Paesaggio nella nebbia

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Odissea malinconica Valutazione 5 stelle su cinque

di Tom Cine


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giovedì 8 agosto 2024

Ogni film è caratterizzato da un elemento che sovrasta tutti gli altri, indipendentemente dal fatto che sia riuscito oppure no: un argomento ricorrente, un tipo di situazione, oppure un’atmosfera pregnante intrisa di un particolare sentimento ed è quest’ultimo il caso di “Paesaggio nella nebbia”, meraviglioso film del regista greco Theo Angelopoulos (scomparso tragicamente nel 2012 a causa di un incidente stradale). “Paesaggio nella nebbia” è immerso, fin dal titolo, in un’atmosfera fortemente malinconica, attraverso la quale lascia trapelare uno smarrimento che, se da una parte è sociale e politico, dall’altra è anche più psicologico e intimista. 

Il film racconta, mantenendola sullo sfondo, una Grecia immersa in un presente (di allora) nebuloso e incerta davanti al futuro e alle prese con il fardello del passato: esemplare, in questo senso, la scena in cui i membri di una compagnia itinerante di attori rievoca date ed eventi storici che riguardano proprio questa nazione. Se ciò storicizza questo film (ma non è un difetto, anzi fa venire la voglia di approfondire la storia della Grecia), tuttavia è l’aspetto psicologico e intimista a renderlo davvero affascinante e universale.

Ci troviamo davanti ad una storia di formazione che racconta anche le illusioni della vita. E quale miglior modo di raccontare questo, se non mettendo, come protagonisti, due personaggi giovanissimi? In questo caso, si tratta addirittura di due bambini: Voula e Alexandros. I due sono fratello e sorella. Lo scopo di questi due personaggi è quello di lasciare la Grecia e riunirsi col padre, in Germania. I due non sanno che, in realtà, questa figura paterna non esiste: è un’invenzione della madre, una pietosa bugia utilizzata, probabilmente, per non ferirli in quanto sono figli di padre ignoto. Infatuati dall’idealizzazione di questo genitore inesistente, Voula e Alexandros si fanno coraggio e abbandonano la madre, partendo da Atene, avventurandosi in un viaggio per raggiungere il confine e arrivare in Germania. Comincia così un’odissea in cui, attraverso una serie di incontri, fratello e sorella saranno davanti alla realtà della vita: faranno molti incontri e conosceranno le disillusioni, la cattiveria, la violenza e la morte, ma anche la tenerezza e la riconoscenza (l’incontro di Alexandros con l’oste che lo premia per averlo aiutato a ripulire il suo locale dalle bottiglie).  

Scritto con la collaborazione di Tonino Guerra, il film racconta lo smarrimento e la perdita di identità di una nazione, ma lo fa sovrapponendo un’altra chiave di lettura, molto più affascinante e capace di renderlo sempre attuale, prendendo il punto di vista di due bambini alla ricerca di certezze in un mondo di adulti allo sbando, spesso indifferenti perfino davanti alla sofferenza altrui (la durissima scena della morte del cavallo nel mezzo di un festeggiamento, l’incontro con il pedofilo che finisce in maniera drammatica e rende chiaro, lasciando fuoricampo l’orrore della violenza ma anche senza essere reticente, che questo non è un film indirizzato ai bambini), ma dove comunque non mancano barlumi di solidarietà e di speranza in chi, questi due giovanissimi viaggiatori, riesce a capirli. Infatti, con una sottigliezza psicologica e poetica da non sottovalutare, la sceneggiatura di questo film affida il compito di personaggio più positivo, fra i tanti che caratterizzano i vari incontri, all’adulto più giovane e quindi più vicino, come mentalità, ai protagonisti: Oreste, il motociclista che deve raggiungere Salonicco per adempiere al servizio militare. Questo è, dunque, “Paesaggio nella nebbia”: un film che parla soprattutto di bambini e della loro necessità di trovare certezze per continuare a sperare in un futuro (rappresentato dal padre immaginario). Tuttavia, devono fare la ricerca in un presente caliginoso, dove la nebbia è una metafora della precarietà della vita: non vi sono certezze perché gli adulti non ne hanno e, alla fine, i più forti sono proprio i due bambini perché, pur aggrappandosi ad un’illusione, riescono comunque a reagire davanti alle difficoltà, ad incoraggiarsi a vicenda e ad andare avanti. E lo fanno senza diventare personaggi statici, stucchevoli o zuccherosi (errore in cui cadono molti film che parlano dell’infanzia): hanno un’evoluzione (soprattutto lei) e ogni incontro pone le basi per un cambiamento. Aiutata dalla superba e solenne colonna sonora di Eleni Karaindrou e dalla malinconica fotografia di Giorgos Arvanitis, l’attenta e raffinata regia di Angelopoulos confezionò, in quel remoto 1988, un film potente e che dovrebbe essere riscoperto: un’odissea  che rimane nella memoria e nel cuore, le cui immagini (tutte) colpiscono come troppo raramente avviene, con un’atmosfera indimenticabile e chiudendosi con un finale che, pur rimanendo leggibile a più livelli, esalta in maniera forte e poetica il diritto e il desiderio  più forte e indiscutibile dei bambini: quello di essere felici.

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