antonio montefalcone
|
martedì 10 gennaio 2023
|
“i film sono sogni, che non dimenticherai mai”
|
|
|
|
La nuova pellicola di Steven Spielberg è un intenso racconto personale, ispirato alla sua infanzia e adolescenza ma anche un potente atto d'amore per la Settima Arte, un sentito omaggio a quella che è stata e continua ad essere la più grande ragione di vita dello stesso regista. Non una semplice opera semi-autobiografica romanzata dunque, ma qualcosa di altro e di più interessante, coinvolgente, affascinante: una confessione privata che si rende anche magistrale lezione di cinema.
Attraverso la storia di Sam Fabelman che fin da bambino si avvicina alla magia del cinema e se ne innamora, Spielberg si racconta e ci racconta le sue origini, cercando di mettere in scena, dopo averlo catturato, quel senso di incantevole/meraviglioso/magico che è il mettere per immagini una storia.
[+]
La nuova pellicola di Steven Spielberg è un intenso racconto personale, ispirato alla sua infanzia e adolescenza ma anche un potente atto d'amore per la Settima Arte, un sentito omaggio a quella che è stata e continua ad essere la più grande ragione di vita dello stesso regista. Non una semplice opera semi-autobiografica romanzata dunque, ma qualcosa di altro e di più interessante, coinvolgente, affascinante: una confessione privata che si rende anche magistrale lezione di cinema.
Attraverso la storia di Sam Fabelman che fin da bambino si avvicina alla magia del cinema e se ne innamora, Spielberg si racconta e ci racconta le sue origini, cercando di mettere in scena, dopo averlo catturato, quel senso di incantevole/meraviglioso/magico che è il mettere per immagini una storia. Qualsiasi tipo di storia. E a restituire e far provare anche a noi spettatori almeno un po’ di tutto quel suo personale incantato stupore e fascinazione, passione ed entusiasmo, non tanto nel poter creare film quanto di riuscire a godere della loro magica e attrattiva visione, soprattutto se si vive quest’ultima al buio di una sala nell’esperienza eccitante, onirica e irripetibile dettata dalla luce del grande schermo di una sala cinematografica.
Infatti, è solo dopo aver ricevuto in regalo una cinepresa che il piccolo Sam sperimenta la possibilità di salvare immagini su pellicola; la capacità di poter creare storie, trasfigurare/reinventare e/o evadere così (dal)la limitata/nte realtà; e infine sperimenta l’illuminante comprensione che questa sua passione viscerale da voler trasformare in professione, sarebbe stata la sua strada, la sua vocazione, lo scopo ossessivo di una vita, oltre che di quest’ultima il motore vitale e salvifico.
Nel far star bene se stesso e gli altri narrando storie, Sam ha compreso che l’importante è seguire i propri sogni, anche malgrado avversità e drammi, paure e presunte responsabilità, il rischio altrimenti è il proprio annullamento. Il film diventa così anche un invito a perseguire con passione, dedizione e costante impegno ciò che si ama veramente. Il piccolo protagonista Sam Fabelman ha l’intelligenza e la fermezza del padre ingegnere, ma soprattutto la vena artistica e la fragilità caratteriale della madre pianista (professionalmente mancata), l’unica ad invogliarlo e spronarlo nella vocazione, contrariamente al padre che lo vorrebbe invece al college. Questo dilemma individuale ma anche la traumatica esperienza della separazione dei genitori provocheranno in lui l’inevitabile fine dell’innocenza e al tempo stesso anche l’origine del percorso verso il proprio futuro lavoro. E’ quasi palpabile il dolore provato e descritto da Spielberg: dolore che caratterizzerà la sua adolescenza e la sua personalità futura, e che gli farà perdere e ritrovare quel rifugio magico che aveva trovato per mezzo della sua cinepresa.
La sceneggiatura di questo racconto intimistico è stata scritta da Steven Spielberg e dal drammaturgo Tony Kushner, premio Pulitzer candidato all’Oscar per le sceneggiature di “Lincoln” e “Munich”. Spielberg ritorna alla scrittura di una sceneggiatura completa dopo 20 anni, dai tempi di “AI – Artificial Intelligence”.
Nel cast compare Gabriel LaBelle che interpreta benissimo il ruolo del piccolo Sam; David Lynch (alla sua prima collaborazione con Spielberg) e Judd Hirsch (entrambi in ruoli e sequenze fondamentali); mentre i bravissimi Paul Dano e Michelle Williams sono rispettivamente il padre e la madre di Spielberg. E la Williams qui è davvero notevole, credibile e pienamente convincente nella sua interpretazione.
Davanti al loro bambino, i due genitori assumono e fanno valere ognuno il proprio ruolo influenzante: la tecnologia dal lato paterno, la poesia da quello materno. Il concreto e l’astratto. La scienza e l’arte.La realtà riprodotta/rappresentata e l’immaginario evocato. Sono queste le due polarità da cui sempre è stata scissa l’esperienza cinematografica, sin dai tempi dei fratelli Lumière e di Georges Méliès. E Spielberg le riunisce insieme in un’unica materia. E infatti, più dell’influenza dettata dai suoi genitori, sarà proprio la visione del film “Il più grande spettacolo del mondo” di Cecil B. De Mille a conquistare e condurre il piccolo Sam tra le mani della Settima Arte, facendogli girare subito western ed epopee belliche nel deserto dell'Arizona con figuranti amici e sorelle, e, dopo, negli anni, a farlo diventare il grandissimo regista che conosciamo e che ci ha regalato pellicole indimenticabili ed epocali.
L’amore per il cinema è puro motore dell’immaginario e della propria anima in questa pellicola, è forza che modella tutto ciò che racconta in qualcosa di meraviglioso: tutte le scene sono trasfigurate da un senso di stupore e di sentimento per quel che descrivono – dagli episodi di bullismo di matrice antisemita vissuti da Sam a scuola, ai primi amori; dall’esaltazione artigianale per i filmini in Super 8 da lui realizzati in casa al commovente e memorabile epilogo. A fare da ulteriore e prezioso collante a tutto questo fascino visivo, narrativo e sensoriale, accorrono anche le musiche di John Williams, la fotografia di Janusz Kaminski e il montaggio di Michael Kahn e Sarah Broshar, tutti di assoluto valore.
“The Fabelmans” è uno dei migliori film di Spielberg, capolavoro o meno, è però senza dubbio uno dei suoi risultati più alti, e il segreto di questa sua ottima riuscita è che Spielberg, oggi, con la maturità dei suoi 75 anni, ha saputo meglio comprendere e accettare di più il suo passato, fondendo alla riscrittura veritiera la migliore reinvenzione possibile della propria infanzia con il cinema stesso.
L’idea di cinema dunque come mezzo per raccontare, ma anche per trasformare la realtà trasuda in ogni sequenza di “The Fabelmans”. Il film ci ricorda e ci fa (re)innamorare dello stupore e della meraviglia del cinematografo, e del fascino del suo linguaggio espressivo; della sua incredibile capacità di trascinare a sé, fino a farci assorbire dai film, a farci perdere in essi e/o modellarci da essi. In conclusione, “The Fabelmans” è pura poesia fattasi opera filmica; è una tra le più commoventi, più belle e migliori pellicole dell’anno 2022, assolutamente da non perdere per le tante emozioni e riflessioni che sa regalare…
[-]
|
|
[+] lascia un commento a antonio montefalcone »
[ - ] lascia un commento a antonio montefalcone »
|
|
d'accordo? |
|
johnny1988
|
lunedì 26 dicembre 2022
|
lettera di amore e perdono
|
|
|
|
Sam Fabelman (Mateo Zoryan da piccolo, Gabrielle LaBelle da grande) sta per entrare per la prima volta in un cinema, ha sei anni ed è terrorizzato; i genitori, Mitzi (Michelle Williams) e Burt Fabelman (Paul Dano), che lo accompagnano, lo rassicurano, il padre illustrando il concetto della “persistenza visiva” applicata alla velocità dello scorrimento dei fotogrammi su pellicola, la madre affabulando invece il piccolo con l'incanto delle immagini. Il film si apre con questa sequenza, forse la più didattica ma anche una delle più “sentite” nella Storia del Cinema sino ad oggi. C'è tutto in questi due minuti, che forse sintetizzano un intero capitolo biografico e “storico”, dai movimenti di macchina alla composizione, dalla fotografia alla colonna sonora in una confluenza di arti avvolgente e calda.
[+]
Sam Fabelman (Mateo Zoryan da piccolo, Gabrielle LaBelle da grande) sta per entrare per la prima volta in un cinema, ha sei anni ed è terrorizzato; i genitori, Mitzi (Michelle Williams) e Burt Fabelman (Paul Dano), che lo accompagnano, lo rassicurano, il padre illustrando il concetto della “persistenza visiva” applicata alla velocità dello scorrimento dei fotogrammi su pellicola, la madre affabulando invece il piccolo con l'incanto delle immagini. Il film si apre con questa sequenza, forse la più didattica ma anche una delle più “sentite” nella Storia del Cinema sino ad oggi. C'è tutto in questi due minuti, che forse sintetizzano un intero capitolo biografico e “storico”, dai movimenti di macchina alla composizione, dalla fotografia alla colonna sonora in una confluenza di arti avvolgente e calda.
The Fabelmans è il film parentesi e forse il testamento d'amore di una intera carriera, come lo fu Fanny e Alexander per Ingmar Bergman. Malgrado il trailer illuda il pubblico (dovrebbero cambiare la politica sul montaggio delle anteprime, almeno per dignità intellettuale), che si tratti di un blockbuster con colpi di scena e di azione, alla stregua di un romantico Indiana Jones, Spielberg firma un'opera apologetica del cinema, e al contempo, dei suoi genitori, cardini archetipici della sua crescita ma anche esseri umani di cui deve accettare i “limiti” e le fragilità più profonde. Come il segreto che Mitzi, la figura più amata e forse meno compresa dal figlio, deve custodire, in funzione del suo ruolo di madre e moglie.
Così, nell'arco di dieci anni, assistiamo all'evoluzione di un piccolo uomo, che attraversa gioie e dolori famigliari, vive con una purezza comica lo scontro culturale e religioso con i suoi coetanei (la battuta sul Natale e il primo amore con una fervente cattolica sono da antologia) e comincia a comprendere il ruolo di regista, trasmutandosi da pubblico passivo del cinema ad artigiano della materia, con la stessa passione sperimentale che hanno caratterizzato molti cineasti che oggi amiamo ricordare, da George Lucas a Coppola, fino a Cassavetes. Tutto in un quadro dove la minaccia nucleare, le guerre, il maccartismo antisemita restano rarefatte sullo sfondo.
Spielberg, come fa in pochissimi momenti della sua vita, si “riposa” e riflette nell'intimità dei ricordi, non cerca di fare ordine, ma più che altro sembra lasciarsi attraversare dal flusso del passato, compiendo una rielaborazione esorcistica e di “perdono” di tutti i mostri rinchiusi nel cassetto dei traumi. Alcuni li ha trasformati in mostri benevoli e ultraterreni, come E.T., altri in efferati anti-eroi, come lo Squalo, e così via. Ma per una volta, Steven si toglie la tuta antiproiettile e racconta coraggiosamente una storia d'essai, la sua, senza ghirigori sentimentalisti, senza le simmetrie clichè care agli sceneggiatori di un tempo, con una libertà espressiva mai prevedibile, quasi casuale addirittura. E senza effetti speciali. L'unica specialità sta nella macchina da presa, che gioca come un “attore” con la linea dell'orizzonte, come fanno i bimbi quando superano i primi ostacoli dell'apprendimento e iniziano a dominare la materia. Spielberg ci riesce in pieno, inscenando una metafora bellissima della linea sottile che separa la realtà dall'apparenza, senza porsi domande, ma semplicemente mostrandola.
Per la produzione del film tornano tutti i membri più affezionati al regista: le musiche sono di John Williams (che si ritirerà dal cinema dopo questa ultima composizione), la fotografia contrastata e “antica” è di Kamiński, il montaggio di Michael Kahn e la sceneggiatura, a quattro mani con Spielberg stesso, di Tony Kushner.
Eeaster egg finale con un regista che non svelo. Andatelo a vedere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a johnny1988 »
[ - ] lascia un commento a johnny1988 »
|
|
d'accordo? |
|
fabriziog
|
martedì 3 gennaio 2023
|
spielberg e' tornato!
|
|
|
|
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio.
[+]
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.
Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.
Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.
Fabrizio Giulimondi
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabriziog »
[ - ] lascia un commento a fabriziog »
|
|
d'accordo? |
|
fabriziog
|
martedì 3 gennaio 2023
|
spielberg e'' tornato!
|
|
|
|
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
[+]
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.
Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.
Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.
Fabrizio Giulimondi
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabriziog »
[ - ] lascia un commento a fabriziog »
|
|
d'accordo? |
|
fabriziog
|
martedì 3 gennaio 2023
|
spielberg e'' tornato!
|
|
|
|
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
[+]
“The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.
Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.
L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.
Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.
Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.
Fabrizio Giulimondi
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabriziog »
[ - ] lascia un commento a fabriziog »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
venerdì 6 gennaio 2023
|
la fascinazione di una scoperta
|
|
|
|
Il cinema, le immagini in movimento. L’emozione di una sala buia, lo spettacolo che diviene scena, fittizia rappresentazione di ciò che l’occhio coglie per interpretare la realtà. Che spesso, non è come appare, che talune volte magari è manipolata, asservita in quelle immagini a scopi diversi dal reale. Il cinema, però va oltre, con la sua capacità di stupire, di meravigliarci, è vita finta su schermo vero, che ci fa ridere, piangere, divertire.
Ecco cosa ho pensato all’uscita delle due ore e quaranta di The fabelmans, un biopic alla fine, romanzato, di quello che è l’uomo della fiaba in qualche maniera, Steven Spielberg, capace di dar volto con il suo occhio alle innumerevoli sfaccettature della vita umana, declinando dal serio, al faceto, un dramma di de-costituzione familiare che porterà poi al divorzio dei suoi genitori e in parallelo all’affinazione della tecnica “filmica” tanto studiata con l’osservazione critica della realtà.
In questo mondo degli anni Cinquanta, nasce Sammy Fabelman/Steven Spielberg (interpretato da Gabriel LaBelle) che a cinque anni, è colto da fascinazione alla visione di un classico: Il più grande spettacolo del mondo (Oscar nel 1952 come Miglior film), in particolare dalla scena del deragliamento di un treno. Sam rimane talmente traumatizzato, e tanto sfinisce i suoi genitori, che quelli gli comprano per l'Hanukkah il modellino di un treno a vapore. Cosa che non fa altro che incitarlo con la sua cinepresa otto millimetri di famiglia a simulare lo scontro di un trenino giocattolo con una carrozza in legno. Da questo scontro, nasce l’incontro e per meglio dire, la fascinazione di Sam per la rappresentazione di ciò che il suo sguardo è portato a vedere, l’innamoramento per la macchina da presa che diverrà quasi ossessione, sfociando quindi nella cinefilia.
Sam inizia, per hobby come creduto dall’austero padre Burt (Paul Dano), ingegnere informatico, esperto nell’elaborazione di dati, a filmare quell’intimità domestica borghese numerosa ai tempi del boom economico, fatta di picnic in campagna con la moglie pianista Mitzi (una convincente Michelle Williams), l’anima artistica della famiglia, le sue sorelle e “l’amico” Bennie (Seth Rogen)- fin troppo vicino alla moglie- ma anche di piccoli corti con gli amici simulando con perizia effetti speciali innovativi per l’epoca. Sam modella ciò che vede, taglia e ricuce i nastri, proiettando a cavallo di traslochi a Phoenix e in California per via del lavoro paterno in General Electric, la sua realtà domestica fatta di macchine Cadillac e frigoriferi General Motors. E nel far questo, farà i conti con il dolore della perdita, con l’accettazione a tratti amara e inconsapevole dell’amore, oltrepassando la zona d’ombra sino alla decisiva maturità, fatta di scelte “foderate” e attutite senza i suoni lontani o gli echi indistinti della guerra in Vietnam, ma cercando di cogliere il senso di una formazione caratterizzata da educazione sociale e lavoro.
Patinando la pellicola secondo il dettame di Spielberg che abbiamo apprezzato in precedenti e celebri pellicole come Et, acutamente lontana dalle deiezioni oscure americane razzismo, ma al massimo spruzzando qualche pepe di bullismo, nel classico stereotipo del belloccio della squadra di football e degli amori adolescenziali, The fabelmans sfugge alla semplice etichetta di film di formazione, per la sua natura ondivaga e variamente mutevole. Il dramma si fonde abilmente al faceto, secondo un punto di vista che è quello dello stesso protagonista con la cinepresa, quel piccolo Sam/Steven, mai nostalgico ma soggetto a cambi di tono repentini, miscelandolo con sapienza da “cinema nel cinema” senza mai perdere la visione di insieme della pellicola.
Pellicola che in fondo non fa altro che ribadire l’eterno, invalicabile confronto tra scienza e arte, tra razionalità e tecnica, tra astratto e concreto, tra padre e madre con un semplicismo che solo superficialmente è retorica e che si traduce in fondo, in sapiente equilibrio. Quello di chi sa che il cinema, appunto, deve saper trasmettere allo spettatore: farlo giocare con la semplicità di una storia. Che qui Spielberg ha ben fatto sua romanzandola e rendendola quindi immortale, come del resto fa il cinema, con la C maiuscola.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
mauridal
|
martedì 3 gennaio 2023
|
verità e finzione , è il cinema .
|
|
|
|
Quando una autobiografia ,diventa una opera d’arte. E’ questo il caso del film di Steven Spielberg, che in fondo però non vuole definirsi grande artista ma si accontenta di essere regista di cinema , più laicamente e molto più tecnicamente.La storia della sua famiglia come l’ ha vissuta da piccolo , narrata per quasi tutto il film, intanto è una traccia secondaria, poiché il vero motivo di fondo è il Cinema , come esistenza e necessità di vita addirittura, e potrebbe essere una esagerazione per gran parte del pubblico, che intanto guarda il film.
[+]
Quando una autobiografia ,diventa una opera d’arte. E’ questo il caso del film di Steven Spielberg, che in fondo però non vuole definirsi grande artista ma si accontenta di essere regista di cinema , più laicamente e molto più tecnicamente.La storia della sua famiglia come l’ ha vissuta da piccolo , narrata per quasi tutto il film, intanto è una traccia secondaria, poiché il vero motivo di fondo è il Cinema , come esistenza e necessità di vita addirittura, e potrebbe essere una esagerazione per gran parte del pubblico, che intanto guarda il film. Dunque qual’è il tema , il messaggio del regista: Il Cinema inteso come vivere il sogno delle immagini, e da piccolo , Sam , alias il vecchio Steven, fabbrica le ingenue immagini come un bambino che disegna fumetti sull’album, ma attraverso quelle favole il giovane cresce e distingue la realtà dalla finzione. La realtà ,o la verità della vita ,si rivela subito per il ragazzo Sam , come una triste e deludente realtà, la madre e il padre ad esempio, che ipocritamente fanno una finta famiglia con i figli, poi i compagni di scuola , giovani bulli estremisti anche contro di lui ,americano ma ebreo, e infine le ragazze, una sorta di altro genere umano tra follia e allegria giovanile. Dunque una realtà vissuta dal ragazzo con una incredula ingenuità iniziale, ma che attraverso la passione per il cinema scoperto dopo la visione in sala di film , come un mondo di fantasia che però può essere una realtà da riprodurre attraverso la finzione delle immagini. Dunque il giovane Sam, ci prova con mezzi semplici , cinepresa, e proiettore a riprodurre la realtà che vive . Anche a reinventarla. Attraverso i filmati amatoriali, riprendendo episodi della sua famiglia , la madre , le sorelle il padre e gli amici, Sam scopre una realtà diversa da come la viveva di norma. Attraverso il cinema , i filmine che girava , Sam scopre una verità e non la finzione della vita. Niente era come lui credeva che fosse, il personaggio della madre , centrale nel racconto, è creativa e folle ma anche amante del miglior amico del padre, amore platonico, ma per Sam una delusione. Da allora in poi il ragazzo diventa adulto e lo vediamo impegnato a inventare storie e immagini per fare film, con i suoi amici che recitano ma che si fanno interpreti di realtà differenti, che siano western o storie di guerra Sam vuole restituire attraverso il cinema una sua verità e non una generica finzione.E’ dunque la formazione del regista Steven , che diventa tale dopo aver superato con un suo filmato una selezione di un produttore che, gli presenta come un maestro da seguire John Ford, e nella finzione del film interpretato ,in un cameo, dell'amico David Lynch. Dunque ancora finzione e realtà, Sam ovvero Steven Spielberg inizia così la sua carriera di regista, ma come diceva un suo zio folle circense , non dimenticando l’Arte , e fare cinema a volte deve scontrarsi con la realtà . l(mauridal).
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mauridal »
[ - ] lascia un commento a mauridal »
|
|
d'accordo? |
|
enzo70
|
domenica 8 gennaio 2023
|
intenso omaggio ai genitori e al cinema, stupendo
|
|
|
|
Steven Spielgerg decide di raccontare il cinema, il suo cinema, e lo fa con la sensibilità e la classe che da sempre contraddistinguono i suoi film. Ma in questa pellicola, c’è di più, perché un film così intimo, così personale, raccontato come una fiaba, entra immediatamente nel novero dei capolavori. La storia è semplice, perché è la storia romanzata del regista e della nascita della sua passione per il cinema, bellissima la scena iniziale del bambino imbambolato davanti all’incidente dei treni nel film “Il più grande spettacolo del mondo”. Ma se il cinema è vita Spielberg non può rinunciare a raccontare la sua vita, quella di un adolescente con le tensioni tipiche dell’età, la scoperta del tradimento della madre, il difficile rapporto con il padre, ingegnere dell’Ibm, la relazione con le tre sorelle, il primo amore, le difficoltà per un ragazzino ebreo di inserirsi nella luccicante società californiana.
[+]
Steven Spielgerg decide di raccontare il cinema, il suo cinema, e lo fa con la sensibilità e la classe che da sempre contraddistinguono i suoi film. Ma in questa pellicola, c’è di più, perché un film così intimo, così personale, raccontato come una fiaba, entra immediatamente nel novero dei capolavori. La storia è semplice, perché è la storia romanzata del regista e della nascita della sua passione per il cinema, bellissima la scena iniziale del bambino imbambolato davanti all’incidente dei treni nel film “Il più grande spettacolo del mondo”. Ma se il cinema è vita Spielberg non può rinunciare a raccontare la sua vita, quella di un adolescente con le tensioni tipiche dell’età, la scoperta del tradimento della madre, il difficile rapporto con il padre, ingegnere dell’Ibm, la relazione con le tre sorelle, il primo amore, le difficoltà per un ragazzino ebreo di inserirsi nella luccicante società californiana. E al centro la crescente passione per il cinema, le prime telecamere, le macchine per comporre i film, i primi cortometraggi dai quali emergono immediatamente la qualità cinematografiche del ragazzino. Una bella lettera d’amore ai genitori svelata al grande pubblico scritta nella lingua più congeniale al grande regista, quella del cinema. Al termine della proiezione in una sala, al solito oramai, quasi deserta un lungo applauso per un grande film.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enzo70 »
[ - ] lascia un commento a enzo70 »
|
|
d'accordo? |
|
federico valla
|
venerdì 17 marzo 2023
|
steven, un uomo rimasto ragazzo
|
|
|
|
Spielberg sembra portare sullo schermo la storia della sua vita, dal primo amore per il cinema ai traumi della giovinezza, esattamente come veniva raccontato nel documentario di Susan Lacy del 2017.
L’inizio e la fine di questo film sono fondamentali. Il giovane Sammy realizza da capo, con i suoi mezzi, una delle scene più epiche del film di De Mille. Come per esorcizzare le paure e lo shock di quel disastro, di quella “magia oscura”, di quel mito, quasi un arrivo del treno alla stazione di La Ciotat. Il mito di quegli anni lo avrebbe affrontato anche Spielberg girando coi propri “moderni” mezzi il suo West Side Story.
La vera sorpresa sono però i genitori.
[+]
Spielberg sembra portare sullo schermo la storia della sua vita, dal primo amore per il cinema ai traumi della giovinezza, esattamente come veniva raccontato nel documentario di Susan Lacy del 2017.
L’inizio e la fine di questo film sono fondamentali. Il giovane Sammy realizza da capo, con i suoi mezzi, una delle scene più epiche del film di De Mille. Come per esorcizzare le paure e lo shock di quel disastro, di quella “magia oscura”, di quel mito, quasi un arrivo del treno alla stazione di La Ciotat. Il mito di quegli anni lo avrebbe affrontato anche Spielberg girando coi propri “moderni” mezzi il suo West Side Story.
La vera sorpresa sono però i genitori. Il padre razionale, tranquillo, preciso e coi piedi per terra. La madre libera, energica, più estroversa, ma non esente da momenti di malinconia e disagio. Due diversi tipi di temperamento e di personalità in cui il giovane Sammy (Spielberg) deve destreggiarsi. Anche ognuno di noi. C’è sempre una lotta continua in noi tra simili poli emotivi. Si vede inoltre da dove derivi l’ossessione di Spielberg per uomini, donne e figure genitoriali sbagliate, imperfette e inadeguate. Dai genitori criminali di Sugarland Express fino al Roy Neary di Incontri Ravvicinati, fino al Sean Connery, padre di Indiana Jones, e al Tom Cruise de La Guerra dei Mondi. Una semplice istruzione a un giovane attore vede riflesso un profondo trauma personale che il protagonista si porterà dietro per tutta la vita.
Questo è anche un film sul potere delle immagini, della gioia e della tristezza che generano, dei ricordi belli e brutti che rappresentano. Alla fine, come il Fabietto Schisa di Sorrentino, neanche Spielberg si é disunito, non ha dimenticato chi è, da dove viene e cosa lo ha formato. Se nei suoi film, dalle prime prove fino ai capolavori monumentali, vi erano tracce di questi fatti, di questi eventi segnanti, ora quei fantasmi diventano più vivi che mai. Vengono esorcizzati tramite la messa in scena così come quel treno a inizio film.
E qui si passa al finale, della breve e intensa lezione di quello che era allora “il più grande regista di tutti i tempi”…L’Importanza dell’orizzonte, in alto e in basso, ma mai in mezzo. La base per la monumentalitá e l’imponenza di Spielberg stesso, il cantastorie di grandi gesta di personaggi comuni che si ritrovano a vivere fatti e avventure straordinarie. L’ultima inquadratura, quel passare da un orizzonte in mezzo a uno in basso, quasi un errore da principiante, racchiude quasi in un cameo tutto ciò che è Spielberg, un uomo che non ha smesso di essere un ragazzo o un ragazzo che non è mai diventato del tutto uomo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a federico valla »
[ - ] lascia un commento a federico valla »
|
|
d'accordo? |
|
gabriella
|
domenica 16 aprile 2023
|
where is the horizon?
|
|
|
|
S'incomincia con un temporale... prendo a prestito l'incipt del libro più famoso di Luigi Meneghello, per descrivere la scintilla che ha poi dato vita a uno dei più famosi e importanti registi al mondo. Nel caso di Spielberg non si parla ovviamente di un fenomeno atmosferico, piuttosto un temporale emotivo, suscitato dalla sua prima visione di un film in una buia sala cinematografica, lo scontro di un treno, che gli rimarrà impresso e del quale avvertirà il bisogno di replicarlo .
[+]
S'incomincia con un temporale... prendo a prestito l'incipt del libro più famoso di Luigi Meneghello, per descrivere la scintilla che ha poi dato vita a uno dei più famosi e importanti registi al mondo. Nel caso di Spielberg non si parla ovviamente di un fenomeno atmosferico, piuttosto un temporale emotivo, suscitato dalla sua prima visione di un film in una buia sala cinematografica, lo scontro di un treno, che gli rimarrà impresso e del quale avvertirà il bisogno di replicarlo .Sicuramente è il film più intimista, più vulnerabile del regista di Cincinnati, poiché svela aspetti che lo hanno accompagnato nella sua infanzia e nelle acque tumultuose dell’adolescenza. L’alter ego in questo caso è Sammy, che vive con le sorelle e i genitori, ingegnere lui, concertista mancata lei, avendo sacrificato la carriera per la famiglia, i frequenti trasferimenti per assecondare il lavoro del padre, i primi filmati che rappresentano scene familiari o realizzate con gli amici scout, l’instabilità emotiva della madre, intrappolata tra il dovere e il bisogno di esprimersi, la pacatezza del padre, sempre pragmatico a fornire spiegazioni dettagliate ai figli sul funzionamento delle cose, ma anche l’incontro con lo zio Boris, un circense che spiegherà a Sam l’importanza di controllare le paure, e che il destino dell’artista è lastricato di sofferenzal. E sarà proprio il divorzio dei genitori a spezzargli il cuore, e Sam lo intuisce prima che ciò accada, non davanti la realtà di tutti i giorni, ma guardando le immagini del suo filmato in moviola tra le note dell’Adagio di Bach. Da qui la necessità e il bisogno di rifugiarsi nel cinema, di imbottigliare sogni dietro la cinepresa, di credere e alimentare il suo desiderio, la sua passione, ricompattare le fratture e le lacerazioni della complessità della natura umana- Sam comprende che può manipolare la realtà, modellarla e migliorarla, così come la realizzazione del filmato in spiaggia , dove riprende Logan ( il bullo della scuola che lo deride per le sue origini ebraiche, ) come un semidio, nella sua prestanza fisica e costringendolo a misurarsi con un sé stesso fragile e ansioso . Sam si muove tra razionalità ed emozione, gli elementi che contraddistinguono i suoi genitori, fino all’accettazione che le cose accadono perché devono accadere e dopo tanti anni, a 75 anni Steven Spielberg ci racconta la sua storia personale ,non più attraverso le metafore dei suoi film precedenti, e il suo incontro/scontro con il cinema, senza dimenticare di stupirci, di lasciarci come sempre , incantati e trasportati dalla magia del cinema, come quel bambino di sei anni , a bocca aperta, nel suo battesimo con il grande schermo. E ci incamminiamo con lui, verso un orizzonte luminoso che pian piano la cinepresa corregge e converge verso l’alto.
Da sottolineare la brillante interpretazione del giovane Gabriel LaBelle, quella di Paul Dano , nonché i camei di Hirsch e Linch. Menzione a parte per Michelle Williams, che devo ammettere non mi ha convinta nella versione in italiano, mi pareva goffa e artificiosa, mentre nella versione originale è splendida., Ovviamente è un mio parere personale, ma sono sempre più convinta della necessità di guardare i film in lingua originale, trovo che il doppiaggio sia notevolmente scaduto negli ultimi anni, c’è una piattezza di espressione che è impossibile non notare e mi accorgo che si perde moltissimo nella visione. La voce è uno strumento essenziale per un attore, privato di ciò o con l’ausilio posticcio di una voce impersonale, si ha una percezione non veritiera della performance reale.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gabriella »
[ - ] lascia un commento a gabriella »
|
|
d'accordo? |
|
|