordinario film,  vincitore di tre Premi Oscar, interpretato da attori superbi, tra i quali fanno capolino due giovanissimi Uma Thurman e Keanu Reaves, al loro primo ruolo di rilievo?
Come l’opera da cui è tratto (considerato il miglior romanzo epistolare mai scritto) credo che “Le relazioni pericolose” possa essere, in qualche modo, forse, riassunto in una sola frase, emblema dell’intera opera, ovvero la frase che la Marchesa de Merteuil dice al Visconte di Valmont: “La vanità è nemica della felicità”.
Perché è proprio per colpa dell’orgoglio, di un’insopprimibile vanità che Valmont sacrifica la donna che ama, la Presidentessa de Tourvel, per evitare che egli venga schernito dalla Marchesa, la quale giudica l’innamoramento, in un uomo come lui, una prova di codardia,  un infrangere del codice del libertino.  Ma forse Valmont non si rende conto neanche lui di quanto fosse innamorato: difatti, ha sempre cura di sostenere il contrario, ogni qual volta la Marchesa gli rinfaccia che ne è pazzo, anche dopo la consegna della famosa lettera di rottura (che nel film diventa un tragico colloquio tra lui e la Presidentessa, di cui è emblema la significativa frase “Trascende ogni mio controllo”).
Forse, nel film possiamo notare una Marchesa più “umana” rispetto al romanzo, una donna che, oltre ad essere capace di ordire intrighi infami solo per il gusto di nuocere alle sue vittime, è anche capace di debolezze e di sentimenti umani; più di una volta appare chiaro quanto ella sia attratta da Valmont, anzi, in una frase lo esprime chiaramente: “Io vi volevo ancor prima di conoscervi. Lo esigeva la mia presunzione. Poi quando cominciaste ad inseguirmi io vi volevo da morire. La sola volta che mi sono sentita dominata dal mio desiderio... in una singolar tenzone.”; come dimenticare, poi, la scena di costernante disperazione che ci offre una magistrale Glenn Close (la quale ammiriamo per tutto il tempo in una delle sue interpretazioni cinematografiche meglio riuscite), quando la machiavellica Marchesa viene a sapere della morte del Visconte.
La scena più struggente è senz’altro quella del duello e della conseguente morte di Valmont: qui notiamo un’ulteriore differenza, rispetto all’opera di De Laclos: in quest’ultima non sono riportati i particolari del duello, ma nel lungometraggio notiamo chiaramente come Valmont, sopraffatto dai rimorsi per aver lasciato Madame de Tourvel (la quale, nel frattempo, sta morendo per lui) si lascia letteralmente uccidere da Danceny, al quale consegna prima di spirare la corrispondenza che in quei mesi aveva avuto luogo tra lui e la Merteuil, corrispondenza che condanna definitivamente la Marchesa, smascherando i suoi perfidi intrighi dei quali ne erano divenuti vittima Cècile, Danceny, M.me de Tourvel, e lo stesso Valmont.
Altra differenza: alla fine del film Valmont dice a Danceny di riferire alla Signora de Tourvel quanto egli l’abbia amata e di come egli non sappia spiegarsi perché abbia dovuto interrompere la loro relazione ma che, dall’istante in cui si è separato da lei, la sua vita non ha avuto più alcun senso; nel romanzo, invece,  ella viene a sapere della morte dell’uomo amato in una conversazione tra il medico e Madame de Volanges, la quale si trova al suo capezzale, subendo così il colpo finale che la porterà alla morte.
La tragica fine della Marchesa, che nel film è “limitata” alla distruzione totale della sua reputazione in società, nel romanzo assume toni più drammatici: si ammala di vaiolo, riesce a guarire, ma ne esce sfigurata, cosicché “la sua anima è ora dipinta sul suo volto” (particolare che mi fa balzare alla mente un altro grande capolavoro, “Il ritratto di Dorian Grey”), perde tutti i suoi beni nel processo cui ella fa riferimento in alcune lettere, e fugge in Olanda.
Ma, per tutto il resto, il film è fedelissimo al romanzo, ed alla fedeltà della riproduzione cinematografica hanno contribuito senz’altro l’abilità di un grande regista (Stephen Frears), la bravura di tre attori eccezionali, ed una ricostruzione dell’epoca in cui vengono narrati i fatti (XVIII secolo) praticamente perfetta.
Credo che “Le Relazioni pericolose” sia ormai divenuto il mio film preferito; così come il romanzo è uno dei miei favoriti in assoluto; i suoi personaggi difficilmente si riescono a dimenticare e, personalmente, mai dimenticherò soprattutto la figura del Visconte de Valmont, libertino sarcastico ed egocentrico, ma ben più umano della Marchesa, vittima forse quanto gli altri delle spietate macchinazioni di quest’ultima,  consapevole di non poter vivere senza l’unica donna che egli abbia mai amato in tutta la sua vita.
 
 
 
Cosa dire di questo straordinario film,  vincitore di tre Premi Oscar, interpretato da attori superbi, tra i quali fanno capolino due giovanissimi Uma Thurman e Keanu Reaves, al loro primo ruolo di rilievo?
Come l’opera da cui è tratto (considerato il miglior romanzo epistolare mai scritto) credo che “Le relazioni pericolose” possa essere, in qualche modo, forse, riassunto in una sola frase, emblema dell’intera opera, ovvero la frase che la Marchesa de Merteuil dice al Visconte di Valmont: “La vanità è nemica della felicità”.
Perché è proprio per colpa dell’orgoglio, di un’insopprimibile vanità che Valmont sacrifica la donna che ama, la Presidentessa de Tourvel, per evitare che egli venga schernito dalla Marchesa, la quale giudica l’innamoramento, in un uomo come lui, una prova di codardia,  un infrangere del codice del libertino.  Ma forse Valmont non si rende conto neanche lui di quanto fosse innamorato: difatti, ha sempre cura di sostenere il contrario, ogni qual volta la Marchesa gli rinfaccia che ne è pazzo, anche dopo la consegna della famosa lettera di rottura (che nel film diventa un tragico colloquio tra lui e la Presidentessa, di cui è emblema la significativa frase “Trascende ogni mio controllo”).
Forse, nel film possiamo notare una Marchesa più “umana” rispetto al romanzo, una donna che, oltre ad essere capace di ordire intrighi infami solo per il gusto di nuocere alle sue vittime, è anche capace di debolezze e di sentimenti umani; più di una volta appare chiaro quanto ella sia attratta da Valmont, anzi, in una frase lo esprime chiaramente: “Io vi volevo ancor prima di conoscervi. Lo esigeva la mia presunzione. Poi quando cominciaste ad inseguirmi io vi volevo da morire. La sola volta che mi sono sentita dominata dal mio desiderio... in una singolar tenzone.”; come dimenticare, poi, la scena di costernante disperazione che ci offre una magistrale Glenn Close (la quale ammiriamo per tutto il tempo in una delle sue interpretazioni cinematografiche meglio riuscite), quando la machiavellica Marchesa viene a sapere della morte del Visconte.
La scena più struggente è senz’altro quella del duello e della conseguente morte di Valmont: qui notiamo un’ulteriore differenza, rispetto all’opera di De Laclos: in quest’ultima non sono riportati i particolari del duello, ma nel lungometraggio notiamo chiaramente come Valmont, sopraffatto dai rimorsi per aver lasciato Madame de Tourvel (la quale, nel frattempo, sta morendo per lui) si lascia letteralmente uccidere da Danceny, al quale consegna prima di spirare la corrispondenza che in quei mesi aveva avuto luogo tra lui e la Merteuil, corrispondenza che condanna definitivamente la Marchesa, smascherando i suoi perfidi intrighi dei quali ne erano divenuti vittima Cècile, Danceny, M.me de Tourvel, e lo stesso Valmont.
Altra differenza: alla fine del film Valmont dice a Danceny di riferire alla Signora de Tourvel quanto egli l’abbia amata e di come egli non sappia spiegarsi perché abbia dovuto interrompere la loro relazione ma che, dall’istante in cui si è separato da lei, la sua vita non ha avuto più alcun senso; nel romanzo, invece,  ella viene a sapere della morte dell’uomo amato in una conversazione tra il medico e Madame de Volanges, la quale si trova al suo capezzale, subendo così il colpo finale che la porterà alla morte.
La tragica fine della Marchesa, che nel film è “limitata” alla distruzione totale della sua reputazione in società, nel romanzo assume toni più drammatici: si ammala di vaiolo, riesce a guarire, ma ne esce sfigurata, cosicché “la sua anima è ora dipinta sul suo volto” (particolare che mi fa balzare alla mente un altro grande capolavoro, “Il ritratto di Dorian Grey”), perde tutti i suoi beni nel processo cui ella fa riferimento in alcune lettere, e fugge in Olanda.
Ma, per tutto il resto, il film è fedelissimo al romanzo, ed alla fedeltà della riproduzione cinematografica hanno contribuito senz’altro l’abilità di un grande regista (Stephen Frears), la bravura di tre attori eccezionali, ed una ricostruzione dell’epoca in cui vengono narrati i fatti (XVIII secolo) praticamente perfetta.
Credo che “Le Relazioni pericolose” sia ormai divenuto il mio film preferito; così come il romanzo è uno dei miei favoriti in assoluto; i suoi personaggi difficilmente si riescono a dimenticare e, personalmente, mai dimenticherò soprattutto la figura del Visconte de Valmont, libertino sarcastico ed egocentrico, ma ben più umano della Marchesa, vittima forse quanto gli altri delle spietate macchinazioni di quest’ultima,  consapevole di non poter vivere senza l’unica donna che egli abbia mai amato in tutta la sua vita.
 
 
 

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