Advertisement
La zona d'interesse, un Grande fratello nazista

Un film calmo, feroce, illuminato da una luce nitida e spietata. Tra tutti i film sull’Olocausto, il meno gridato e il più straniante, il più adatto a questi tempi. Candidato a 5 premi Oscar e ora al cinema.
di Giovanni Bogani

La zona d'interesse

Impostazioni dei sottotitoli

Posticipa di 0.1s
Anticipa di 0.1s
Sposta verticalmente
Sposta orizzontalmente
Grandezza font
Colore del testo
Colore dello sfondo
0:00
/
0:00
Caricamento annuncio in corso
sabato 2 marzo 2024 - Focus

È un film calmo e feroce, La zona d'interesse di Jonathan Glazer. Che bandisce il romanticismo, i violini che lacrimano, gli eroi. Un film illuminato da una luce nitida e spietata, che distingue e scolpisce ogni filo d’erba, ogni fiore, ogni teiera. 

Con una sola eccezione. Gli interludi girati con una telecamera termica per immagini notturne. Immagini che ricordano quelle con i chiaroscuri rovesciati dei negativi fotografici. Vediamo una giovane donna che scivola nella notte e posa dei frutti, delle mele: qualche prigioniero potrà raccoglierle, e sfamarsi. Immagini che però sembrano innaturali, aliene. E ancora più forte è l’effetto, poiché queste immagini vengono investite da una musica violenta, feroce, composta da Mica Levi, collaboratore di Glazer anche nel film precedente, Under the Skin. Un gesto di benevolenza è diventato straniante, alieno

La fotografia, per tutto il resto del film, è implacabilmente nitida. Perfetto, straniante, tagliente il lavoro del direttore della fotografia Lukasz Zal, che dà un aspetto di implacabile nitidezza kubrickiana – o hanekiana – alle sue immagini. E così come le immagini, sono nitidi i vestiti: niente ha quell’aria di vissuto, di stropicciato che hanno sempre i vestiti di un film in costume, come se fosse passata loro sopra la polvere del passato. Qui non c’è nebbia, perché in qualche modo non c’è passato. Quello che accade, accade nell’oggi. Sta succedendo ora. 

E in questo passato/presente, Glazer immerge i suoi attori, come se fossero in una sorta di Grande fratello. Nessuno sul set, né il regista, né il cameraman, né il fonico: solo una serie di telecamere dappertutto, dissimulate fra le piante, e alcune visibili. Gli attori liberi di scegliere i gesti, le pause, i silenzi, il momento in cui dire la loro battuta. Il regista in un’altra stanza, di là dal muro. Poi, un lungo lavoro di montaggio, di ricomposizione delle immagini. Ma intanto, il tentativo di catturare una sorta di verità, di verità quotidiana. 


SCOPRI IL FILM

E intanto, l’orrore si fa parola, qualche parola seminata qua e là da Sandra Hüller, che interpreta la moglie di Höss. Alla madre, dice compiaciuta “mi chiamano la regina di Auschwitz!”, con un misto di frivolezza e leggerezza infantile. Alla donna ebrea che lavora in casa, contro la quale è irritata, sibila un “mio marito potrebbe far spargere le tue ceneri nei campi”. Pare che Glazer abbia davvero incontrato, nel suo lavoro di ricerca, qualcuno che ricordava un episodio del genere. 

Per il resto, nessuna declamazione, nessuna frase eclatante, nessuna scena madre. L’ideologia nazista, Rudolf e Hedwig non la declamano: ce l’hanno addosso. Ne sono permeati. Rappresentano i milioni di tedeschi qualunque che, in quegli anni, ignoravano o fingevano di ignorare. Ma ancora di più, rappresentano noi

Perché questi borghesi tranquilli che fanno finta di niente, che approfittano dei vestiti tolti alle donne ebree forse già finite nelle camere a gas, queste persone che fingono di non sentire il rumore sordo della sofferenza, siamo noi. Siamo l’Occidente, nella quasi interezza, oggi. Non nel 1943. Oggi. Oggi che non sentiamo il rumore di voci e di corpi che muoiono, di là dal giardino. Il rumore sordo che sta, a basso volume, nel telegiornale. Chiuso lì dentro, fra la cucina e la parete. 

Erano più facili, i film con i nazisti cattivi che urlavano e sparavano davanti ai nostri occhi. Perché potevamo dire “noi non siamo come quelli”, “noi non lo saremo mai”. Ma questi nazisti che sanno e fanno finta ci assomigliano troppo. Sono la misura della capacità umana di ignorare tutto. Erano dieci anni che Jonathan Glazer non faceva un film, dai tempi di Under the Skin, sconcertante, poetico, disturbante. Valeva la pena aspettare. Per avere, fra tutti i film sull’Olocausto, il meno gridato e il più straniante, il più adatto a questi tempi

A questi tempi di impulsi totalitari, violenti, violenti guardati con sempre maggiore indulgenza in tutto il mondo. A questi tempi di occhi chiusi troppo facilmente. Di orrori tollerati da coloro che dovrebbero, almeno in teoria, opporvisi. In questi tempi, “La zona di interesse” diventa un film necessario. Un film su ciò che fingiamo di non vedere, oltre il giardino


SCOPRI IL FILM

Tutti i film da € 1 al mese

{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2025 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Riserva TDM | Dichiarazione accessibilità | Accedi | Registrati