
Film di chiusura delle Giornate degli Autori, il film di De Gregorio ci ricorda che altre narrazioni sono possibili. Al cinema.
di Paola Casella
Un ex professore di liceo trascorre gli anni della pensione nella sua grande casa vuota. Dopo le dipartite della moglie, che non c’è più, e della figlia Sofia, che vive in Germania, ha scelto di vivere serenamente da solo. Ma improvvisamente Sofia piomba a Roma dalla Germania con i due figli Olga e Tommaso perché il marito tedesco Helmut l’ha tradita. Helmut pentito, decide di raggiungere a piedi Roma dalla Germania, intraprendendo un percorso di espiazione nella speranza di ottenere il perdono della moglie.
Come ti muovi sbagli è una parabola sulla fragilità, a cominciare da quella del protagonista,
per continuare con quella di Sofia che crede di poter rimpiazzare il marito, e finire con quella di Helmut, il cui atto di debolezza non a caso è l’incipit del film. Sul tiro alla fune fra vita e morte si assesta il senso più profondo di questa ulteriore parabola di Di Gregorio, un autore che rallenta e li dilata i ritmi e i paradigmi del cinema contemporaneo per ricordarci che nel nostro tempo ci sono ancora spazi di umanità resistente, e narrazioni refrattarie ad ogni manuale di sceneggiatura.