
Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano nel secondo lungometraggio di Riccardo Antonaroli, remake dell’israeliano Honeymood di Talya Lavie. Dal 29 agosto al cinema.
di Simone Emiliani
C’è un fantasma nel lussuoso hotel dove Eleonora e Valerio, che si sono appena sposati, stanno per trascorrere la loro prima notte di nozze. È quello del cameriere interpretato da Armando De Razza. Scompare e riappare, cita tutte le celebrità che hanno dormito nella ‘Love Suite’ prima di loro come George Clooney, Sting, Charlize Theron, Brad Pitt, Angela Merkel ma anche Pupo, Cristiano Malgioglio e il Mago Otelma. La sua immagine sfiora la dimensione grottesca e ha qualcosa di inquietante. La sua presenza è anche il segnale che Finché notte non ci separi si avvicina e poi sembra abbandonare le forme della commedia matrimoniale.
La sua figura potrebbe richiamare quella del direttore dell’albergo di Pretty Woman interpretato da Hector Elizondo, che è il vero burattinaio del destino di Edward/Richard Gere e Vivian/Julia Roberts. Più che trait-d’union tra i protagonisti, diventa invece il punto di partenza di un film che cambia subito marcia. Dagli iniziali colori accesi e artificiali, piomba invece in una notte romana dove tutto può succedere.
Eleonora e Valerio, rispettivamente interpretati da Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano, sono da qualche ora marito e moglie ma in realtà sembrano due estranei. Un anello, un assegno da 356 euro, un paio di sneakers. Entrambi sono ancora legati ai loro ex. Lui è un agente immobiliare, lei una tirocinante osteopata.
Proprio sulla loro diversità, sul contrasto degli opposti, forse anche sulla ricerca di loro stessi, inizia il loro lungo viaggio nella notte in cui incrociano un tassista complice e poi ostile interpretato da Francesco Pannofino, i loro rispettivi fidanzati Ester e Michele (Neva Leoni e Claudio Colica), i genitori di Valerio (Giorgio Tirabassi e Lucia Ocone) che si accorgono subito che tra loro sta succedendo qualcosa di strano, fino a una scrittrice di libri gialli portata sullo schermo da Valeria Bilello che vuole vivere sulla pelle le emozioni dei personaggi del suo prossimo lavoro.
Al suo secondo lungometraggio dopo La svolta, Riccardo Antonaroli racconta ancora una solitudine esistenziale e lo fa principalmente attraverso le figure dei due protagonisti. Finché notte non ci separi è il remake dell’israeliano Honeymood di Talya Lavie e ne ricalca la storia, in quel caso ambientata a Gerusalemme. Al tempo stesso però condivide con il film d’esordio del regista quella dimensione straniata in cui attraversa i generi senza però farsi ingabbiare dalla loro struttura. Per questo, per chi non ha visto l’originale, ha dei risvolti spesso imprevisti.
Gioca su equivoci e malintesi propri della commedia sentimentale ma lascia anche deambulare i personaggi come nella scena del monopattino o sulle note di The Dream to Contemplate. Non sono ancora capaci di liberarsi del loro passato ma non riescono ancora a mettere a fuoco il loro futuro. Come nel caso di La svolta, è riduttivo inquadrare Finché notte non ci separi come esempio di cinema italiano generazionale.
Probabilmente il film di Antonaroli, scritto da Roberto Cimpanelli, Giulia Magda Martinez e Susanna Paratore, punta prima di tutto a seguire il destino dei suoi due personaggi in cui Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano hanno trovato la giusta intesa. Comincia inoltre dove molte commedie finiscono; all’inizio i due sposi sono infatti mostrati di spalle. Da lì parte per un lungo viaggio, che è anche lo stesso di un cinema che ha come obiettivo quello di percorrere delle strade meno battute, pur affidandosi comunque a una struttura narrativa definitiva che emerge anche da dialoghi come “Per fare le battute non basta essere ebrei, devi essere Woody Allen” con cui conserva comunque il ritmo da commedia.
La dimensione onirica potrebbe prendere il sopravvento sulla componente realistica. E se fosse soltanto un sogno?