Vermiglio |
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Un film di Maura Delpero.
Con Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 119 min.
- Italia, Francia, Belgio 2024.
- Lucky Red
uscita giovedì 19 settembre 2024.
MYMONETRO
Vermiglio ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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La versione montanara di C''è ancora domani
di francesca meneghettiFeedback: 8216 | altri commenti e recensioni di francesca meneghetti |
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venerdì 20 settembre 2024 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Vermiglio è una tinta rosso brillante. Ma in questo caso è il nome di un paesino dell’estrema Val di Sole, vicino al passo del Tonale che viene raccontato da Maura Delpero in assenza quasi totale di colore: non è in bianco e nero (scelta che comporta una voluta cifra documentaria o neorealistica), ma prevalgono i neri, i marroni, i grigi, le tonalità fredde, tanto più per il fatto che il paesaggio, nella prima parte, è nevoso e invernale. Anche gli interni, tenebrosi, non sfuggono alla regola. Il villaggio in realtà non si vede: le scene si svolgono prevalentemente nella casa isolata tra i monti dei Graziadei cui si aggiungono l’osteria, la scuola, la chiesa (interni). La storia familiare, drammatica, è al centro della vicenda. È vero che all’inizio si insinua un tema storico-politico: in una baita solitaria hanno trovato riparo dei disertori (siamo nel ’44), e la cosa fa discutere in osteria, con punti di vista diversi, ma non sembra quello l’interesse principale della regista. Anzi, potrebbe essere un’occasione per introdurre, in una luce favorevole, il capofamiglia, che è anche maestro elementare: illuminato, pacato, distinto e pulto, anche nel vestire. In realtà Cesare Graziadei (Tommaso Ragno) è un uomo dai chiaro-scuri, finanche ambiguo: predica bene ai suoi scolari, figli inclusi, insegna l’onestà e la bellezza (della natura, della poesia, della musica), ma nel privato razzola male, pur senza perdere in controllo. Quando compra un disco per il grammofono, e sua moglie protesta di dover contare le patate per sfamare i figli (ne partorisce dieci, ma due sono morti), la invita a stare calma per non danneggiare l’ennesimo bimbo in pancia. Quando la stessa osserva, dopo il parto, che il figlio maggiore, disprezzato dal padre perché poco incline allo studio, le ha portato dei fiori, cosa che il marito non hai mai fatto, Cesare redarguisce il ragazzo, che avrebbe rubato i fiori ai vicini, e “perdona” la moglie per questa osservazione fatta di fronte ai figli in quanto puerpera e quindi un po’ folle. Inoltre il maestro-padrone decide in modo insindacabile quale sarà l’unica figlia a cui sarà consentito di studiare. Il film potrebbe essere la versione montanara di “C’è ancora domani”, ma con tre differenze: la maggior ambiguità di Cesare, che non alza mai le mani e neppure la voce, a differenza di Ivano-Mastandrea; il contesto rurale che induce la solitudine (nel film della Cortellesi la vicenda si svolge nel quartiere popolare del Testaccio, che offre possibilità di condivisione dei propri dolori); infine, l’assenza di speranza (Delia vede nel voto una possibilità di riscatto femminile, qui pare negata). Il pessimismo del film si accentua dato che il focus del film ricade sulla figlia maggiore dei Graziadei, Lucia, che si innamora di uno dei due disertori, siciliano, ne rimane incinta, lo sposa, ma la storia non avrà affatto un lieto fine. Così si esce da film con un sentimento di tristezza infinita, accentuato dall’effetto emotivo più o meno devastate prodotto dai numerosi pianti disperati di neonati affamati o ammalati.
Questo non significa che il film non sia valido. La regista ha colto bene la lezione realista di Ermanno Olmi, ma anche di Giorgio Diritti (L’uomo che verrà). La parlata è dialettale, sottotitolata. La ricostruzione degli ambienti interni (pochi come si è detto, anche perché il budget della produzione era ristretto, a quanto abbiamo capito) è accurata. Qualche dubbio di verosimiglianza sul lavatoio dove corre acqua fresca, e non ghiaccio, in pieno inverno. Le luci, i controluce perfetti, come il sonoro (il fischio del vento, il chiocciare delle galline, lo scricchiolio e i tondi dei passi sui pavimenti di legno, il bisbigliare dei bambini, due o tre per letto, che sono il momento più tenero della narrazione). Insomma, un film da vedere, ma corazzati (almeno i più sensibili). Un bicchiere di Teroldego, visto che siamo in Trentino, non guasta dopo la visione, pensando a quanta strada è stata compiuta in ottant'anni, malgrado tutto.
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