Non si sevizia un paperino

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Un film di Lucio Fulci. Con Irene Papas, Florinda Bolkan, Barbara Bouchet, Marc Porel, Tomas Milian.
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Poliziesco, durata 110 min. - Italia 1972. MYMONETRO Non si sevizia un paperino * * * - - valutazione media: 3,08 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Inquietante, originale e coraggioso Valutazione 5 stelle su cinque

di Tom Cine


Feedback: 4170 | altri commenti e recensioni di Tom Cine
sabato 12 agosto 2023

Lucio Fulci è uno di quei personaggi del mondo del cinema troppo spesso sottovalutati (in Italia) e di cui non si parla e non si scrive quasi mai se non per relegare i film da lui diretti nel ristretto, anche se nobilissimo, ambito dell’artigianato cinematografico, oppure, nel più benevolo dei casi, per elevarlo al rango di “autore” tramite tardive celebrazioni. Per fortuna, i film sopravvivono all’epoca in cui sono stati realizzati e rimangono per essere ancora visti, giudicati e spesso rivalutati. “Non si sevizia un paperino” ebbe, però, alla sua uscita, un ottimo e meritatissimo riscontro di pubblico ed è oggi considerato non solo il miglior di Fulci, ma anche uno dei capolavori del nostrano cinema thriller. E le ragioni ci sono tutte, cominciando dal coraggio con il quale mette in scena, senza fronzoli o addolcimenti ipocriti, tematiche assai inquietanti e delicate. Diversamente da altri thriller coevi, più fedeli alle codificazioni dei film di Dario Argento (il filone parte tutto principalmente da lui, più che da Mario Bava, nonostante quest’ultimo sia stato un geniale precursore), quasi tutti ambientati in grandi città del centro e del Nord Italia, “Non si sevizia un paperino” si svolge, invece, in un immaginario paesino lucano, Accendura. Il paese è funestato da una serie di terrificanti omicidi aventi, come vittime, dei ragazzini, tutti alle soglie della preadolescenza e tutti maschi. Un giornalista romano, Andrea Martelli, comincia ad indagare insieme ad una scapestrata e ricca ragazza del posto, Barbara, mentre polizia e carabinieri brancolano nel buio. Intanto, gli omicidi continuano e la tensione, in paese, diventerà sempre più alta quando una maciara verrà accusata ingiustamente di essere l’autrice dei delitti. Ma la verità, morbosa e sconvolgente, sta da un’altra parte.

Nel pieno del successo dei film di Argento,  nei primi anni 70’, Fulci e i suoi collaboratori realizzarono questo thriller coraggioso, piuttosto verosimile e molto intelligente, riuscendo a confezionare non solo un film che riesce, ancora oggi, ad incollare alla poltrona, ma a costruire e a rendere intrigante un microcosmo inquietante grazie a dei credibili  personaggi principali delineati molto bene dalla sceneggiatura e dai loro interpreti, tutti perfettamente in parte, tra i quali spicca Florinda Bolkan in un ruolo decisamente splendido, quello della sfortunata e folle maciara che riesce, infine, perfino a commuovere durante una delle sequenze più intense, sanguinose  ed efferate del film e dove emerge, con una forza quasi insostenibile, un severo giudizio sulla giustizia personale. Non meno interessante è la maniera in cui vengono delineate le piccole vittime: in un’epoca in cui dominavano, sul grande schermo, i film strappalacrime a base di ragazzini sfortunati (non è una critica, ma soltanto un’annotazione), “Non si sevizia un paperino” mostra dei ragazzini che hanno le prime curiosità verso il sesso e proprio perché propone un’ottica che va contro una certa visione edulcorata dell’epoca nei confronti di personaggi molto giovani, il film segue questi ragazzini nei loro primi turbamenti e nelle curiosità della pubertà, rappresentandoli con luci e ombre. Non sono totalmente innocenti (ripropongono, nel loro piccolo, le storture del mondo degli adulti), ma sono comunque  inconsapevoli delle insidie che costellano il mondo nel quale interagiscono: non solo il pericolo della pedofilia è dietro l’angolo (una sequenza, quella in cui Barbara tenta di sedurre un ragazzino mostrandosi in tutta la sua nudità, costò al regista e ai produttori una denuncia e Fulci dovette dimostrare in tribunale  che il ragazzino era stato sostituito, in alcune inquadrature, da un nano), ma vi è una società, rappresentata in maniera assai pregnante, immersa nella paura del sesso identificato con il peccato e dove proprio questa repressione sfocia in atti nefandi. Questo film è qualcosa di più di un semplice thriller, è molto più ambizioso perché affronta, in maniera molto chiara e forte, come già detto, tematiche “difficili””: la repressione sessuale e psicologica, la paura del peccato (correlato sempre al sesso), l’ignoranza, le credenze religiose e l’ipocrisia. E affronta questi argomenti in maniera mai pedante o gratuita, inserendoli alla perfezione dentro il meccanismo narrativo, evitando di trasformarsi in un trattato sociologico mascherato da film “ad alta tensione”: Accendura è un luogo simbolico e la vicenda narrata può anche essere definita “universale”. Inoltre, “Non si sevizia un paperino” trae gran parte del suo fascino anche dalla paura e dal disagio che suscita nello spettatore: spietato nella rappresentazione della violenza, psicologica e fisica (la scena della “punizione” della maciara e quella del funerale di uno dei ragazzini uccisi sono, in maniere differenti, due veri pugni nello stomaco), è anche sagace nel far emergere gli elementi disturbanti in un paesaggio apparentemente solare (servito, in questo, da una fotografia egregia e dalle musiche di Riz Ortolani che sanno efficacemente rendere l’atmosfera arcaica delle suggestive location, tra le quali spicca Matera) e riesce, da vero “film di paura” degno di questa definizione, a rendere persistente la presenza dell’orco per tutta la sua durata aggiungendo, nei confronti di questa figura, perfino un pizzico di pietà in uno dei finali più intensi e più belli di tutto il cinema di Lucio Fulci. Un cinema davvero libero dalla gabbia del “politicamente corretto” e di cui, oggi si sente spesso la mancanza: per la bravura con cui coniuga l’inventiva della fantasia (qui ce n’è da vendere), un cast di tutto rispetto e i tasti delle emozioni più forti che variano dalla paura alla pietà.

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