albert
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giovedì 23 gennaio 2025
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guerra rosso vermiglio
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Si sarebbe potuto dare 3 stelle e mezzo, ma saremo più generosi la prossima volta con la giovane promettente regista, Maura Delpero, al suo secondo lungometraggio. Ci racconta l'ultimo anno della seconda guerra mondiale, secondo l'ottica della numerosa famiglia Graziadei che vive a Vermiglio, un paese di montagna nei pressi del passo del Tonale. Punto di riferimento di tale famiglia è il padre, interpretato da un ottimo Tommaso Ragno, integerrimo insegnante che ha come alunni anche tre suoi figli che tratta in modo equanime e il cui andamento scolastico ne determinerà anche il destino futuro. La fine della guerra, che per quasi tutte le persone sarà la fine di un incubo, per la famiglia Graziadei coinciderà con accadimenti del tutto negativi.
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Si sarebbe potuto dare 3 stelle e mezzo, ma saremo più generosi la prossima volta con la giovane promettente regista, Maura Delpero, al suo secondo lungometraggio. Ci racconta l'ultimo anno della seconda guerra mondiale, secondo l'ottica della numerosa famiglia Graziadei che vive a Vermiglio, un paese di montagna nei pressi del passo del Tonale. Punto di riferimento di tale famiglia è il padre, interpretato da un ottimo Tommaso Ragno, integerrimo insegnante che ha come alunni anche tre suoi figli che tratta in modo equanime e il cui andamento scolastico ne determinerà anche il destino futuro. La fine della guerra, che per quasi tutte le persone sarà la fine di un incubo, per la famiglia Graziadei coinciderà con accadimenti del tutto negativi. Un soldato siciliano si era rifugiato presso di loro e, innamoratosi della figlia maggiore, la sposa e la ingravida. Alla fine della guerra, tornerà in Sicilia per trovare i genitori, ma dai giornali si verrà a sapere che è stato ucciso dalla prima moglie di cui nessuno conosceva l'esistenza. Questa parte è la più fumosa perché lo spettatore non sa nulla e non si viene a sapere come la prima moglie dalla Sicilia abbia saputo del nuovo matrimonio del marito Pietro il soldato di cui sopra. Pregio del film è anche l'essenzialita, non risultando mai prolisso, ma evidenziando i tratti salienti della vicenda, ma non sempre tale essenzialità è giovevole per la narrazione. Vi è una grande cura dei dettagli con immagini suggestive della montagna. Anche la gente del luogo, che ha fatto parte del cast, è risultata oltremodo adeguata al ruolo assegnato. Alla fine tutto si ribalta. I valori del padre vengono accantonati come anche la figura del padre. Diventa un film al femminile dove tutto grava sulle spalle delle donne che danno un'impronta più concreta alla loro esistenza con anche la neomamma Lucia deve andare a lavorare per mantenere la figlia.
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francesca meneghetti
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venerdì 20 settembre 2024
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la versione montanara di c''è ancora domani
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Vermiglio è una tinta rosso brillante. Ma in questo caso è il nome di un paesino dell’estrema Val di Sole, vicino al passo del Tonale che viene raccontato da Maura Delpero in assenza quasi totale di colore: non è in bianco e nero (scelta che comporta una voluta cifra documentaria o neorealistica), ma prevalgono i neri, i marroni, i grigi, le tonalità fredde, tanto più per il fatto che il paesaggio, nella prima parte, è nevoso e invernale. Anche gli interni, tenebrosi, non sfuggono alla regola.
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Vermiglio è una tinta rosso brillante. Ma in questo caso è il nome di un paesino dell’estrema Val di Sole, vicino al passo del Tonale che viene raccontato da Maura Delpero in assenza quasi totale di colore: non è in bianco e nero (scelta che comporta una voluta cifra documentaria o neorealistica), ma prevalgono i neri, i marroni, i grigi, le tonalità fredde, tanto più per il fatto che il paesaggio, nella prima parte, è nevoso e invernale. Anche gli interni, tenebrosi, non sfuggono alla regola. Il villaggio in realtà non si vede: le scene si svolgono prevalentemente nella casa isolata tra i monti dei Graziadei cui si aggiungono l’osteria, la scuola, la chiesa (interni). La storia familiare, drammatica, è al centro della vicenda. È vero che all’inizio si insinua un tema storico-politico: in una baita solitaria hanno trovato riparo dei disertori (siamo nel ’44), e la cosa fa discutere in osteria, con punti di vista diversi, ma non sembra quello l’interesse principale della regista. Anzi, potrebbe essere un’occasione per introdurre, in una luce favorevole, il capofamiglia, che è anche maestro elementare: illuminato, pacato, distinto e pulto, anche nel vestire. In realtà Cesare Graziadei (Tommaso Ragno) è un uomo dai chiaro-scuri, finanche ambiguo: predica bene ai suoi scolari, figli inclusi, insegna l’onestà e la bellezza (della natura, della poesia, della musica), ma nel privato razzola male, pur senza perdere in controllo. Quando compra un disco per il grammofono, e sua moglie protesta di dover contare le patate per sfamare i figli (ne partorisce dieci, ma due sono morti), la invita a stare calma per non danneggiare l’ennesimo bimbo in pancia. Quando la stessa osserva, dopo il parto, che il figlio maggiore, disprezzato dal padre perché poco incline allo studio, le ha portato dei fiori, cosa che il marito non hai mai fatto, Cesare redarguisce il ragazzo, che avrebbe rubato i fiori ai vicini, e “perdona” la moglie per questa osservazione fatta di fronte ai figli in quanto puerpera e quindi un po’ folle. Inoltre il maestro-padrone decide in modo insindacabile quale sarà l’unica figlia a cui sarà consentito di studiare. Il film potrebbe essere la versione montanara di “C’è ancora domani”, ma con tre differenze: la maggior ambiguità di Cesare, che non alza mai le mani e neppure la voce, a differenza di Ivano-Mastandrea; il contesto rurale che induce la solitudine (nel film della Cortellesi la vicenda si svolge nel quartiere popolare del Testaccio, che offre possibilità di condivisione dei propri dolori); infine, l’assenza di speranza (Delia vede nel voto una possibilità di riscatto femminile, qui pare negata). Il pessimismo del film si accentua dato che il focus del film ricade sulla figlia maggiore dei Graziadei, Lucia, che si innamora di uno dei due disertori, siciliano, ne rimane incinta, lo sposa, ma la storia non avrà affatto un lieto fine. Così si esce da film con un sentimento di tristezza infinita, accentuato dall’effetto emotivo più o meno devastate prodotto dai numerosi pianti disperati di neonati affamati o ammalati.
Questo non significa che il film non sia valido. La regista ha colto bene la lezione realista di Ermanno Olmi, ma anche di Giorgio Diritti (L’uomo che verrà). La parlata è dialettale, sottotitolata. La ricostruzione degli ambienti interni (pochi come si è detto, anche perché il budget della produzione era ristretto, a quanto abbiamo capito) è accurata. Qualche dubbio di verosimiglianza sul lavatoio dove corre acqua fresca, e non ghiaccio, in pieno inverno. Le luci, i controluce perfetti, come il sonoro (il fischio del vento, il chiocciare delle galline, lo scricchiolio e i tondi dei passi sui pavimenti di legno, il bisbigliare dei bambini, due o tre per letto, che sono il momento più tenero della narrazione). Insomma, un film da vedere, ma corazzati (almeno i più sensibili). Un bicchiere di Teroldego, visto che siamo in Trentino, non guasta dopo la visione, pensando a quanta strada è stata compiuta in ottant'anni, malgrado tutto.
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angelo umana
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mercoledì 25 settembre 2024
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che avrà voluto dire?
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“Ma che avrà voluto dire?”: così si concludeva un breve racconto di comuni vicende familiari che raccontava Simona Marchini, nella parte di moglie sognatrice irriducibile e “finta” sempliciotta del bel programma radio Black-Out di Radio2 alcuni anni fa. E che avrà voluto dire in questo Vermiglio la regista Maura Delpero, lodevole autrice del precedente e apprezzato Maternal del 2021?
Un come vivevamo nei paesotti delle montagne innevate del Tonale o in tanti altrove, in famiglia dove si producevano figli in case ridotte e i bambini non nati o morti di povere malattie da piccoli erano angioletti volati in cielo.
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“Ma che avrà voluto dire?”: così si concludeva un breve racconto di comuni vicende familiari che raccontava Simona Marchini, nella parte di moglie sognatrice irriducibile e “finta” sempliciotta del bel programma radio Black-Out di Radio2 alcuni anni fa. E che avrà voluto dire in questo Vermiglio la regista Maura Delpero, lodevole autrice del precedente e apprezzato Maternal del 2021?
Un come vivevamo nei paesotti delle montagne innevate del Tonale o in tanti altrove, in famiglia dove si producevano figli in case ridotte e i bambini non nati o morti di povere malattie da piccoli erano angioletti volati in cielo. A quei tempi si dormiva vari bambini in lettoni grandi, uno coi piedi sul cuscino dell'altro e viceversa, per sfruttare tutti gli spazi e darsi calore. C'era il latte delle mucche però, e il gatto, la capra, le galline e gli asini (anche a scuola). C'era la guerra lontana e chissà se i figli-soldato in guerra ricevevano le lettere dei familiari o se qualcuno di essi era già morto in battaglia. Qualche lettera che giungeva dal fronte faceva pianger la mamma.
Un film che sa tanto di Albero degli zoccoli o perfino di Piccolo mondo antico: ricordi, sentimenti delicati e appena accennati, cose non dette in famiglia ma intuite, discipline familiari di costume, quando il capofamiglia e procreatore di bambini - pure insegnante di una piccola e di varia età scolaresca in questo caso – pretendeva che la moglie fattrice non gli mancasse di rispetto davanti ai figli.
Apprendiamo che la scuola era ed è un grande insegnamento perché ci mostra i nostri limiti, che andare a messa era un dovere e ascoltarla in latino sapeva di solennità. Che una donna andava purificata dopo il parto e che chi va al mulino si sporca di farina: così accade alla figlia femmina (Sara Serraiocco) in età da marito che si invaghisce del siciliano Pietro, disertore fuggito dal fronte e ospitato in questa piccola comunità di montagna. Il piccolo mondo antico si “arricchisce”, per così dire, della piccola storia ignobile (da De André), siciliana, dello sposo Pietro che alla fine della guerra può tornare in isola e far sapere alla famiglia di esser vivo, di esser futuro papà lassù sui monti ma rimanere ucciso in quella terra perché fedifrago, essendo già promesso sposo ad una siciliana. La moglie di montagna “tradita” e travagliata orba di notizie del marito lontano, aspetterà la piccola Antonia fino dal primo mese(questa la cantava Lucio Dalla), e sarà l'abbraccio più amorevole del film. Un commento breve: mah?! “Che avrà voluto dire” la regista? Che, come è detto nel film, ognuno ha bisogno del suo cielo!, e dei suoi ricordi.
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rosmersholm
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lunedì 21 ottobre 2024
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modaiolo
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“La moda è un fenomeno sociale che consiste nell’affermazione, in un certo periodo e in un certo luogo, di un modello estetico... può riguardare ambiti intellettuali, ideologici o artistici. ”
Ho perso il conto di quanti film contemporanei sacrificano il maschio bianco e occidentale sull'altare del pensiero dominante.
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“La moda è un fenomeno sociale che consiste nell’affermazione, in un certo periodo e in un certo luogo, di un modello estetico... può riguardare ambiti intellettuali, ideologici o artistici. ”
Ho perso il conto di quanti film contemporanei sacrificano il maschio bianco e occidentale sull'altare del pensiero dominante. E più che un'ugenza sembra una furbizia: cosa c'è di più semplice di immettresi nel grande alveo di quello che vuole il grande pubblico, la critica, le giurie dei festival? Quale coraggio qui in Occidente, mentre intorno a noi persiste una tossica cultura machista (ma le vedete Hina, Saman e le mille altre?), rivangare concetti stradigeriti? Certo qui, il film è meno rozzo di quello della Cortellesi, ma siamo sempre da quelle parti. Un padre irrigidito dentro la sua morale che nasconde un sottofondo di corruzione. Un amante/marito mentitore fino alla bigamia. Un fratello tonto, destinato al più ad un destino di ubriacone. Del resto gli uomini "sono strani": fanno la guerra. Di contro un materno universo femminile fatto di sensibilità e dolore, primi piani languidi, voci sussurrate. In un contesto montano di prati pettinati e nevi immacolate. Eppure dovrebbe saperlo la Depero: la Moda dialoga con la Morte (artistica).
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venerdì 4 ottobre 2024
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un buon film senza pretese da oscar
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La narrazione affonda le radici in un'Italia ancora in guerra, ma gli echi del conflitto arrivano attutiti nel piccolo borgo montanaro di Vermiglio. La povertà e la vita rurale dei pochi abitanti vengono travolte da un singolo evento il cui nesso logico con la guerra è più che evidente. Malgrado la buona sceneggiatura, manca una trama robusta che si contrapponga ai tempi lenti della montagna e che sostenga l'attenzione dello spettatore. Ottima la fotografia e le luci, come pure la ricerca dei dettagli che raccontano senza mai svelare troppo, lasciando così allo spettatore la necessaria libertà di interpretazione. Di contro, i troppi stereotipi sottraggono piuttosto che aggiungere qualcosa nei momenti di debolezza della trama: Il maschio meridionale senza troppi scrupoli, il suo omicidio da parte della legittima moglie siciliana.
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La narrazione affonda le radici in un'Italia ancora in guerra, ma gli echi del conflitto arrivano attutiti nel piccolo borgo montanaro di Vermiglio. La povertà e la vita rurale dei pochi abitanti vengono travolte da un singolo evento il cui nesso logico con la guerra è più che evidente. Malgrado la buona sceneggiatura, manca una trama robusta che si contrapponga ai tempi lenti della montagna e che sostenga l'attenzione dello spettatore. Ottima la fotografia e le luci, come pure la ricerca dei dettagli che raccontano senza mai svelare troppo, lasciando così allo spettatore la necessaria libertà di interpretazione. Di contro, i troppi stereotipi sottraggono piuttosto che aggiungere qualcosa nei momenti di debolezza della trama: Il maschio meridionale senza troppi scrupoli, il suo omicidio da parte della legittima moglie siciliana. Oppure le tentazioni omosessuali della giovane sorella della protagonista che, tra una penitenza e l'altra, finisce per farsi suora. La religione come unica cultura disponibile e un patriarcato opprimente e severo che pervade la vita della piccola comunità. Insomma, un buon film a cui non bisognerebbe assegnare pretese da Oscar.
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nino pellino
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domenica 11 maggio 2025
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film non commerciale, ma da oscar
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Alla luce dei risultati della notte del 7 maggio 2025 dedicata alla premiazione dei David di Donatello e con il senno di poi, mi sento di dire che "Vermiglio", film di grande spessore narrativo, effettivamente ha meritato il proprio giusto riconoscimento da parte della critica specializzata. Per un tipo di pubblico medio che ama andare al Cinema per distrarsi e trascorrere qualche ora piacevole, questa pellicola della regista Maura Delpero non è per niente un film commerciale, anzi potrebbe risultare monotono e lento, molto lento. "Vermiglio" in realtà è un film è bellissimo, profondo e fondamentale per riscoprire e capire un mondo antico e rurale, ambientato in una realtà sociale riferita ad un isolato paese di montagna e di periferia del nord Italia, esattamente nel trentino.
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Alla luce dei risultati della notte del 7 maggio 2025 dedicata alla premiazione dei David di Donatello e con il senno di poi, mi sento di dire che "Vermiglio", film di grande spessore narrativo, effettivamente ha meritato il proprio giusto riconoscimento da parte della critica specializzata. Per un tipo di pubblico medio che ama andare al Cinema per distrarsi e trascorrere qualche ora piacevole, questa pellicola della regista Maura Delpero non è per niente un film commerciale, anzi potrebbe risultare monotono e lento, molto lento. "Vermiglio" in realtà è un film è bellissimo, profondo e fondamentale per riscoprire e capire un mondo antico e rurale, ambientato in una realtà sociale riferita ad un isolato paese di montagna e di periferia del nord Italia, esattamente nel trentino. Nel corso della narrazione possiamo pertanto focalizzare l'attenzione su usanze e mentalità che risalgono a circa 80 anni fa, esattamente nel periodo conclusivo della seconda guerra mondiale. C'era l'istinto naturale di procreare figli, di cibarsi dei beni che madre natura è in grado di offrire ma c'era soprattutto un efferato patriarcato che rinnegava la libertà d azione e di realizzazione delle donne. Giovani ragazze destinate a farsi suore se non volevano concepire figli o se non potevano o le si negava di proseguire gli studi, ragazze insomma il cui destino dipendeva dalle decisioni del capo famiglia. Tutto questo è focalizzato dalle vicende della famiglia Graziadei su cui si concentra la narrazione del film. E poi c'è tutta l'amarezza, la delusione e il necessario adattamento di situazioni sociali intrinseche ad una realtà isolata, quasi senza un'effettiva via di uscita o di speranze e prospettive future alternative. E' il caso della giovane protagonista Lucia, che si innamora e sposa Roberto, un disertore proveniente dalla Sicilia con il quale avrà un figlio ma che in seguito scoprirà amare verità quando il consorte ritornerà nella sua terra natale al termine della guerra. Oltre che per un discorso riferito all'importanza culturale della storia, il film è stupendo per quanto concerne le inquadrature dei paesaggi, delle montagne e soprattutto quando ci viene raffigurata una immensa e straordinaria cascata. E tutto questo senza nessuna ostentazione, senza nessuna pretesa di ammaliare e compiacere. Tutto ciò è solo il rilfesso dell'animo sensibile e profondo di una nuova valida e grande regista, Maura Delpero.
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anto1
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martedì 17 dicembre 2024
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una favola che ferma il tempo
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Vermiglio è una favola che racconta un mondo di cui si sente parlare sempre meno e del quale i ‘testimoni oculari’ siamo ormai pochi .
Rimane però il mondo dal quale moltissimi italiani traggono cultura, radici e conservano memorie tramandate da genitori e nonni ; quel mondo rurale e contadino che costituiva il prototipo della società italiana, prima della sua rapida trasformazione in società industriale e lo spostamento massiccio della popolazione nelle aree urbane, iniziato col boom economico degli anni ‘50 e ‘60 !
Il film descrive la vita di una comunità ladina del Trentino, che avrebbe potuto essere in quell’immediato dopoguerra, qualunque altra comunità di montagna del nostro paese .
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Vermiglio è una favola che racconta un mondo di cui si sente parlare sempre meno e del quale i ‘testimoni oculari’ siamo ormai pochi .
Rimane però il mondo dal quale moltissimi italiani traggono cultura, radici e conservano memorie tramandate da genitori e nonni ; quel mondo rurale e contadino che costituiva il prototipo della società italiana, prima della sua rapida trasformazione in società industriale e lo spostamento massiccio della popolazione nelle aree urbane, iniziato col boom economico degli anni ‘50 e ‘60 !
Il film descrive la vita di una comunità ladina del Trentino, che avrebbe potuto essere in quell’immediato dopoguerra, qualunque altra comunità di montagna del nostro paese .
La vita scorre lenta a Vermiglio e la sua gente sopravvive coltivando i campi e allevando qualche bestia .
La trama si snoda in questo ambiente con le belle montagne trentine che fanno da sfondo . Il film racconta la storia di una famiglia che vive le ansie e i disagi economici della fine della guerra e i turbamenti adolescenziali e poi la nascita della tenera e drammatica storia d’amore della figlia più grande con un soldato siciliano che aveva trovato riparo dai tedeschi in quelle valli .
Nell’opera sono presenti gli stereotipi culturali dell’Italia dell’epoca : patriarcato e religione che regolano la vita di tutti i giorni, perfino il delitto d’onore !
La narrazione della regista Delpero non suscita sentimenti di rivolta morale dello spettatore bensì una mesta immedesimazione nelle vicende che accadono .
I personaggi sono rassegnati al loro destino e trovano il modo per andare ugualmente avanti. Anche i peccatori vengono assolti perché in quel contesto storico anche il peccato mortale ha le sue giustificazioni .
Nessun protagonista si porta dietro l’angoscia della colpa!
Come nelle tragedie greche la responsabilità di quanto accaduto è del destino che ha voluto che la storia di questi uomini e donne si svolgesse così !
Quella raccontata non è una tragedia, anche se lo è per qualcuno dei protagonisti, ma una favola che narra la vita di uomini dove il dramma è routine!
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aled
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domenica 22 settembre 2024
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dolce e crudo realismo in un film magistrale
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ll film "Vermiglio" è una straordinaria opera che viaggia tra semplicità e realismo assoluto, facendo entrare lo spettatore nel paese, nei suoni, nelle espressioni e nelle voci del quotidiano del 1944 in Trentino. Sorprendente la partecipazione totale che consente a chi assiste, permettendogli in breve di far parte della vita dei personaggi, con la sensazione di star camminando con loro sulla neve, di avvertire il gelo dell'inverno nelle ossa o di stringersi con loro nei letti per scaldarsi e trovare quell'affettivita' fraterna e ovvia dei bambini. Recitato in maniera mirabilmente credibile, ogni vicenda, naturale riflesso possibile della cultura comunitaria e del cattolicesimo di allora (la ricerca di un erotismo immaginativo, le sigarette di nascosto, lo scegliere di spendere denaro per un disco piuttosto che per le patate ai figli, il far l'amore nella stalla prima del matrimonio), ci porta a vivere intensamente la realtà interiore del singolo, avvicinarsi alla sua psicologia, insieme così prevedibile e così contorta.
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ll film "Vermiglio" è una straordinaria opera che viaggia tra semplicità e realismo assoluto, facendo entrare lo spettatore nel paese, nei suoni, nelle espressioni e nelle voci del quotidiano del 1944 in Trentino. Sorprendente la partecipazione totale che consente a chi assiste, permettendogli in breve di far parte della vita dei personaggi, con la sensazione di star camminando con loro sulla neve, di avvertire il gelo dell'inverno nelle ossa o di stringersi con loro nei letti per scaldarsi e trovare quell'affettivita' fraterna e ovvia dei bambini. Recitato in maniera mirabilmente credibile, ogni vicenda, naturale riflesso possibile della cultura comunitaria e del cattolicesimo di allora (la ricerca di un erotismo immaginativo, le sigarette di nascosto, lo scegliere di spendere denaro per un disco piuttosto che per le patate ai figli, il far l'amore nella stalla prima del matrimonio), ci porta a vivere intensamente la realtà interiore del singolo, avvicinarsi alla sua psicologia, insieme così prevedibile e così contorta. Bella la figura di Lucia, candida e non priva di coraggio, ma anche quella del padre, pur nelle sue contraddizioni, quella di Ada e della sua lotta interiore e quella di Flavia, la figlia forse più facilitata dalla sorte, e tenerissima la figura di Dino, il figlio maggiore cui forse la vita
riserverà un destino di frustrazione e rabbia poco espresse, se
non nell'alcol.
Un bel film, che bel film. In cui il dolore non risparmia nessuno ma viene accolto, senza patimenti eccessivi, con naturalezza, come il freddo, il lavoro, il dormire insieme, il poco cibo, le decisioni irrevocabili di un padre che decide per tutti, la morte dei bambini e la nascita di innumerevoli altri. "Vermiglio" va visto. Per la sua delicatezza, la sua bellezza, la sua poesia e l'infinita tenerezza dei discorsi dei bambini e la dolcezza commovente delle risposte di Dino al fratellino. Ma va visto anche perché non era nemmeno un secolo fa che tutto ciò accadeva e il mondo, da allora, è diventatao un altro mondo.
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eugenio
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venerdì 10 gennaio 2025
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una storia d?altri tempi
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Dalle prime inquadrature, un piccolo villaggio ai limiti dei monti, una vita agreste difficile segnata dal corso delle stagioni e della guerra, mi è subito venuto in mente una pellicola di Ermanno Olmi e, malgrado una geografia distante, ho trovato in Vermiglio, opera seconda di Maura Delpero, una forte analogia con L’albero degli zoccoli. Non è solo una questione di dialetto (qui il trentino, là il bergamasco) o di ambientazione (comunità romite, distanti dalla cosiddetta civiltà) ma è soprattutto il taglio registico straordinariamente veritiero a renderlo vicino all’opera dell’indimenticato maestro. Oltre il pretesto del contesto storico, l’ultimo anno di guerra, il 1944 o di trama, la storia di un amore potente e sofferto tra la figlia di un maestro elementare e un soldato siciliano che si scoprirà già sposato, di un’attesa sospesa tra la fine che si annuncia imminente e gli effetti sempre più evidenti sulle famiglie che giungono fino al piccolo paese, sta il ritratto accorato, profondamente naturalistico e sincero, di una realtà che oggi è scomparsa: donne a curar la famiglia con i loro cari al fronte, a badar agli animali, a svolgere dure fatiche, con figli a carico, cresciuti troppo in fretta.
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Dalle prime inquadrature, un piccolo villaggio ai limiti dei monti, una vita agreste difficile segnata dal corso delle stagioni e della guerra, mi è subito venuto in mente una pellicola di Ermanno Olmi e, malgrado una geografia distante, ho trovato in Vermiglio, opera seconda di Maura Delpero, una forte analogia con L’albero degli zoccoli. Non è solo una questione di dialetto (qui il trentino, là il bergamasco) o di ambientazione (comunità romite, distanti dalla cosiddetta civiltà) ma è soprattutto il taglio registico straordinariamente veritiero a renderlo vicino all’opera dell’indimenticato maestro. Oltre il pretesto del contesto storico, l’ultimo anno di guerra, il 1944 o di trama, la storia di un amore potente e sofferto tra la figlia di un maestro elementare e un soldato siciliano che si scoprirà già sposato, di un’attesa sospesa tra la fine che si annuncia imminente e gli effetti sempre più evidenti sulle famiglie che giungono fino al piccolo paese, sta il ritratto accorato, profondamente naturalistico e sincero, di una realtà che oggi è scomparsa: donne a curar la famiglia con i loro cari al fronte, a badar agli animali, a svolgere dure fatiche, con figli a carico, cresciuti troppo in fretta. Ed è proprio questo ritratto del microcosmo di una comunità, di un equilibrio che sarà inevitabilmente spaccato a rendere forte la pellicola di Delpero, che ha omaggiato i luoghi in cui è cresciuta. Nella sua umanità profonda di una fine che racconta forse un nuovo inizio, di adolescenti divenute uomini e donne, di adulti che non riescono a liberarsi del peso di un’onta, infamante, vive una comunità accorata ma non giudicante, che si ritrova attorno al camino a parlare, a ritrovarsi. L’immobilismo è in fondo il pregio e la relativa controparte di Vermiglio: un rosso accecante di gesti secolari che ci riporta alla dimensione femminile, alla sofferenza, all’atmosfera rarefatta raccolta dietro poche essenziali parole, segno della costrizione delle giovani e della natura, tutt’altro che indulgente a compassionarle. E così che le due ore del film raccontano una vicenda forse troppo semplice nella sua crudezza ma identitaria, libertaria, vera. Una vicenda d’altri tempi diremmo oggi, da assaporare lentamente con un bel bicchiere di latte caldo, appena munto dalla mammella della mucca sulle note di un grammofono perduto che si è arrampicato fra quelle cime.
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cardclau
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venerdì 20 settembre 2024
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cristo si è fermato a vermiglio
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Il film Vermiglio di Maura Delpero ci presenta una Italia alla fine della seconda guerra mondiale quasi sconosciuta, in un paesino di montagna tra il Trentino e la Lombardia, accompagnato per tutta la sua durata da immagini di una bellezza stupefacente, naturali o antropizzate. Una economia povera, in gran parte autarchica, con pochi scambi col mondo esterno, chiusa a riccio a difesa, e gelosa, delle memorie, notizie e testimonianze trasmesse oralmente da una generazione all’altra. Dice Simone Weil (1936): “ … Tra tutte le forme d’organizzazione sociale ben poche sono quelle che appaiono veramente pure d’oppressione; … corrispondono tutte ad un livello estremamente basso della produzione, così basso che la divisione del lavoro è praticamente sconosciuta, se non tra i sessi, e che ogni famiglia non produce tanto più di quello di cui ha bisogno di consumare … ogni essere umano, impegnato a nutrire sé stesso, è continuamente alle prese con la natura esterna.
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Il film Vermiglio di Maura Delpero ci presenta una Italia alla fine della seconda guerra mondiale quasi sconosciuta, in un paesino di montagna tra il Trentino e la Lombardia, accompagnato per tutta la sua durata da immagini di una bellezza stupefacente, naturali o antropizzate. Una economia povera, in gran parte autarchica, con pochi scambi col mondo esterno, chiusa a riccio a difesa, e gelosa, delle memorie, notizie e testimonianze trasmesse oralmente da una generazione all’altra. Dice Simone Weil (1936): “ … Tra tutte le forme d’organizzazione sociale ben poche sono quelle che appaiono veramente pure d’oppressione; … corrispondono tutte ad un livello estremamente basso della produzione, così basso che la divisione del lavoro è praticamente sconosciuta, se non tra i sessi, e che ogni famiglia non produce tanto più di quello di cui ha bisogno di consumare … ogni essere umano, impegnato a nutrire sé stesso, è continuamente alle prese con la natura esterna.” La guerra si intuisce per gli effetti distruttivi sulla vitalità dell’essere umano, con un numero di morti infinitamente più grande di quello reale. Come contrappeso la relazione d’amore, potente, irrazionale (“ … che la ragion sommettono al talento …), ma generalmente di breve durata.
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