Un lupo mannaro americano a Londra

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Un film di John Landis. Con Jenny Agutter, Griffin Dunne, David Naughton, Brian Glover, John Woodvine.
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Titolo originale An American Werewolf in London. Horror, Ratings: Kids+13, durata 97 min. - USA, Gran Bretagna 1981. - VM 18 - MYMONETRO Un lupo mannaro americano a Londra * * * - - valutazione media: 3,47 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Orrore e ironia sotto la luna piena Valutazione 5 stelle su cinque

di Tom Cine


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venerdì 2 maggio 2025

Basta dare un’occhiata alle leggende di tutto il mondo per vedere che, nelle culture di molti popoli, vi è la credenza in esseri umani capaci di tramutarsi in temibili bestie predatrici: nel folklore indiano è presente, per esempio, l’uomo leopardo.  Da noi, nella “vecchia” Europa, queste immaginarie creature mutanti, la cui “origine” si perde nella notte dei secoli, sono chiamate licantropi o, più esplicitamente, lupi mannari. Rappresentano la paura di non riuscire a controllare le nostre  pulsioni più violente e pericolose e non è un caso che queste creature tornarono alla ribalta e con un certo successo nel cinema horror dei primi anni’80, quando esplose il “body horror”, cioè una particolare corrente del cinema dell’orrore il cui tema principale è la mancanza di controllo della mente sul corpo e sulla sua trasformazione psicofisica. L’enorme evoluzione degli effetti speciali consentì di mettere in scena spettacolari e orride trasformazioni a vista e diede la possibilità di creare tre film, tutti celebri ,validissimi e molto particolari,  incentrati proprio sui licantropi: “L’ululato”, “In compagnia dei lupi” e appunto “Un lupo mannaro americano a Londra”.  Di questi tre film, quello di Landis è sicuramente, dal punto di vista narrativo, il più vicino alla rappresentazione che il cinema aveva dato, fino a quel momento, del lupo mannaro e non lo nasconde: ad un certo punto il protagonista fa perfino un riassunto del classico “L’uomo lupo”.

Tuttavia, le innovazioni che questo film porta sono più rilevanti delle situazioni classiche dalle quali parte. Tutta la parte iniziale è una dichiarazione d’intenti fin dalle prime immagini: contribuire alla modernizzazione del genere horror, avviata con “La notte dei morti viventi”, “Rosemary’s baby” e  “L’esorcista” e proseguita per tutti gli anni ’70. Il film comincia in un luogo che più classico e gotico non potrebbe essere: la brughiera inglese. Subito dopo, irrompe un elemento moderno (all’epoca): un motocarro sul quale viaggiano quelli che diventeranno i personaggi cardini di tutto il film, Jack e David. I due giovani sono turisti americani e, dopo aver percorso un tratto a piedi (c’è la luna piena e sta scendendo la notte),  entrano in una locanda dal nome molto poco promettente (“L’agnello squartato”). I due non sono graditi dagli altri avventori e, dopo una domanda inopportuna avente come oggetto una stella a cinque punte disegnata su una parete, Jack e David vengono cacciati dal locale. Nonostante tutto, ricevono un consiglio: non devono abbandonare il sentiero. Sono due personaggi di un film horror e, ovviamente, non lo seguono e vengono aggrediti da una bestia feroce: Jack muore, David sopravvive ma rimane ferito. Ricoverato in un ospedale di Londra, David apparentemente guarisce. Ma l’iniziale sollievo viene turbato dalle visite del fantasma di Jack che gli intima di togliersi la vita prima del prossimo plenilunio, altrimenti si trasformerà in lupo e ucciderà delle persone. Benché inquietato, David tenta di convincersi che si tratti soltanto di allucinazioni dovute alla morte dell’amico e comincia una storia d’amore con un’infermiera ma, durante una notte di luna piena, la maledizione si rivelerà sanguinosamente reale.

  In quale maniera il film rinnovò il genere horror? Inserendo gli archetipi dell’horror gotico tradizionale (anche per questo il film si svolge nella “vecchia” Europa e non nella “nuova” America) in un contesto moderno e innervando il tutto con una sana dose di umorismo nero. L’operazione riuscì pienamente e, ancora oggi, questo film è invecchiato benissimo: riesce a tenersi costantemente in bilico tra l’orrore e la commedia e, su entrambi i fronti, non sbaglia mai, nemmeno per un secondo. L’ironia (Landis veniva dal successo di un film fortemente umoristico come “The Blues Brothers”, un altro cult) che attraversa tutto il film non solo è nerissima e riesce sempre a far sorridere ma, nello stesso tempo, non scalfisce né la tensione delle singole scene né l’ansia montante che si accumula fino all’ultimo fotogramma. Pur essendo ironico, “Un lupo mannaro americano a Londra” è (forse) uno dei film più angosciosi e drammatici  del genere horror perché riesce a suscitare, come pochi altri, l’empatia nei confronti del “mostro”: il povero David. La sua incredulità nei confronti della maledizione che l’ha colpito, il conseguente rifiuto di quello che è il suo destino e la sua voglia di sopravvivere nonostante tutto sono reazioni umanamente comprensibili, così come il suo rifugiarsi nell’amore e nelle cure di una donna. Anche per questo la famosa scena della trasformazione (Rick Baker fu giustamente premiato con un Oscar) risulta, ancora oggi, efficace e impressionante: perché comprendiamo la paura del protagonista per quello che gli sta succedendo e ne osserviamo il dolore derivante dal suo corpo che si deforma e si trasforma incontrollatamente. Prima di stupirci con la metamorfosi, insomma, il film lavora sul versante psicologico, favorendo l’immedesimazione anche attraverso due elementi non poco perturbanti: i sogni inquietanti, che preludono alla trasformazione, e la solitudine. Quest’ultimo elemento è accentuato dalla splendida fotografia che usa efficacemente colori “freddi” nelle sequenze ambientate negli interni e negli ambienti cittadini: il protagonista del film non solo è uno sventurato destinato a subire un destino da lupo mannaro, ma è anche un elemento estraneo  (fin dal titolo che include “american” e “in London”) destinato a vivere il suo dramma in un ambiente in cui nessuno può (l’infermiera, il dottore)  o vuole aiutarlo e dove perfino la sua famiglia è assente. Oltre che un film horror sulla licantropia, “Un lupo mannaro americano a Londra” è un film sulla solitudine umana e sull’ineluttabilità del fato, ma non perde comunque di vista il suo scopo principale: quello di generare, in chi lo guarda, paura e tensione. E ci riesce ancora magnificamente: oggi viene ricordato soprattutto per i suoi effetti speciali e il suo umorismo, ma vale la pena di ricordare tutta la parte iniziale nella brughiera e la scena in cui la mostruosa creatura insegue uno sventurato nei cunicoli della metropolitana londinese. Sono momenti di grande cinema “di paura” e che dimostrano che il film non solo riesce ad usare l’orrore visibile, ma anche a costruire atmosfere inquietanti con quello che si intravede (il mostro ai piedi della scala mobile) o che non si vede affatto (tutta la sequenza che precede il mortale attacco nella brughiera riesce a far torcere lo stomaco  per la tensione ricorrendo agli effetti sonori e al fuoricampo). Senza dimenticare, comunque, che questo film usa il tema della licantropia anche per parlare degli impulsi più nascosti e più intimi della psiche umana: lo suggerisce ironicamente e genialmente mettendo, come sfondo dell’atto finale, un cinema a luci rosse.

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