Titolo originale | Soko nomi nite hikari kagayaku |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Giappone |
Regia di | Mipo Oh |
Attori | Gô Ayano, Chizuru Ikewaki, Masaki Suda, Kazuya Takahashi, Shôhei Hino Hiroko Isayama, Taijirô Tamura, Eita Okuno, Morio Akada, Naoki Kondô. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 9 marzo 2015
Il film ha rappresentato il Giappone per la competizione del Miglior Film in Lingua Straniera degli Oscar 2015. Il film ha ottenuto 3 candidature e vinto un premio ai Asian Film Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Sato Tatsuo passa le sue giornate a giocare a pachinko e ubriacarsi, forse per espiare una colpa pregressa, che lo ha portato a un esilio volontario. Durante le sue peregrinazioni incontra Takuji, un giovane di buon cuore che lo introduce alla sua famiglia disagiata: il padre malato di sesso, la madre sfinita e la sorella Chinatsu, che provvede alle necessità di tutti, fino a prostituirsi pur di permettere a Takuji di godere della libertà condizionata. Ma fin dal primo sguardo tra Chinatsu e Tatsuo nasce un'inesplicabile intesa e forse una via di fuga da tanta disperazione.
Basato su un romanzo di Sato Yasushi, morto suicida poco dopo la sua pubblicazione, The Light Shines Only There è il secondo film di O Mipo, regista e sceneggiatrice nippocoreana che, dopo una carriera di commedie, si cimenta con il registro tragico. Assistito da una fotografia impeccabile, con pochissimi chiari e molti scuri, The Light Shines Only There cresce sotto pelle man mano che ci si addentra nelle profondità degli abissi morali di una località di mare a Hokkaido. Dove la vicinanza dell'acqua non rappresenta in alcun modo un ritorno alla vita, ma al contrario la stagnazione di uno stato di cose che pare destinato all'immutabilità, finché un elemento estraneo alla comunità non destabilizza gli equilibri consolidati. La regista sceglie di non lasciarsi andare al romanticismo dell'irrealtà, rimanendo con i piedi solidamente piantati in un complicato presente, nell'orrore persistente di un quotidiano che nulla sembra poter scalfire. E così il protagonista Sato cerca passivamente la sua redenzione per i traumi pregressi, ma finisce per imbattersi in drammi e ingiustizie tali da sollecitare un suo intervento riparatore e riportarlo così ad essere artefice del proprio destino. Pochissimi e ben dosati i primi piani in quello che rimane soprattutto un affresco corale, un esempio del cosiddetto dorodoro, termine giapponese che si può semplificare con "dramma di ambito familiare".
Situazioni già viste - l'eredità di una generazione che ha fallito, la prigione della colpa e delle sue catene che non si possono spezzare - e temi scabrosi affrontati di frequente dal cinema nipponico e da quello d'autore internazionale, ma O Mipo, pur senza sorprendere, dimostra di muoversi con la disinvoltura del veterano tra i canoni più consolidati.