francesca meneghetti
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martedì 21 marzo 2023
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una mela non cade lontano dall'albero
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Spielberg è un mostro sacro del cinema e il suo solo nome mette soggezione. In questo film Spielberg, si fa inquadrare all’inizio del film, dichiarandone con molta semplicità il carattere autobiografico, sembra voler negare la protasi della famosa frase di Tolstoj "Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” (Anna Karenina), nel senso che la sua famiglia fu felice per oltre un decennio in modo molto speciale. Da Brut (che impersona la figura del geniale ingegnere elettronico Arnold Spielberg) e da Mitzi (che impersona la madre Leah Adler, pianista), entrambi ebrei di origini ucraine, nacquero quattro figli che vissero un’infanzia allegra e scoppiettante, stimolante.
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Spielberg è un mostro sacro del cinema e il suo solo nome mette soggezione. In questo film Spielberg, si fa inquadrare all’inizio del film, dichiarandone con molta semplicità il carattere autobiografico, sembra voler negare la protasi della famosa frase di Tolstoj "Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” (Anna Karenina), nel senso che la sua famiglia fu felice per oltre un decennio in modo molto speciale. Da Brut (che impersona la figura del geniale ingegnere elettronico Arnold Spielberg) e da Mitzi (che impersona la madre Leah Adler, pianista), entrambi ebrei di origini ucraine, nacquero quattro figli che vissero un’infanzia allegra e scoppiettante, stimolante. La creatività artistica e umorale della mamma si sommava a quella razionale e pacata del padre. E non è da stupirsi che da genitori simili sia derivato un altro genio. Ma se il talento di Steven Spielberg (nel film, Sam Fabelman) si è profuso nel cinema, ciò è dovuto in parte al caso: a sei anni Sam assiste alla sua prima proiezione cinematografica, che è traumatica. C’è chi ha subito questo trauma con Bambi, e chi, in modo più motivato, con il film “Il più grande spettacolo del mondo”, dove avviene uno spettacolare incidente ferroviario. L’impatto con il cinema è stato però mediato dai genitori di Sam: il padre gli svela i segreti dell’illusione del movimento operata dal cervello, di fronte alla successione rapida di fotogrammi, e lo dota fin da bambino di videocamere;la mamma lo aiuta a capire che il cinema consente di controllare la realtà (e le paure ad essa connesse). Il racconto abbraccia circa quindici anni di vita: dal 1952 (New Jersey) fino al 1966 (un anno circa dopo il divorzio dei genitori, a Los Angeles), con una tappa intermedia a Phoenix in Arizona. Gli spostamenti derivano da esigenze di lavoro del padre e finiscono per destabilizzare tanti equilibri, mettendo anche Sam di fronte all’antisemitismo violento di certi giovanotti californiani, biondi, abbronzati, alti come sequoie, ma piccoli di cervello. Bravissimo Gabriel LaBelle a interpretare il giovane Sam. Ricorda molto Dustin Hoffman ne Il Laureato. Altro è meglio non dire per non svelare troppo, se non una raccomandazione: è una pellicola in cui i 150 minuti scorrono meravigliosamente, seminando emozioni e sorprese. Se per Sorrentino il film È stata la mano di Dio ha rappresentato una salvezza, per Spielberg questo film è stata una necessità artistica e personale.
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felicity
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mercoledì 31 maggio 2023
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racconto autobiografico dell''amore per il cinema
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The Fabelmans racchiude l’essenza del cinema di Spielberg, un vero e proprio manifesto artistico ed emotivo di un genio che ha emozionato generazioni di spettatori.
La straordinaria capacità del cineasta premio Oscar di mescolare cinema autoriale e cinema popolare raggiunge in The Fabelmans vette altissime. La natura della storia permette infatti a chiunque di relazionarvisi, ma non è noiosa né banale, mentre la confezione registica è incredibilmente raffinata pur non indugiando in orpelli e autocompiacimenti.
Nonostante la durata impegnativa di due ore e mezza il film scorre in maniera piacevolissima, senza perdersi in lungaggini e senza facili escamotage di scrittura.
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The Fabelmans racchiude l’essenza del cinema di Spielberg, un vero e proprio manifesto artistico ed emotivo di un genio che ha emozionato generazioni di spettatori.
La straordinaria capacità del cineasta premio Oscar di mescolare cinema autoriale e cinema popolare raggiunge in The Fabelmans vette altissime. La natura della storia permette infatti a chiunque di relazionarvisi, ma non è noiosa né banale, mentre la confezione registica è incredibilmente raffinata pur non indugiando in orpelli e autocompiacimenti.
Nonostante la durata impegnativa di due ore e mezza il film scorre in maniera piacevolissima, senza perdersi in lungaggini e senza facili escamotage di scrittura. Oltre al suo valore simbolico, autobiografico e metacinematografico, il nuovo film di Steven Spielberg riesce infatti a tenere incollati allo schermo grazie alla sapiente gestione del ritmo e dei registri narrativi al suo interno, tra cui quello della commedia, genere in cui Spielberg si è poco cimentato, ma che maneggia con estrema naturalezza.
Gli ultimi minuti del lungometraggio poi sono una vera e propria lezione per i giovani autori: quello che conta, alla fine, non è tanto ciò che si rappresenta, ma come lo si rappresenta. Il Cinema è una questione di sguardo, di prospettiva, di orizzonte: solo l’occhio dell’artista è in grado di regalare unicità all’opera.
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figliounico
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mercoledì 17 maggio 2023
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un fattarello firmato da un grande favolista
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Più di due ore e mezza per raccontare un fattarello in forma aneddotica che riguarda l’infanzia e l’adolescenza di Spielberg, la nascita della sua passione per la settima arte e le vicende coniugali molto private della sua famiglia d’origine e che si potrebbe riassumere nelle poche righe di un soggetto minimalista, di per sé poco o per nulla interessante, ma che grazie alla prospettiva a posteriori di un successo ottenuto a livello mondiale, per le indubbie doti di cineasta, si trasforma in un accattivante biopic fatto apposta per la curiosità morbosa di quei cinefili appassionati della vita più che delle opere dei propri eroi, artefici a loro volta di favole in celluloide per adulti, come suggerisce il cognome fittizio che si dà l’autore nel suo film.
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Più di due ore e mezza per raccontare un fattarello in forma aneddotica che riguarda l’infanzia e l’adolescenza di Spielberg, la nascita della sua passione per la settima arte e le vicende coniugali molto private della sua famiglia d’origine e che si potrebbe riassumere nelle poche righe di un soggetto minimalista, di per sé poco o per nulla interessante, ma che grazie alla prospettiva a posteriori di un successo ottenuto a livello mondiale, per le indubbie doti di cineasta, si trasforma in un accattivante biopic fatto apposta per la curiosità morbosa di quei cinefili appassionati della vita più che delle opere dei propri eroi, artefici a loro volta di favole in celluloide per adulti, come suggerisce il cognome fittizio che si dà l’autore nel suo film. Nonostante il tono narrativo, che oscilla tra il melenso ed il patetico, il film scorre senza annoiare troppo e giunge al finale, già dimenticato, tenendo desta la platea forse anche per la bravura degli ottimi professionisti del cast, soprattutto convincente la performance di Paul Dano nella parte del padre, per i dialoghi non del tutto banali ma di certo non geniali, scritti a quattro mani dallo stesso Spielberg e dallo sceneggiatore dei suoi ultimi lavori, Tony Kushner, e per la colonna sonora costituita per lo più da brani di musica classica tra cui i suggestivi Gymnopédies di Erik Satie. Il regista del Lo squalo e di Jurassik Park e di tanti altri piacevoli prodotti del cinema inteso come puro spettacolo si conferma maestro dell’intrattenimento anche nella messa in scena della sua adolescenza che riesce a rendere guardabile, nonostante sia assolutamente comune, scegliendo come genere la commedia, incentrata sulla dinamica dei rapporti umani e colorita dalla chiacchiera vivace dei personaggi e da emozioni primarie e superficiali, piuttosto che il dramma introspettivo alla Bergman, perché si sa, e Spielberg meglio di tutti lo sa, che al cinema la gente ci va per distrarsi e non certo per pensare.
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spione
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martedì 7 febbraio 2023
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un film sull''amore
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“I film sono sogni che non dimenticherai mai.”
"The Fabelmans" non è solo un ovvio capolavoro di metacinema: è anche e soprattutto un film d'amore.
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“I film sono sogni che non dimenticherai mai.”
"The Fabelmans" non è solo un ovvio capolavoro di metacinema: è anche e soprattutto un film d'amore. L'amore per il cinema, raccontato da uno dei suoi più grandi esponenti di sempre a partire dalla sua genesi a soli 5 anni, ma anche e soprattutto il suo amore per i genitori. Per la madre pianista (ruolo per il quale Michelle Williams è candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista, ma non - curiosamente - come peggior taglio di capelli), ma anche e soprattutto per il padre pioniere dell'elettronica, con il quale probabilmente il regista cerca di riconciliarsi dopo averne bistrattato un po' troppo la figura nella sua filmografia precedente ("E.T." e "Incontri ravvicinati" per tutti).
Spielberg mette in scena se stesso adolescente, con le sue insicurezze figlie delle non facili dinamiche familiari e le sue paure di giovane bersaglio del bullismo e dell'antisemitismo al college. Ecco allora perché il cinema diventa rifugio, evasione da un quotidiano spesso doloroso, immagine che prende il posto di parole che sarebbero forse troppo pesanti. Ne esce un gustoso ritratto di un quadretto familiare che ricorda quello di "Radio Days", seppur trasposto in un assai più asettico ambiente borghese. Non la rumorosa "tribù" alleniana, dunque, ma una più bergmaniana famiglia a disagio nel gestire i sentimenti, e di cui, alla fine, il non detto finirà per travolgere l'unità.
Cinema che parla di cinema, si diceva, con più "Hugo Cabret" che Godard, più "Amarcord" che "8½", e dove, non sorprendentemente, le citazioni abbondano per la gioia del cinefili: da Cecil B. DeMille, passando per l'autocitazione schindleriana "io ti perdono", fino al sontuoso cameo finale di David Lynch nei panni di John Ford che esorta il protagonista a "cercare l'orizzonte": sicuramente il momento più alto del film.
Al botteghino "The Fabelmans" è stato un flop: il peggior risultato finanziario di sempre per un film diretto e prodotto da Spielberg. Anche in questo caso, direi, non sorprendentemente. E davvero non saprei che motivo migliore darvi per incoraggiarvi a vederlo.
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ralphscott
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domenica 26 marzo 2023
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il sacro fuoco spento dalla noia
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L'aspetto che più apprezzo é che c'é passione, ed arriva a noi. Il sogno del cineasta in nuce, le difficoltà e gli ostacoli familiari, le delusioni, i successi, la tecnica ed i suoi strumenti, lo stupore. Tuttavia ho fatto fatica a stare sveglio, a seguire una messa in scena tanto sincera quanto intima, troppo. I genitori mi sono sembrati personaggi più riusciti o, almeno, più interessanti. Mitzi é un ibrido tra D. Day, J. Wyman (ah, quegli occhiali rossi!) e C. Colbert, infinitamente triste ed irrisolta, una personalità apparentemente esplicita, ma gratta gratta...sfuggente. Il padre, col viso unico ed irripetibile di Paul Dano, una sfinge che quasi fa rabbia: ci é o, più probabilmente, ci fa ? è tale e tanto l'amore per far chiudere gli occhi davanti alla tresca che sconvolge il povero figliuolo ? W il cinema fatto con passione, quindi, ma dal re dei registi era lecito aspettarsi di più.
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stefano musacchio
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venerdì 30 dicembre 2022
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imbarazzante
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Il film è una sorta di autobiografia autocelebrativa in cui il regista sembra ridicolizzare tutti, tranne se stesso. La madre è dipinta come una psicopatica con tendenze suicide, il padre come un genio dei computers ma incapace in tutto il resto, i compagni di scuola sembrano una parodia della gioventù nazista trapiantata in California, la fidanzatina è una fanatica religiosa, gli zii sono macchiette e le sorelle delle semplici comparse dei suoi filmini. In mezzo a tutti questi matti brilla un unico genio: Il grande regista in erba, che riceve la sacra investitura nientepopodimeno che da John Ford in persona. Sembra quasi che il regista abbia voluto prendersi una vendetta da bambinone viziato e capriccioso contro tutto il resto del mondo.
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Il film è una sorta di autobiografia autocelebrativa in cui il regista sembra ridicolizzare tutti, tranne se stesso. La madre è dipinta come una psicopatica con tendenze suicide, il padre come un genio dei computers ma incapace in tutto il resto, i compagni di scuola sembrano una parodia della gioventù nazista trapiantata in California, la fidanzatina è una fanatica religiosa, gli zii sono macchiette e le sorelle delle semplici comparse dei suoi filmini. In mezzo a tutti questi matti brilla un unico genio: Il grande regista in erba, che riceve la sacra investitura nientepopodimeno che da John Ford in persona. Sembra quasi che il regista abbia voluto prendersi una vendetta da bambinone viziato e capriccioso contro tutto il resto del mondo.
Lo spettatore assiste imbarazzato per due ore e mezza a questa rappresentazione, e l'imbarazzo è evidente anche negli attori del film.
L'insegnamento che se ne trae è che è sempre meglio stare alla larga dai film autobiografici.
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[+] lento ,lungo e che ''non parte mai''
(di gisella)
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