The Brutalist

   
   
   

brutalmente ambizioso Valutazione 3 stelle su cinque

di Mauridal


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lunedì 3 marzo 2025

 Quando un film si presenta chiaro fin dalle prime inquadrature, ma poi si sviluppa su molteplici temi per tre ore e mezza, il rischio è che il significato ultimo si disperda. The Brutalist è un esempio di cinema ambizioso, dove l'eccesso può talvolta offuscare l'intento del regista. Il film si apre con un'immagine potente: la Statua della Libertà capovolta. Per lo spettatore, è un simbolo ribaltato, mentre per il protagonista, che sbarca in America, essa rappresenta la speranza di una nuova vita. Questo spunto visivo introduce il tema dell’emigrazione, già esplorato in molte altre opere cinematografiche, ma qui declinato attraverso la storia di un uomo che non porta con sé una semplice valigia di cartone, bensì un bagaglio di talento e genialità. Laszlò Toth, ebreo ungherese e architetto, fugge da Budapest nel 1947 per evitare la persecuzione nazista e per realizzare la sua visione artistica in America. Formatosi nel dopoguerra secondo i principi dell'architettura moderna del Bauhaus, abbraccia lo stile brutalista, caratterizzato dalla rudezza dei materiali e dal rigore delle forme: edifici in ferro, acciaio e cemento grezzo, privi di decorazioni superflue. Questa concezione architettonica riflette anche la sua psicologia, segnata da un passato di dolore ma animata dal desiderio di cambiare il mondo con la propria arte. Tuttavia, nel corso del film, queste certezze vengono progressivamente smantellate.La statua capovolta si rivela dunque un presagio: l’America degli anni ’50 è un Paese in espansione, dominato dalla ricchezza e dall’ostentazione, un contesto in cui il rigore formale di Laszlò fatica a trovare spazio. Nonostante il supporto di un cugino già integrato nella società americana, è costretto ad accettare lavori minori, come arredatore. Accanto a lui, c'è la moglie, rimasta in Ungheria in attesa di poterlo raggiungere. Il loro legame è profondo, e la sua presenza aleggia costantemente nei pensieri e nelle scelte di Laszlò. La vera svolta arriva con l’entrata in scena del magnate miliardario Harrison Lee Van Buren, che decide di affidare a Laszlò la progettazione di un grande centro culturale in memoria della madre. Quella che sembra un’opportunità straordinaria si trasforma però nell’inizio di una parabola discendente, segnata da compromessi, scontri e sofferenze. Il film si struttura allora su un dualismo sempre più netto tra i due personaggi: da un lato il committente, un uomo di potere dalla personalità violenta e manipolatrice, dall’altro l’architetto visionario, sottomesso alla logica del denaro e vittima di discriminazioni. Brady Corbet evidenzia con forza la disparità tra il potere economico, concentrato nelle mani di pochi miliardari, e la lotta di artisti e creativi che cercano di lasciare un segno nella società. Nel lungo percorso narrativo, lo spettatore è chiamato a distinguere tra queste due figure e a cogliere la scelta del regista di far prevalere la brutalità di Harrison sul sogno di Laszlò. Solo nel finale l’architetto riuscirà a ritrovare sua moglie e a proseguire il suo lavoro, completando il progetto che gli era stato sottratto. Corbet, estraneo alle logiche di Hollywood, realizza così un'opera critica nei confronti del sistema americano. Il film affronta molteplici temi, tra cui la psicologia del protagonista e la sua vana ricerca di una terra promessa che l’America non si rivelerà essere. The Brutalist è un’opera impegnativa sia per il regista che per lo spettatore, ma trova il suo punto di forza nella straordinaria interpretazione di Adrien Brody, che rende Laszlò un personaggio credibile e intenso, nonostante la complessità della sceneggiatura.( Mauridal)

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