Un tranquillo posto di campagna

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Nella mente di un folle Valutazione 4 stelle su cinque

di Tom Cine


Feedback: 4170 | altri commenti e recensioni di Tom Cine
domenica 13 novembre 2022

 Oggi, forse, Elio Petri viene poco ricordato: eppure fu lui a dirigere, nel 1971, quella pietra miliare e geniale che fu “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Basterebbe anche quel singolo film (che vinse pure l’oscar come miglior film straniero e che diede a Gian Maria Volonté l’opportunità di cimentarsi con una delle sue interpretazioni più belle)  per inserire il nome di Elio Petri in ogni rassegna del cinema italiano che si rispetti. E poi bisognerebbe ricordarsi anche di quel gioiello di tensione psicologica intitolato “Un tranquillo posto di campagna”. Un titolo ironico, ma anche inquietante (ovviamente, trattandosi di un film in bilico tra il thriller e l’horror,  il “posto” non è poi così  “tranquillo”)  e che suggella uno dei film forse più visionari, crudeli e grotteschi (e qui il grottesco è un pregio) sul tema della pazzia umana. Per raccontarne la furia distruttiva, il film sceglie, come punto di partenza, una storia sui fantasmi: la sceneggiatura è tratta da un racconto di Oliver Onions, “La bella adescatrice”, ma ne modifica i personaggi e l’ambientazione spostando la vicenda nella campagna veneta. Il protagonista, Leonardo Ferri, vive a Milano ed è un pittore in piena crisi creativa. Per ritrovare l’ispirazione decide, insieme alla sua amante e manager Flavia, di isolarsi in una vecchia villa veneta. Il luogo sembra perfetto, soprattutto perché è immerso nel silenzio e sembra tranquillo. La pace, però, dura poco: dentro la villa cominciano ad accadere episodi inquietanti e quando Leonardo viene a sapere della storia di una precedente e seducente abitante della villa, la contessina, Wanda, morta in circostanze violente, si convince dell’esistenza del fantasma della donna all’interno della villa ed il suo già precario equilibrio psicologico comincia a cedere.  “Un tranquillo posto di campagna” è un film insolito, allora come oggi, perché non solo riesce a trattare il tema della pazzia umana senza essere didascalico (evitando qualsiasi spiegazione consolatoria sullo stato mentale del protagonista), ma lo fa immergendo lo spettatore dentro la mente allucinata del personaggio principale ed è questo il vero colpo di genio dell’opera. Realtà e allucinazioni si sovrappongono in continuazione, confondendo abilmente anche chi guarda questo film (un’operazione simile la farà Stanley Kubrick con quel grandissimo capolavoro che sarà “Shining”, un film che ha molte affinità tematiche con questo) e portando lo spettatore verso la vera inquietudine che la storia raccontata vuole suscitare. Un’inquietudine che non è trasmessa dalla figura del fantasma (vera o presunta che sia), ma dalla mente totalmente imprevedibile del pittore. Un contributo non  indifferente lo fornisce la colonna sonora di Ennio Morricone: una partitura dissonante che ben sottolinea il caos mentale del personaggio principale e si adatta magnificamente alle folli ed improvvise immagini che scorrono, spesso, veloci. Inoltre, c’è un’altra cosa che questo film riesce a fare: contrapporre il ritmo frenetico della vita cittadina (le prime sequenze, ambientate a Milano, danno brevi ma efficaci sguardi sulla frenetica ed economicamente produttiva epoca del boom economico) a quello più lento della vita in campagna, senza mai perdere di vista la progressione della pazzia del protagonista. Da una parte, quindi, c’è la rappresentazione di una vita frenetica e sicuramente non rilassante, dall’altra c’è l’illusorietà di una pace ritrovata, resa ancora più evidente dalla bellissima location veneta: ma da sé stessi non si scappa, questo il film lo dice chiaro e tondo. Si tratta, infine, di un’opera che non è esente comunque da un difetto: si attorciglia un pò troppo intorno al suo protagonista (un bravo Franco Nero), lasciando nell’ombra i personaggi secondari in un film che, comunque, rimane ad un passo dalla perfezione. Tuttavia, vale la pena di soffermarsi sul personaggio di Flavia. Si tratta di una figura femminile predominante che non soltanto anticipa quella interpretata da Florinda Bolkan in “Indagine su un cittadino al di sopra do ogni sospetto”, ma che incarna un fenomeno crescente, in Italia, proprio in quel decennio: il femminismo. Non a caso è una donna determinata, dominante ed energica che fa da perno alle paure misogine del pittore. Un contrasto, questo, che rende il film tristemente  e drammaticamente attuale.

 

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