toninob
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mercoledì 12 marzo 2025
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? grande film !!!
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… ma se non amate il Cinema 🎥 (con la "C" MAIUSCOLA), risparmiate i soldi del biglietto (e, soprattutto, non scrivete INUTILI recensioni …)
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clara stroppiana
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mercoledì 5 marzo 2025
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quel troppo che non giovca
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“The Brutalist è uno dei pochi film che parlano di architettura”. Lo ha affermato lo stesso regista, lo statunitense Brady Corbet. Nella locandina è ripreso un fotogramma in cui la Statua della Libertà è rappresentata a testa in giù e le scritte sono disposte in diagonale. Sembra dirci che gli ideali espressi da quel monumento hanno subito uno scossone e siamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti. In effetti questo è un film con varie tracce, anche se si è scelto di annunciarlo come il racconto di una corrente architettonica, il Brutalismo, fatto attraverso la biografia di un suo esponente, “il brutalista” del titolo: l’architetto László Tóth interpretato da Adrien Brody (Oscar al miglior attore protagonista) un ebreo ungherese, formatosi alla Bauhaus, che aveva ottenuto notorietà e successo.
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“The Brutalist è uno dei pochi film che parlano di architettura”. Lo ha affermato lo stesso regista, lo statunitense Brady Corbet. Nella locandina è ripreso un fotogramma in cui la Statua della Libertà è rappresentata a testa in giù e le scritte sono disposte in diagonale. Sembra dirci che gli ideali espressi da quel monumento hanno subito uno scossone e siamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti. In effetti questo è un film con varie tracce, anche se si è scelto di annunciarlo come il racconto di una corrente architettonica, il Brutalismo, fatto attraverso la biografia di un suo esponente, “il brutalista” del titolo: l’architetto László Tóth interpretato da Adrien Brody (Oscar al miglior attore protagonista) un ebreo ungherese, formatosi alla Bauhaus, che aveva ottenuto notorietà e successo. La sua brillante carriera si era interrotta nel ’43 quando era stato deportato nel campo di Buchenwald. Sopravvissuto, era riuscito a raggiungere gli Stati Uniti con la speranza di una nuova vita. Meglio dire subito che László Tóth non è mai esistito. Inutile andarlo a cercare in rete dove si troverebbe solo il suo omonimo, quell’ungherese che vandalizzò La Pietà michelangiolesca a San Pietro. Il nostro e’ un personaggio immaginario uscito dalla penna dei due sceneggiatori: lo stesso Corbet e Mona Fastvold. Eppure mentre assistiamo allo svolgersi della sua vita, dimentichiamo di essere in presenza di un “falso”, almeno fino a un certo punto. Per la costruzione del protagonista si sono avvalsi delle biografie di alcuni architetti cronologicamente e artisticamente vicini. Questo da una parte lo ha reso verosimile, ma dall’altra ha finito per caricare sulle sue spalle troppe delle problematiche dell’epoca con un effetto “too much”.
Il film parte da un’idea interessante, prendere in prestito l’architettura per disegnare il ritratto di un Paese (di una parte di Mondo in verità) che sta costruendo il nuovo sulle macerie di un passato verso il quale ha il dovere della memoria. Nello sviluppo però si perde e non riesce a controllare la mole delle vicende che si propone di raccontare.
La Storia si affaccia attraverso gli schermi televisivi su cui passano brevi estratti dei notiziari dell’epoca ad accompagnare sia quel che accade nel privato dei personaggi, sia i conflitti che caratterizzano la società americana dell’immediato Dopoguerra e le ferite ancora sanguinanti rispetto alle quali non tutti riescono o vogliono voltare pagina. Non sempre questa scelta funziona: a volte fornisce allo spettatore informazioni necessarie, ma altre appaiono pleonastiche, come la notizia del diffondersi dell’eroina dalla quale il protagonista ha sviluppato una dipendenza. L’impressione è che Corbet non sia riuscito a sfrondare il superfluo, che si sia fatto prendere la mano dalla preoccupazione di dover dire e spiegare tutto. Il breve riferimento alle azioni dei partigiani italiani fatto durante la visita ai marmi di Carrara non solo è inutile, ma rovina l’emozionante ripresa delle cave del britannico Lol Crawley che si è aggiudicato l’Oscar per la miglior fotografia. Lo stupro di Tóth da parte di Harrison Lee Van Buren (un ottimo Guy Pearse), un ricco industriale diventato suo mecenate, è una metafora eccessiva, non necessaria per esprimere quella violenza che di fatto esercita chi detiene il potere economico, già ben esplicitata in tutta la narrazione.
Nello svolgimento della trama, che abbraccia all’incirca gli ultimi trentacinque anni della difficile vita del protagonista, lo spettatore apprende per sommi capi i principi estetici del Brutalismo: le béton brut (cemento a vista) da cui prende nome e la semplice geometria delle forme. Principi esemplificati da un grandioso edificio che Van Buren vuole far costruire in cima a una collina e dedicare alla memoria della madre. Dal momento della sua progettazione, alla realizzazione del plastico, ai lavori per la sua edificazione, diventa il cardine della vita di László, l’oggetto dei suoi tormenti interiori e delle lotte che deve sostenere con i cittadini, l’appaltatore, le maestranze, perfino la moglie, perché tutti, per motivi diversi, minacciano di allontanarlo dal suo progetto e di snaturarne l’essenza. Le scelte estreme a cui arriva per difenderlo non risiedono tanto, o non solo, nelle convinzioni artistiche, quanto nel legame che l’edificio ha con i campi di sterminio che hanno segnato la sua vita, quella della sua famiglia e di un intero popolo. L’opera rimanda anche visivamente al monumento alle vittime dell’olocausto di Berlino e non avrebbe affatto bisogno dello “spiegone” con cui il film si conclude nell’Epilogo.
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mauridal
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lunedì 3 marzo 2025
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brutalmente ambizioso
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Quando un film si presenta chiaro fin dalle prime inquadrature, ma poi si sviluppa su molteplici temi per tre ore e mezza, il rischio è che il significato ultimo si disperda. The Brutalist è un esempio di cinema ambizioso, dove l'eccesso può talvolta offuscare l'intento del regista. Il film si apre con un'immagine potente: la Statua della Libertà capovolta. Per lo spettatore, è un simbolo ribaltato, mentre per il protagonista, che sbarca in America, essa rappresenta la speranza di una nuova vita.
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Quando un film si presenta chiaro fin dalle prime inquadrature, ma poi si sviluppa su molteplici temi per tre ore e mezza, il rischio è che il significato ultimo si disperda. The Brutalist è un esempio di cinema ambizioso, dove l'eccesso può talvolta offuscare l'intento del regista. Il film si apre con un'immagine potente: la Statua della Libertà capovolta. Per lo spettatore, è un simbolo ribaltato, mentre per il protagonista, che sbarca in America, essa rappresenta la speranza di una nuova vita. Questo spunto visivo introduce il tema dell’emigrazione, già esplorato in molte altre opere cinematografiche, ma qui declinato attraverso la storia di un uomo che non porta con sé una semplice valigia di cartone, bensì un bagaglio di talento e genialità. Laszlò Toth, ebreo ungherese e architetto, fugge da Budapest nel 1947 per evitare la persecuzione nazista e per realizzare la sua visione artistica in America. Formatosi nel dopoguerra secondo i principi dell'architettura moderna del Bauhaus, abbraccia lo stile brutalista, caratterizzato dalla rudezza dei materiali e dal rigore delle forme: edifici in ferro, acciaio e cemento grezzo, privi di decorazioni superflue. Questa concezione architettonica riflette anche la sua psicologia, segnata da un passato di dolore ma animata dal desiderio di cambiare il mondo con la propria arte. Tuttavia, nel corso del film, queste certezze vengono progressivamente smantellate.La statua capovolta si rivela dunque un presagio: l’America degli anni ’50 è un Paese in espansione, dominato dalla ricchezza e dall’ostentazione, un contesto in cui il rigore formale di Laszlò fatica a trovare spazio. Nonostante il supporto di un cugino già integrato nella società americana, è costretto ad accettare lavori minori, come arredatore. Accanto a lui, c'è la moglie, rimasta in Ungheria in attesa di poterlo raggiungere. Il loro legame è profondo, e la sua presenza aleggia costantemente nei pensieri e nelle scelte di Laszlò. La vera svolta arriva con l’entrata in scena del magnate miliardario Harrison Lee Van Buren, che decide di affidare a Laszlò la progettazione di un grande centro culturale in memoria della madre. Quella che sembra un’opportunità straordinaria si trasforma però nell’inizio di una parabola discendente, segnata da compromessi, scontri e sofferenze. Il film si struttura allora su un dualismo sempre più netto tra i due personaggi: da un lato il committente, un uomo di potere dalla personalità violenta e manipolatrice, dall’altro l’architetto visionario, sottomesso alla logica del denaro e vittima di discriminazioni. Brady Corbet evidenzia con forza la disparità tra il potere economico, concentrato nelle mani di pochi miliardari, e la lotta di artisti e creativi che cercano di lasciare un segno nella società. Nel lungo percorso narrativo, lo spettatore è chiamato a distinguere tra queste due figure e a cogliere la scelta del regista di far prevalere la brutalità di Harrison sul sogno di Laszlò. Solo nel finale l’architetto riuscirà a ritrovare sua moglie e a proseguire il suo lavoro, completando il progetto che gli era stato sottratto. Corbet, estraneo alle logiche di Hollywood, realizza così un'opera critica nei confronti del sistema americano. Il film affronta molteplici temi, tra cui la psicologia del protagonista e la sua vana ricerca di una terra promessa che l’America non si rivelerà essere. The Brutalist è un’opera impegnativa sia per il regista che per lo spettatore, ma trova il suo punto di forza nella straordinaria interpretazione di Adrien Brody, che rende Laszlò un personaggio credibile e intenso, nonostante la complessità della sceneggiatura.( Mauridal)
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maria francesca francesca anili
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giovedì 27 febbraio 2025
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un lungo viaggio a ritroso tra storia e psiche
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Controcorrente con la maggior parte dei commenti letti finora, ho apprezzato la costruzione della storia nel suo lento svolgersi. L'evidente omonimia con il noto geologo attentatore alla Pietà può rimandare secondo me al tema del danno, al bisogno dell'uomo di richiudere vecchie ferite. C'è chi lo fa accanendosi contro un capolavoro, chi accanendosi in una progettazione ostinata e solitaria. La storia del progetto del centro culturale è, a mio avviso, il debito che l'architetto Toth sente di dover saldare con il suo passato, con il miracolo della sopravvivenza, con la scia di dolore che lo porta a diventare un tossicodipendente. Non è un caso che, nella difficoltà psicologica di recuperare il rapporto con la sessualità, uno dei momenti di vicinanza carnale con la moglie coincide con l'oblio, con l'annullamento della memoria di entrambi nella droga.
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Controcorrente con la maggior parte dei commenti letti finora, ho apprezzato la costruzione della storia nel suo lento svolgersi. L'evidente omonimia con il noto geologo attentatore alla Pietà può rimandare secondo me al tema del danno, al bisogno dell'uomo di richiudere vecchie ferite. C'è chi lo fa accanendosi contro un capolavoro, chi accanendosi in una progettazione ostinata e solitaria. La storia del progetto del centro culturale è, a mio avviso, il debito che l'architetto Toth sente di dover saldare con il suo passato, con il miracolo della sopravvivenza, con la scia di dolore che lo porta a diventare un tossicodipendente. Non è un caso che, nella difficoltà psicologica di recuperare il rapporto con la sessualità, uno dei momenti di vicinanza carnale con la moglie coincide con l'oblio, con l'annullamento della memoria di entrambi nella droga. Fuori, c'è l'America che risorge, ricca, a volte sguaiata e bisognosa di un imprimatur culturale che solo la vecchia Europa potrà fornire; dentro, le memorie e le coscienze, c'è un passato che ha rubato la parola, sbriciolato le ossa, portato a rifiutare il sogno di una vita normale. Rimane, solo, l'affermazione di sè, attraverso l'architettura, la forza degli spazi e la vibrazione della materia e della luce. Forti le immagini della cava di Carrara, così come la sequenza di apertura della statua della Libertà e, in chiusura, lo svettare delle torri campanile-crematorio, in un movimento di eterno ritorno in cui le singole storie degli uomini, i loro sogni di rinascita, di fama e profitto, o anche il sogno collettivo di una vecchia e nuova terra promessa, si annullano in un raggio di luce.
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jonnylogan
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domenica 23 febbraio 2025
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un (parziale) capolavoro
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Dieci candidature agli Oscar per una pellicola firmata dal 37enne regista, e ancor prima attore; Brady Corbet, che nel 2007 appariva fra i protagonisti del remake, shot-for-shot, di Funny Games (id.; 2007). Per l’occasione Corbet crea una personale crasi fra una branca dell’architettura e le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. Vergando una sceneggiatura a quattro mani con la moglie Mona Fastvold, che affonda le proprie radici in una vicenda umana che ricorda quella di migliaia di altri scampati alla furia nazista e che con fatica si sono mossi verso il ‘nuovo mondo’ alla ricerca di una vita migliore, pur senza dimenticarsi quello che li aveva psicologicamente segnati in maniera irrimediabile.
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Dieci candidature agli Oscar per una pellicola firmata dal 37enne regista, e ancor prima attore; Brady Corbet, che nel 2007 appariva fra i protagonisti del remake, shot-for-shot, di Funny Games (id.; 2007). Per l’occasione Corbet crea una personale crasi fra una branca dell’architettura e le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. Vergando una sceneggiatura a quattro mani con la moglie Mona Fastvold, che affonda le proprie radici in una vicenda umana che ricorda quella di migliaia di altri scampati alla furia nazista e che con fatica si sono mossi verso il ‘nuovo mondo’ alla ricerca di una vita migliore, pur senza dimenticarsi quello che li aveva psicologicamente segnati in maniera irrimediabile.
L’epopea dell’immaginario architetto Toth diventa fra le mani di Corbet una peregrinazione fra le sue fobie e i suoi vizi. Impossibile non notarne la dipendenza da stupefacenti, dall’alcool e dalle sigarette. Il cui romanzo di vita è scomposto in tre capitoli: L’enigma dell’arrivo. Il nocciolo duro della bellezza, fino a una conclusione (Epilogo) che spiega molto, ma non tutto, delle scelte di vita e professionali di un uomo che come tutti è pieno di dubbi, incertezze e punti oscuri, che a fine film saranno solo in parte svelati.
Adrien Brody, nel ruolo di un protagonista dotato di un talento inaudito per la progettazione di ambienti, e dopo il ruolo di Władysław Szpilman ne Il Pianista (The Pianist; 2002) di Roman Polanski, prenota una seconda statuetta per il ruolo di un nuovo sopravvissuto ai campi di sterminio. Al suo fianco un cast di alto profilo, nel quale svetta Guy Pearce nella parte del mecenate Van Buren, per una pellicola nel complesso osannata da critica e incassi e capace di prenotare altre nove possibili statuette. Ma anche film la cui lunghezza può rappresentarne un handicap. In cui la narrazione si perde in elucubrazioni probabilmente superflue e il cui intento del regista era di certo quello di narrare una storia universale ma nella quale, per quanto le buone intenzioni iniziali sono in parte rispettate, la fanno principalmente da padrone la capacità di ottenere un prodotto curato nei dettagli e spendibile come film di cassetta dal facile successo commerciale.
Film consigliabile a chi ama le passioni vissute nella loro forma più pura e viscerale. Ma film che ci sentiamo di sconsigliare a chi non apprezza le pellicole fiume che si perdono nei meandri mentali dell’autore e del suo protagonista.
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lucilla ricottini
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domenica 23 febbraio 2025
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grande aspettativa delusione ancora pi? grande
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La mia valutazione negativa va soprattutto alla sceneggiatura, piena di luoghi comuni e pretenziosa, che vuole trattare troppi temi importanti in un tempo, lungo, ma forse breve per farlo. Sarebbe stato meglio scegliere un tema solo e seguirlo in una maniera più profonda e scevro da luoghi comuni. Anche a me, come ad altri lettori, viene il dubbio che si sia strizzato l'occhiolino a un Elite culturale - religiosa che si riconosce in alcuni personaggi e in alcune situazioni, per finanziare generosamente la produzione. Mi auguro che siano film migliori a vincere gli Oscar anche se riconosco che l'interpretazione dei protagonisti e la fotografia sono di ottimo livello
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lorenzo salvi
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domenica 23 febbraio 2025
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pi? di tre ore del mio tempo buttate
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Trama caotica
Sceneggiatura darotocalco
Ortografia corriva che cerca di guadagnarsi l'approvazione del pubblico con mezzucci triviali
Mi sento preso in giro dalle critiche dei professionisti che mi hanno convinto a spendere i soldi del biglietto ma ancor peggio il mio tempo e per un film così insulso.
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elebar
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giovedì 20 febbraio 2025
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un film urgente, luminoso
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15 febbraio 2025
Ieri sera ho visto The Brutalist.
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15 febbraio 2025
Ieri sera ho visto The Brutalist. Non riesco a smettere di pensarci. Un film immenso: la tensione ordinaria di una vita fuori dal comune, messa in scena come una biografia perfettamente cucita su misura per Adrien Brody. Solo lui poteva interpretare magistralmente la fragilità umana e il genio. Due aspetti che, nell’animo di László Toth, il personaggio che interpreta, e in quello di tutti noi, si fondono fino a confondersi.
Un film urgente, luminoso e drammatico allo stesso tempo.
L’impianto storico. La vita intima. La condizione di straniero in terra straniera. L’America e le sue promesse infrante.
Il mestiere dell’architettura. L’architettura come unica risposta al dolore. Al mistero del dolore. Al brutale mistero del dolore.
Le profetiche coincidenze. László è Erzsébet. Due individui giganteschi, disarmanti, che si leccano reciprocamente le ferite.
E infine il loro amore, che li salva entrambi.
Poi c’è la fotografia: travolgente messa in scena di quei paesaggi naturalistici e pensilvanici. La rivolta del Brutalismo, corrente architettonica capace di mettere in ombra il modernariato e l’ornamento, che Loos descriveva come “delitto”.
Un modo di fare progettazione che denuda gli spazi, spogliandoli di ogni vezzo per restituirne la bellezza essenziale: edifici puri, ascetici.
E poi la luce. Mi ha colpito la luce nel film.
Una luce che pervade le costruzioni in cemento progettate da László Toth. Una luce che si scontra con le anime tormentate dei protagonisti, con i loro corpi segnati dagli orrori della guerra e dalle promesse tradite dei potenti. Ricchi individui spietati.
Mai frase fu più vera di quella che recita: “Chi ama, dimentica”. Solo chi ama può dimenticare. E guardare più in là, un po’ più in là ..
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elebar
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giovedì 20 febbraio 2025
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un film urgente, luminoso
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15 febbraio 2025
Ieri sera ho visto The Brutalist.
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15 febbraio 2025
Ieri sera ho visto The Brutalist. Non riesco a smettere di pensarci. Un film immenso: la tensione ordinaria di una vita fuori dal comune, messa in scena come una biografia perfettamente cucita su misura per Adrien Brody. Solo lui poteva interpretare magistralmente la fragilità umana e il genio. Due aspetti che, nell’animo di László Toth, il personaggio che interpreta, e in quello di tutti noi, si fondono fino a confondersi.
Un film urgente, luminoso e drammatico allo stesso tempo.
L’impianto storico. La vita intima. La condizione di straniero in terra straniera. L’America e le sue promesse infrante.
Il mestiere dell’architettura. L’architettura come unica risposta al dolore. Al mistero del dolore. Al brutale mistero del dolore.
Le profetiche coincidenze. László è Erzsébet. Due individui giganteschi, disarmanti, che si leccano reciprocamente le ferite.
E infine il loro amore, che li salva entrambi.
Poi c’è la fotografia: travolgente messa in scena di quei paesaggi naturalistici e pensilvanici. La rivolta del Brutalismo, corrente architettonica capace di mettere in ombra il modernariato e l’ornamento, che Loos descriveva come “delitto”.
Un modo di fare progettazione che denuda gli spazi, spogliandoli di ogni vezzo per restituirne la bellezza essenziale: edifici puri, ascetici.
E poi la luce. Mi ha colpito la luce nel film.
Una luce che pervade le costruzioni in cemento progettate da László Toth. Una luce che si scontra con le anime tormentate dei protagonisti, con i loro corpi segnati dagli orrori della guerra e dalle promesse tradite dei potenti. Ricchi individui spietati.
Mai frase fu più vera di quella che recita: “Chi ama, dimentica”. Solo chi ama può dimenticare. E guardare più in là, un po’ più in là ..
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15 febbraio 2025 Ieri sera ho visto The Brutalist. Non riesco a smettere di pensarci. Un film immenso: la tensione ordinaria di una vita fuori dal comune, messa in scena come una biografia perfettamente cucita su misura per Adrien Brody. Solo lui poteva interpretare magistralmente la fragilit? umana e il genio. Due aspetti che, nell?animo di L?szl? Toth, il personaggio che interpreta, e in quello di tutti noi, si fondono fino a confondersi.
Un film urgente, luminoso e drammatico allo stesso tempo. L?impianto storico. La vita intima. La condizione di straniero in terra straniera. L?America e le sue promesse infrante. Il mestiere dell?architettura. L?architettura come unica risposta al dolore.
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15 febbraio 2025 Ieri sera ho visto The Brutalist. Non riesco a smettere di pensarci. Un film immenso: la tensione ordinaria di una vita fuori dal comune, messa in scena come una biografia perfettamente cucita su misura per Adrien Brody. Solo lui poteva interpretare magistralmente la fragilit? umana e il genio. Due aspetti che, nell?animo di L?szl? Toth, il personaggio che interpreta, e in quello di tutti noi, si fondono fino a confondersi.
Un film urgente, luminoso e drammatico allo stesso tempo. L?impianto storico. La vita intima. La condizione di straniero in terra straniera. L?America e le sue promesse infrante. Il mestiere dell?architettura. L?architettura come unica risposta al dolore. Al mistero del dolore. Al brutale mistero del dolore.
Le profetiche coincidenze. L?szl? ? Erzs?bet. Due individui giganteschi, disarmanti, che si leccano reciprocamente le ferite. E infine il loro amore, che li salva entrambi.
Poi c?? la fotografia: travolgente messa in scena di quei paesaggi naturalistici e pensilvanici. La rivolta del Brutalismo, corrente architettonica capace di mettere in ombra il modernariato e l?ornamento, che Loos descriveva come ?delitto?. Un modo di fare progettazione che denuda gli spazi, spogliandoli di ogni vezzo per restituirne la bellezza essenziale: edifici puri, ascetici.
E poi la luce. Mi ha colpito la luce nel film. Una luce che pervade le costruzioni in cemento progettate da L?szl? Toth. Una luce che si scontra con le anime tormentate dei protagonisti, con i loro corpi segnati dagli orrori della guerra e dalle promesse tradite dei potenti. Ricchi individui spietati. Mai frase fu pi? vera di quella che recita: ?Chi ama, dimentica?. Solo chi ama pu? dimenticare. E guardare pi? in l?, un po? pi? in l? ..
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