“Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.” Cormac McCarthy – Cavalli selvaggi
Stato del Wyoming, riserva indiana di Wind River. Montagne e foreste innevate, tanto maestose quanto impervie. Ammalianti paesaggi mozzafiato, ma ostili e inospitali.
Terra di frontiera per definizione, quasi il suo archetipo. Qui scorre il fiume Little Bighorn, dove i Sioux e i Cheyenne sconfissero la cavalleria del generale Custer nell’epica battaglia che lacerò irrimediabilmente il mito della conquista del West.Di epico non è rimasto nulla, men che meno di eroico.Quel che resta delle comunità sopravvive oggi in queste riserve, rassegnata, nel totale degrado, tra delinquenza, alcolismo e tossicodipendenza. La frontiera non divide più la “civilizzazione” dal “selvaggio west”, i bianchi dai pellerossa. La frontiera corrompe, avvilisce, soffoca la speranza di un popolo.
Nel Wind River vive Cory Lambert, cacciatore di lupi e di puma per conto degli allevatori della zona, si muove a suo agio nella riserva indiana perché ha sposato una nativa. E’ taciturno e solitario perché non ha mai superato il dolore straziante della perdita della figlia.
In una battuta di caccia trova il cadavere assiderato di una ragazza indiana, vittima di uno stupro, ammazzata come sua figlia di cui era amica. Trattandosi di indiani l’FBI manda un’agente giovane e inesperta, seppur tenace. Jane Banner non ha altra scelta che aggrapparsi a Cory, fidarsi del suo fiuto di predatore. Perché il Wind River non è terra da indagini poliziesche, i rappresentanti della legge non sono riconosciuti nella riserva. La caccia può iniziare.
I segreti di Wind River, magnifico esordio alla regia dello sceneggiatore Taylor Sheridan, spazia tra il thriller e il noir, ma la sua anima è quella di un western moderno, con le motoslitte al posto dei cavalli. Centrale, come in tutti i western, è il mito della frontiera. Non solo quella della natura selvaggia, c’è anche quella più intima, che oppone la legge giuridica a quella del più forte, la giustizia alla vendetta.
Come si diceva prima, però, manca completamente la componente epica, non ci sono eroi né vincitori.
Non c’è una catarsi finale, se non quella di una profonda pietà per un’umanità che non si arrende, che resiste malgrado tutto.
Il percorso introspettivo di Cory per convivere con il proprio dolore, tra cinismo e disillusione, tocca il cuore. Merito soprattutto di un bravissimo Jeremy Renner, perfetto nel ruolo di un tormentato anti-eroe.
La sceneggiatura, opera dello stesso regista, è ottimamente strutturata, sobria ed essenziale ma con riflessioni e dialoghi di grande spessore, come per esempio nell’incontro con il padre della vittima. Non ci sono sbavature nella regia di Sheridan. Alterna inquadrature dei dettagli a campi medi e lunghi con un montaggio perfetto, quasi armonico. Non meno importanti perla riuscita del brillante esordio del cineasta texano sono l’efficace fotografia di Ben Richardson - splendida la contrapposizione dell’abbagliante candore dei paesaggi al rosso del sangue delle vittime - e le malinconiche musiche di Nick Cave e Warren Ellis, in perfetta sintonia gli stati d’animo dei protagonisti.
I segreti di Wind River conclude la “trilogia della frontiera”, tre sceneggiature scritte da Sheridan per attualizzare e rovesciare il mito della frontiera americana. Mentre i primi due film, Sicario, ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico, e Hell or High Water, girato nella “comancheria” del Texas occidentale, sono stati affidati ad altri registi (con ottimi risultati per entrambi), quest’ultimo ha voluto girarlo lui stesso. Teneva molto a raccontare questa storia, realmente accaduta, avendo abbracciato la causa dei nativi e vissuto per molto tempo in una riserva. Le drammatiche condizioni di vita nel Wind River non sono purtroppo un’eccezione tra le comunità indiane, come frequente è l’infame violenza sulle loro donne.
Affranti dal dolore, a Cory e all’amico Martin non resta che il ricordo delle figlie, due ragazze coraggiose, fiere delle loro origini pellerossa e senza la paura di oltrepassare quella frontiera di razzismo e discriminazione che ancora si annida nel cuore nero dell’America profonda.
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