Miss Marx

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Miss Marx, danzando nel buio Valutazione 4 stelle su cinque

di sergio dal maso


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venerdì 4 giugno 2021

“La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos’è la nostra unione, Torvald.”
Henrik Ibsen, Casa di Bambola
 
Coraggiosa e tenace. Attivista socialista in un’epoca pre-politica. Quasi profetica, antesignana della lotta per i diritti delle donne e l’abolizione del lavoro minorile.
Ma anche malinconica e intimamente fragile. Incapace di liberarsi da una relazione sentimentale tossica. Succube di un compagno bugiardo e scialacquatore.
La tragica vita di Eleanor “Tussy” Marx, sesta e ultima figlia del grande filosofo ed economista tedesco, si consuma nel dissidio lacerante tra la dimensione pubblica e quella privata, tra gli ideali di lotta e di liberazione ereditati dall’amato padre e un legame affettivo miserevole.  
Miss Marxracconta la vita di Eleanor sviscerandone con tatto e intelligenza le debolezze, mettendo in risalto le battaglie sociali senza nasconderne la fragilità emozionale. 
Continuando l’opera del padre, Tussy ha intuito e anticipato le contraddizioni del ruolo della donna nell’era (post)industriale. Colta e brillante, ha tradotto in inglese Madame Bovary di Flaubert e adattato testi di Henrik Ibsen, portandoli anche in scena. Proprio la rappresentazione teatrale di Casa di bambola, in una scena magistrale – anche dal punto di vista cinematografico – sospesa tra finzione e verità, svela l’intima sofferenza a cui Eleanor si era condannata. Con conseguenze devastanti.  
Dopo l’acclamato Nico 1988, con cui ha vinto numerosi premi importanti, Susanna Nicchiarelli porta sul grande schermo un’altra figura femminile affascinante, complessa, universale nel suo essere estremamente moderna. E anche questa volta centra l’obbiettivo.
Miss Marxnon è un biopic, o quantomeno non lo è secondo i canoni classici dei film biografici.
Quella della Nicchiarelli è una regia moderna, elegante ma con invenzioni sorprendenti che spiazzano lo spettatore. La messa in scena è spogliata di ogni retorica, non c’è spazio per il pietismo o la commiserazione.
Le scenografie sono assolutamente credibili, oltre che curatissime. Per l’ammaliante ricostruzione degli ambienti di fine ottocento e per gli splendidi costumi gli scenografi e i costumisti si sono ispirati alla pittura dei Preraffaelliti e degli Impressionisti, partendo quindi da un immaginario dell’età vittoriana diverso da quello comunemente conosciuto.
Come Nico 1988 ancheMiss Marx ha un respiro internazionale, qualità assai rara tra i registi italiani. Soprattutto è un cinema che parla al presente, con frequenti “attualizzazioni” che ci riportano alla nostra contemporaneità.
Le dissonanze della colonna sonora, con brani di Chopin e di Liszt riarrangiati dal gruppo post-rock Gatto Ciliegia contro il grande freddo e le incursioni punk dei Downtown boys, scompigliano le atmosfere ottocentesche e ci proiettano nel presente. Anche l’uso di immagini d’archivio degli scioperi e delle lotte operarie, che spaziano dall’ottocento alla seconda metà del secolo scorso, costituisce una sorta di ponte ideale tra l’epoca raccontata e il giorno d’oggi. Come sono efficaci in questo senso i discorsi della protagonista fissando la macchina da presa, quasi rivolgendosi direttamente allo spettatore.
La credibilità di una sceneggiatura impeccabile è suffragata dal grande lavoro di scrittura della regista che ha studiato a fondo le centinaia di lettere originali scritte da Eleanor Marx.
Una nota a parte la merita la straordinaria interpretazione di Romola Garai, intensa e toccante, con quello sguardo insieme orgoglioso e triste che resta impresso per molto tempo. Solo le parole di lotta scandite con fierezza riescono a liberare Tussy dalla prigione sentimentale che la consuma. Parole nuove, rivoluzionarie, che indicano la strada dell’emancipazione della donna in un’epoca che non era ancora pronta. Anacronistiche per l’ottocento ma in grado di parlare al futuro, oggi come ieri.
Liberatorie come quel ballo scatenato in vestaglia abbandonandosi ai fumi dell’oppio, in cui Eleanor libera quella fisicità repressa da pesanti scialli, danzando nel buio alla ricerca di un senso perduto.
Dimenticando, purtroppo, le sue parole preferite da bambina, che dicevano, con ferma convinzione, “sempre avanti!”.  

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