Qualcosa striscia nel buio

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Poche spiegazioni, molta paura Valutazione 4 stelle su cinque

di Tom Cine


Feedback: 4170 | altri commenti e recensioni di Tom Cine
lunedì 28 agosto 2023

Mario Colucci è uno di quei piccoli misteri del cinema: ha diretto soltanto due film, il western “Vendetta per vendetta” e l’horror “Qualcosa striscia nel buio” per poi tornare subito nell’anonimato. E’ stata, insomma, una di quelle persone che appaiono e scompaiono, nel mondo del cinema, senza lasciare apparentemente tracce. La notorietà e, molto probabilmente, anche le fortune degli unici due film diretti da Colucci sembrano aver seguito la strada del loro regista, facendo finire entrambe le opere nel dimenticatoio.  Nel caso di “Qualcosa striscia nel buio”, la sorte è stata ingiusta: questo film ha un suo piccolo ma particolare fascino e riesce a sviluppare in maniera interessante una trama che parte da una serie di situazioni tipiche dei film gotici italiani del periodo (un inizio simile lo si trova in  un film diretto, due anni prima, da Antonio Margheriti, “Contronatura”). La storia, infatti, narra la nottata da incubo che un gruppo di personaggi (una coppia in crisi, un medico con la sua assistente, un anziano professore con una predilezione per l’occulto, due poliziotti con un pericoloso maniaco omicida al seguito) sono costretti a passare, bloccati da un acquazzone, dentro una lugubre villa gestita da un sinistro guardiano che nasconde un amante. Il mal assortito gruppetto apprende che la villa apparteneva ad una donna, Sheila Marlowe, che era stata accusata di aver ucciso il marito e che aveva la fama di essere esperta di magia nera. La donna è morta da tempo e qualcuno ha la malsana (e balzana) idea di fare una seduta medianica per evocarne lo spirito. La defunta padrona di casa interviene durante la seduta e, ovviamente, non ha intenzioni pacifiche: infatti, qualcuno degli sprovveduti ci rimetterà, prima dell’alba, la vita. “Qualcosa striscia nel buio” è una classica storia sui fantasmi che utilizza tutto l’armamentario tipico di questo genere di narrazione (cinematografica e letteraria): la villa lugubre, la seduta spiritica, le ombre, le voci dall’aldilà, il dialogo fra una vacillante razionalità scientifica (personificata dall’ambiguo medico) e l’apertura al soprannaturale (rappresentata dall’anziano professore) e, infine, il dubbio che assale continuamente i personaggi sui fatti di cui sono protagonisti. In una scena molto particolare (che spicca particolarmente perché è l’unica girata al ralenti ed è accompagnata da un bel brano per pianoforte), insinua addirittura il dubbio che due personaggi siano delle reincarnazioni e poi lascia questo spunto senza spiegarlo e senza svilupparlo. Per quel che riguarda i rapporti tra i personaggi la narrazione lascia molte cose in sospeso e questo è forse il limite del film. Ma c’è una cosa in cui questo film riesce perfettamente ed è il motivo principale per cui bisognerebbe riscoprirlo e, magari, rivalutarlo: sa costruire, con molto poco, un’affascinante atmosfera di paura. Perché questo film fa molta paura: riesce nell’intento di suscitare quello smarrimento che qualsiasi essere umano, anche il più razionale, prova davanti all’ignoto mostrando il meno possibile e insinuando ambiguità anche sul comportamento della presenza spettrale. Ha un nome e un cognome, Sheila Marlowe, ma non la vediamo praticamente mai (se non in una fotografia: l’attrice è Loredana Nusciak, famosa per essere stata la coprotagonista di “Django”). Il massimo che ci è concesso di vedere è un fumo nero, in una delle scene finali, accompagnato da un respiro femminile ansante che fa scorrere brividi veri e profondi lungo la schiena. Inoltre, si tratta di una “presenza” che agisce in maniera imprevedibile: se di fantasma si tratta, si comporta in maniera anomala e demoniaca, arrivando perfino a possedere i corpi degli sventurati e usandoli per scopi omicidi. Questo film fa dell’ambiguità il suo cardine e la sua carta vincente: la parola-chiave del titolo è “Qualcosa” e ciò che viene mostrato tiene perennemente fede a quello che il titolo promette. E, così facendo, batte di parecchi punti molti film horror di allora e soprattutto di oggi: fa capire la differenza fra un film  che genera un’inquietudine più profonda e quello che si presenta come un banalissimo e ripetitivo catalogo di infantili e stucchevoli pretesti per far saltare sulla sedia senza generare vera tensione. Infine, rimane da scrivere qualche parola sul funzionale cast. A parte  Loredana Nusciak (caso più unico che raro di attrice che partecipa comparendo soltanto in una fotografia) Farley Granger, Lucia Bosé, gli unici interpreti che ebbero una discreta notorietà a quei tempi e con le eccezioni di Giacomo Rossi Stuart (volto noto del nostrano cinema horror e thriller di quel periodo) e di Stan Cooper (ovvero Stelvio Rosi), il resto è composto da illustri sconosciuti sprofondati nell’oblio e dal compositore Angelo Francesco Lavagnino, anche autore della colonna sonora, alla sua unica esperienza recitativa nel ruolo dell’anziano professore.

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