Florenz Ziegfeld, re degli spettacoli americani, amava fare le cose in grande, e quando montò nel 1917 al teatro New Amsterdam le sue nuove «Folies», inframmezzò le canzoncine di Eddie Cantor, le battute al fulmicotone di Will Rogers ed i borbottii di W.C. Fields con un plotone di ballerine, non meno di quaranta chorusgirls: tutte vestite e truccate allo stesso modo, sembravano un foglio di soldatini d'Epinal che improvvisamente si animava. William Randolph Hearst, il magnate della stampa americana, venne a vedere lo spettacolo e da quello svolazzante stuolo di farfalle ne scelse una; si chiamava Marion Douras, divenne Marion Davies.
Su Hearst sono state scritte numerose monografie, Orson Welles lo ha ritratto in Citizen Kane, si è detto tutto sulle sue manie di grandezza, sulle sue favolose ricchezze (che in buona parte gli venivano dai diritti sui personaggi di Flash Gordon, Mandrake e The Phantom) e sull'altrettanto favoloso dispendio di esse in favolosi parties nella villa di San Simeon sulla Enchanted Hill; ma non si è mai potuto negare il suo grande amore e la sua devozione per Marion, che decise di trasformare in una grande stella del cinematografo. Per lei costituì la Marion Davies Film Co., che dopo due o tre film diventò la Cosmopolitan, appoggiandosi per la distribuzione prima alla Paramount e quindi alla Metro Goldwyn Mayer.
I circa quaranta film che Marion interpretò tra il 1918 ed il 1937, anno in cui decise di ritirarsi, sono, secondo il giudizio della critica d'arte d'epoca - alla quale dobbiamo necessariamente rifarci, essendo molti dei film non più disponibili - opere accurate da un punto di vista della realizzazione, dirette da onesti e provati artigiani della macchina da presa come Allan Dwan, Robert Z. Leonard, Robert Vignola, Harry Beaumont; l'attrice ha avuto come compagni attori misurati e cattivanti come Norman Kerry, Conrad Nagel, Harrison Ford (omonimo, ma non parente, dell'attuale Indiana Jones), Nils Asther. Il punto debole sta purtroppo proprio in lei, presentata continuamente in parti di giovane ingenua, di adolescente sognatrice anche quando l'età non era più quella, in personaggi sdolcinati ricalcati sulla letteratura mielata e leziosa di fine Ottocento. La stampa legata ad Hearst era invece costretta, ad ogni nuova apparizione di Marion sullo schermo, ad esaltarne l'interpretazione, a licenziare retorici ditirambi, mentre quella libera non faceva che sottolineare il sistematico miscast di Marion in questi film così noiosamente manierati. E aveva ragione, perché quando Marion interpretò nel 1928 The Patsy e Show People sotto la regia di King Vidor, dimostrò quale personalità di autentica commediante si nascondesse in un'attrice fino ad allora considerata incolore e giunta al successo per ordini superiori. Gaia, brillante, sbarazzina, impagabile nelle imitazioni, in queste due eccellenti commedie di Vidor Marion ci ha lasciato la testimonianza dell'attrice che avrebbe potuto essere e che, per malaugurata sorte, è stata solo quando ha potuto imporsi a Hearst, che da parte sua aveva opposto numerose riserve alla realizzazione di quei film a suo giudizio troppo leggeri e poco edificanti.
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.