Spielberg è un mostro sacro del cinema e il suo solo nome mette soggezione. In questo film Spielberg, si fa inquadrare all’inizio del film, dichiarandone con molta semplicità il carattere autobiografico, sembra voler negare la protasi della famosa frase di Tolstoj "Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” (Anna Karenina), nel senso che la sua famiglia fu felice per oltre un decennio in modo molto speciale. Da Brut (che impersona la figura del geniale ingegnere elettronico Arnold Spielberg) e da Mitzi (che impersona la madre Leah Adler, pianista), entrambi ebrei di origini ucraine, nacquero quattro figli che vissero un’infanzia allegra e scoppiettante, stimolante. La creatività artistica e umorale della mamma si sommava a quella razionale e pacata del padre. E non è da stupirsi che da genitori simili sia derivato un altro genio. Ma se il talento di Steven Spielberg (nel film, Sam Fabelman) si è profuso nel cinema, ciò è dovuto in parte al caso: a sei anni Sam assiste alla sua prima proiezione cinematografica, che è traumatica. C’è chi ha subito questo trauma con Bambi, e chi, in modo più motivato, con il film “Il più grande spettacolo del mondo”, dove avviene uno spettacolare incidente ferroviario. L’impatto con il cinema è stato però mediato dai genitori di Sam: il padre gli svela i segreti dell’illusione del movimento operata dal cervello, di fronte alla successione rapida di fotogrammi, e lo dota fin da bambino di videocamere;la mamma lo aiuta a capire che il cinema consente di controllare la realtà (e le paure ad essa connesse). Il racconto abbraccia circa quindici anni di vita: dal 1952 (New Jersey) fino al 1966 (un anno circa dopo il divorzio dei genitori, a Los Angeles), con una tappa intermedia a Phoenix in Arizona. Gli spostamenti derivano da esigenze di lavoro del padre e finiscono per destabilizzare tanti equilibri, mettendo anche Sam di fronte all’antisemitismo violento di certi giovanotti californiani, biondi, abbronzati, alti come sequoie, ma piccoli di cervello. Bravissimo Gabriel LaBelle a interpretare il giovane Sam. Ricorda molto Dustin Hoffman ne Il Laureato. Altro è meglio non dire per non svelare troppo, se non una raccomandazione: è una pellicola in cui i 150 minuti scorrono meravigliosamente, seminando emozioni e sorprese. Se per Sorrentino il film È stata la mano di Dio ha rappresentato una salvezza, per Spielberg questo film è stata una necessità artistica e personale.
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