The Brutalist

   
   
   

Un'epitome del '900 e dei suoi drammi

di francesca meneghetti


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venerdì 14 febbraio 2025

Tre ore e mezza di film sono di per s? un deterrente: se non si ? pi? giovani, si corre il rischio di alzarsi dalla poltrona anchilosati, o di non alzarsi affatto. Erano tutti necessari i 215 minuti di proiezione (intervallati da 15 minuti di pausa)? Forse proprio tutti no. Alcune sequenze, come quelle tra le Alpi apuane, potevano essere sveltite, e altre ancora. Ma non ? questo il punto: alla fine il film si regge perch? coinvolge, facendo perno sul mestiere di uno straordinario Adrien Brody, insuperabile nell?esprimere sentimenti come dolore, disperazione, rabbia. ? lui a interpretare il protagonista, L?szl? T?th affermato architetto di Budapest, proveniente dalla scuola del Bauhaus. Una figura di fantasia, perch? l?unico omonimo nella realt? ? un geologo australiano che prese a martellate la Piet? di Michelangelo nel 1972 (elemento in comune con Laszlo: l?attrazione per il marmo di Carrara). Il personaggio creato dal regista Brady Corbett ? un ebreo, riuscito a scampare al campo di concentramento di Buchenwald, mentre sua moglie era finita a Dacau. Ma ? viva: lo scopre il lettore, prima del protagonista, grazie all?artificio di far scorrere il testo di una sua lettera mentre Laszlo ? imbarcato e diretto negli States. La classica immagine della statua della libert? che appare alla fine del viaggio ? per? ruotata, quasi ad ammonire che l?America non ? esattamente la terra promessa. Il percorso di Laszlo ? lungo e complesso: forse non ha nemmeno senso raccontarlo nei dettagli. Si pu? dire che lui ? emblema di un?Europa ferita e divisa dal nazifascismo, ma ricca di cultura, di progetti visionari, mentre il suo ?antagonista?, il mecenate Van Buren (che a volte sembra alleato e protettore) rappresenta una nazione ricca, che aspira alla cultura, ma ha sempre la mano in tasca a controllare il portafoglio. Un?America wasp, che diffida degli stranieri e degli ebrei, come dei neri, visto che un amico fidato di Laszlo ? un umo di colore. (qui il regista si adegua al politically correct imperante a Hollywood: ma ? anche vero che pu? diventare ossessivo cercare gli allineamenti, veri o presunti, alle sue regole).
Nella seconda parte del film, intitolata ?Il nocciolo duro della bellezza?, si assiste all?arrivo in America della moglie (ridotta in carrozzina da osteoporosi da denutrizione) e la nipote, che ha perso la parola. In questo periodo sembra potersi realizzare il pi? grandioso progetto di Laszlo, commissionato da Van Buren: un centro polivalente. In realt? ? proprio questo che fa scoppiare le contraddizioni: Laszlo esige che sia rigorosamente rispettato il suo progetto, basato sull?uso del calcestruzzo (canonizzato dall?architettura brutalista). Il committente, attraverso sottoposti, cerca di sforbiciare i costi. Laszlo paga di tasca sua le differenze. Si capir? alla fine che i soffitti alti, le pareti cementate su cui non transige sono una costruzione di memoria: rappresentano simbolicamente il campo di concentramento, le persecuzioni subite (come il memoriale dedicato agli ebrei a Berlino). Le alterne e complesse vicende che ruotano a questo progetto, sommate alle difficolt? a ritrovare l?intimit? con la moglie, causano crisi di disperazione, che portano Laszlo a fare uso di eroina. Van Buren lo scopre, e se ne approfitta sadicamente, in quel di Carrara. L?epilogo racconta una mostra ad honorem a Venezia.
Il film ? complesso: abbiamo taciuto altri personaggi (meritava di essere ricordata almeno la moglie di Laszlo, una delle personalit? pi? forti, nonostante le sue crisi di panico notturne), e altri temi che spaziano dall?architettura alla storia. Ci ha colpito, oltre a una colonna sonora suggestiva, anche il montaggio che unisce fotogrammi statici, suggerendo la sensazione di un album fotografico. Alla fine le tre ore e mezza sono passate e affatto male.

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