zarar
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giovedì 19 aprile 2018
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un prodotto di genere che non delude
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Il film è una non inedita combinazione tra thriller e revenge movie sullo sfondo suggestivo di bianche distese di neve in un gelido inverno nella riserva indiana di Wind River, nel Wyoming (per qualche aspetto, richiama il norvegese ‘In ordine di sparizione’ di H.P. Moland, del 2014), un prodotto cucinato con buon mestiere, onesta esecuzione e poche sorprese. Ha una sua ingenuità di fondo e una trama lineare che è molto riposante per lo spettatore, nonostante le scene cruente, le esplosioni di violenza e le sparatorie senza risparmio. Oltre all’ovvio appeal che ha per gli appassionati di thriller, il film strizza l’occhio a vari tipi di pubblico e a varie sensibilità, e dunque boschi e distese innevate parlano agli ecosensibili, mentre le corse su fantastiche motoslitte sono una concessione ai giovani col piede sull’acceleratore; il tema sociale e il problema delle minoranze è introdotto con la scelta di ambientare la storia in una remota riserva indiana, in cui indifferenza e pregiudizio degli organismi di governo creano ancora oggi condizioni di emarginazione, perdita di identità, sopraffazione e sfruttamento; il politically correct è incarnato da un protagonista yankee perfettamente integrato nella comunità indiana e da una sprovveduta e improbabile agente FBI che si prodiga a rischio della vita per risolvere un caso che interessa a pochi; il pathos è nel cuore di chi indaga sulla morte violenta di una fanciulla avendo perso a suo tempo una figlia in circostanze analoghe e finalmente l’evil, il male, è non casualmente connesso allo sfruttamento industriale di territori incontaminati (un impianto petrolifero) .
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Il film è una non inedita combinazione tra thriller e revenge movie sullo sfondo suggestivo di bianche distese di neve in un gelido inverno nella riserva indiana di Wind River, nel Wyoming (per qualche aspetto, richiama il norvegese ‘In ordine di sparizione’ di H.P. Moland, del 2014), un prodotto cucinato con buon mestiere, onesta esecuzione e poche sorprese. Ha una sua ingenuità di fondo e una trama lineare che è molto riposante per lo spettatore, nonostante le scene cruente, le esplosioni di violenza e le sparatorie senza risparmio. Oltre all’ovvio appeal che ha per gli appassionati di thriller, il film strizza l’occhio a vari tipi di pubblico e a varie sensibilità, e dunque boschi e distese innevate parlano agli ecosensibili, mentre le corse su fantastiche motoslitte sono una concessione ai giovani col piede sull’acceleratore; il tema sociale e il problema delle minoranze è introdotto con la scelta di ambientare la storia in una remota riserva indiana, in cui indifferenza e pregiudizio degli organismi di governo creano ancora oggi condizioni di emarginazione, perdita di identità, sopraffazione e sfruttamento; il politically correct è incarnato da un protagonista yankee perfettamente integrato nella comunità indiana e da una sprovveduta e improbabile agente FBI che si prodiga a rischio della vita per risolvere un caso che interessa a pochi; il pathos è nel cuore di chi indaga sulla morte violenta di una fanciulla avendo perso a suo tempo una figlia in circostanze analoghe e finalmente l’evil, il male, è non casualmente connesso allo sfruttamento industriale di territori incontaminati (un impianto petrolifero) . Ce n’è per tutti. E c’è l’eroe e l’eroina, e i buoni sono consolati e i cattivi puniti, salvo restando un pizzico di sconsolato pessimismo per non sconfinare nel rottamato happy end anni ‘50. Scherzi a parte, il gioco è piuttosto scoperto e nulla è veramente approfondito, perché tra quelli citati non c’è un tema, psicologico o sociale che sia, che riesca ad investire efficacemente tutti gli altri dando al film un tono omogeneo e una forte ispirazione (ciò che avviene invece nel citato film di Moland). Anche la recitazione non è memorabile. E tuttavia il film si vede volentieri. C’è mestiere, la regia gioca bene soprattutto sul rapporto - espresso attraverso immagini forti - tra violenza colpevole dell’uomo e violenza ‘innocente’ di una natura inclemente (forse ciò che rimane più impresso, anche se meno dichiarato) e il finale – bisogna dire – è ben congegnato.
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peergynt
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martedì 21 novembre 2017
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far from your loving eyes
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Dolente film a metà fra il thriller e il western, capace di usare il meglio dei due generi per costruire una storia che non narra solo l'indagine sull'omicidio di un'adolescente, ma che anche riflette sull'etica della vendetta in un mondo dominato dalla neve e da temperature glaciali, un un mondo dove si è implacabilmente soli con il proprio spirito e la propria disperata battaglia per la vita. Cody Lambert, un ranger del Dipartimento dell'ambiente che per lavoro va a caccia di animali predatori che fanno strage del bestiame, si trova di fronte al cadavere congelato di una ragazzina. Siamo all'interno del Wind River, una riserva indiana nel Wyoming, e la società civile (lontana anni luce da questi territori e da questa civiltà) invia ad investigare una giovane e inesperta agente dell'FBI.
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Dolente film a metà fra il thriller e il western, capace di usare il meglio dei due generi per costruire una storia che non narra solo l'indagine sull'omicidio di un'adolescente, ma che anche riflette sull'etica della vendetta in un mondo dominato dalla neve e da temperature glaciali, un un mondo dove si è implacabilmente soli con il proprio spirito e la propria disperata battaglia per la vita. Cody Lambert, un ranger del Dipartimento dell'ambiente che per lavoro va a caccia di animali predatori che fanno strage del bestiame, si trova di fronte al cadavere congelato di una ragazzina. Siamo all'interno del Wind River, una riserva indiana nel Wyoming, e la società civile (lontana anni luce da questi territori e da questa civiltà) invia ad investigare una giovane e inesperta agente dell'FBI. Cody, nella sua qualità di mediatore fra due culture, quella degli americani e quella dei nativi (ha infatti sposato un'indiana) e di cacciatore abituato a leggere le tracce sul terreno, è l'unico che può aiutare la giovane agente a fare luce sul caso. Ma in questo mondo dove il duro e inospitale inverno è dentro tutti, uomini e animali, la legge della società civile non può valere né sa imporsi. Bisognerà chiudere la vicenda, che comprende anche un personale percorso di Cody nel dolore e nella perdita degli affetti, con la spietata legge di una Natura che non mostra sentimenti, ma solo una lotta disperata per la vita.
Film di grande spessore, sia nella scrittura che nei personaggi che nell'ottima colonna sonora (di Nick Cave e Warren Ellis), che descrive un'umanità sofferente che sogna un mondo migliore, ma che scopre di essere sempre (come recita la poesia con cui inizia il film) "far from your loving eyes in a place where winter never comes".
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sergiodalmaso
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martedì 27 novembre 2018
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la frontiera oscura dell'america
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“Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.” Cormac McCarthy – Cavalli selvaggi
Stato del Wyoming, riserva indiana di Wind River. Montagne e foreste innevate, tanto maestose quanto impervie. Ammalianti paesaggi mozzafiato, ma ostili e inospitali.
Terra di frontiera per definizione, quasi il suo archetipo. Qui scorre il fiume Little Bighorn, dove i Sioux e i Cheyenne sconfissero la cavalleria del generale Custer nell’epica battaglia che lacerò irrimediabilmente il mito della conquista del West.
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“Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.” Cormac McCarthy – Cavalli selvaggi
Stato del Wyoming, riserva indiana di Wind River. Montagne e foreste innevate, tanto maestose quanto impervie. Ammalianti paesaggi mozzafiato, ma ostili e inospitali.
Terra di frontiera per definizione, quasi il suo archetipo. Qui scorre il fiume Little Bighorn, dove i Sioux e i Cheyenne sconfissero la cavalleria del generale Custer nell’epica battaglia che lacerò irrimediabilmente il mito della conquista del West.Di epico non è rimasto nulla, men che meno di eroico.Quel che resta delle comunità sopravvive oggi in queste riserve, rassegnata, nel totale degrado, tra delinquenza, alcolismo e tossicodipendenza. La frontiera non divide più la “civilizzazione” dal “selvaggio west”, i bianchi dai pellerossa. La frontiera corrompe, avvilisce, soffoca la speranza di un popolo.
Nel Wind River vive Cory Lambert, cacciatore di lupi e di puma per conto degli allevatori della zona, si muove a suo agio nella riserva indiana perché ha sposato una nativa. E’ taciturno e solitario perché non ha mai superato il dolore straziante della perdita della figlia.
In una battuta di caccia trova il cadavere assiderato di una ragazza indiana, vittima di uno stupro, ammazzata come sua figlia di cui era amica. Trattandosi di indiani l’FBI manda un’agente giovane e inesperta, seppur tenace. Jane Banner non ha altra scelta che aggrapparsi a Cory, fidarsi del suo fiuto di predatore. Perché il Wind River non è terra da indagini poliziesche, i rappresentanti della legge non sono riconosciuti nella riserva. La caccia può iniziare.
I segreti di Wind River, magnifico esordio alla regia dello sceneggiatore Taylor Sheridan, spazia tra il thriller e il noir, ma la sua anima è quella di un western moderno, con le motoslitte al posto dei cavalli. Centrale, come in tutti i western, è il mito della frontiera. Non solo quella della natura selvaggia, c’è anche quella più intima, che oppone la legge giuridica a quella del più forte, la giustizia alla vendetta.
Come si diceva prima, però, manca completamente la componente epica, non ci sono eroi né vincitori.
Non c’è una catarsi finale, se non quella di una profonda pietà per un’umanità che non si arrende, che resiste malgrado tutto.
Il percorso introspettivo di Cory per convivere con il proprio dolore, tra cinismo e disillusione, tocca il cuore. Merito soprattutto di un bravissimo Jeremy Renner, perfetto nel ruolo di un tormentato anti-eroe.
La sceneggiatura, opera dello stesso regista, è ottimamente strutturata, sobria ed essenziale ma con riflessioni e dialoghi di grande spessore, come per esempio nell’incontro con il padre della vittima. Non ci sono sbavature nella regia di Sheridan. Alterna inquadrature dei dettagli a campi medi e lunghi con un montaggio perfetto, quasi armonico. Non meno importanti perla riuscita del brillante esordio del cineasta texano sono l’efficace fotografia di Ben Richardson - splendida la contrapposizione dell’abbagliante candore dei paesaggi al rosso del sangue delle vittime - e le malinconiche musiche di Nick Cave e Warren Ellis, in perfetta sintonia gli stati d’animo dei protagonisti.
I segreti di Wind River conclude la “trilogia della frontiera”, tre sceneggiature scritte da Sheridan per attualizzare e rovesciare il mito della frontiera americana. Mentre i primi due film, Sicario, ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico, e Hell or High Water, girato nella “comancheria” del Texas occidentale, sono stati affidati ad altri registi (con ottimi risultati per entrambi), quest’ultimo ha voluto girarlo lui stesso. Teneva molto a raccontare questa storia, realmente accaduta, avendo abbracciato la causa dei nativi e vissuto per molto tempo in una riserva. Le drammatiche condizioni di vita nel Wind River non sono purtroppo un’eccezione tra le comunità indiane, come frequente è l’infame violenza sulle loro donne.
Affranti dal dolore, a Cory e all’amico Martin non resta che il ricordo delle figlie, due ragazze coraggiose, fiere delle loro origini pellerossa e senza la paura di oltrepassare quella frontiera di razzismo e discriminazione che ancora si annida nel cuore nero dell’America profonda.
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eugenio
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domenica 18 febbraio 2018
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buon thriller-western tra i ghiacci del wyoming
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Il primo piano di una figura spaventata, una giovane donna scalza in un’enorme distesa di neve illuminata da una pallida luna nel gelido inverno, fa venire in mente quei gialli nordici scritti da Jo Nesbo o Camila Laksberg.
Eppure no, ci sbagliamo. Siamo nella nella desolata riserva di Wind River, nel Wyoming. Ghiaccio e steppe infinite sono lo sfondo di una vicenda che trova proprio nel paesaggio la sua natura di vita.
Un tiratore esperto Cory Lambert (Jeremy Renner), sulle tracce di un leone di montagna che sta assalendo i radi pascoli della zona,si imbatte in mezzo a questa enorme coltre bianca di neve, nel cadavere di un’adolescente locale.
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Il primo piano di una figura spaventata, una giovane donna scalza in un’enorme distesa di neve illuminata da una pallida luna nel gelido inverno, fa venire in mente quei gialli nordici scritti da Jo Nesbo o Camila Laksberg.
Eppure no, ci sbagliamo. Siamo nella nella desolata riserva di Wind River, nel Wyoming. Ghiaccio e steppe infinite sono lo sfondo di una vicenda che trova proprio nel paesaggio la sua natura di vita.
Un tiratore esperto Cory Lambert (Jeremy Renner), sulle tracce di un leone di montagna che sta assalendo i radi pascoli della zona,si imbatte in mezzo a questa enorme coltre bianca di neve, nel cadavere di un’adolescente locale. La ragazza che potrebbe essere stata violentata, sembra essere fuggita da qualcosa o qualcuno che voleva farle del male.
Cory con l’aiuto della tosta recluta dell’FBI Jane Banner (Elizabeth Olsen) dovrà scoprire non solo il responsabile dell’omicidio ma cosa ha terrorizzato la giovane al punto da morire, secondo il coroner, di trauma polmonare, avendo inalato troppa aria sotto zero e finendo affogata nel suo stesso sangue dopo la “rottura” dei polmoni.
Scopriamo a breve che la ragazza amerinda era la migliore amica della figlia di Cory, che morì tre anni prima in circostanze simili. L’empatia col caso del protagonista è quindi forte, la ricerca affannata -tra droga, violenza nei confronti delle donne indiane della riserva e illegalità- di un colpevole, finisce per essere sommersa da un ambiente apparentemente asettico e ovattato ma in realtà marcio sino al midollo dove i deboli, spesso donne di estrazione sociale disagiata, sono sottomesse e brutalmente uccise.
Il nulla ha il colore del bianco. Taylor Sheridan non ha paura di abbracciare la narrativa di genere in un soggetto convenzionale nella sua linearità. Il suo Wind River suona più come un episodio insolitamente ben fatto di CSI ma lo sceneggiatore di Sicario e Hell or High Water qui alla sua prima regia, non è intenzionato a scoprire l’assassino, tutt’altro.
Tra abeti dai tronchi sepolti dalla neve e corse in motoslitte nel mare colore del bianco, Sheridan si concentra sulla psicologia dei personaggi e appunto, sull'ambientazione. I paesaggi di Wind River sono proibitivi ma non per questo simbolici nella ricerca della verità, capaci di catturare l'uomo selvaggio che si dibatte contro la naturale essenza del desolato, deserto impoverito conosciuto come la riserva indiana di Wind River.
Grintoso, intricato thriller di strutturato con sottile sensibilità e finezza, Wind River ha tra i suoi pregi una sceneggiatura ben congegnata che sa esattamente dove andare, con personaggi adeguatamente delineati lungo il percorso e riesce, cosa non banale, a rimanere coinvolgente dall'inizio alla fine. Grazie al cast di supporto, tra cui i nativi americani attori Graham Greene e Gil Birmingham, il ritmo della pellicola è azzeccato, malgrado un’esitazione di troppo nella poetica lentezza di un toccante dialogo tra Jane e Cory e una sparatoria tarantiniana nel finale.
In Hell o High Water, Sheridan ha reinventato gli archetipi di genere (l'anziano legale, il fuorilegge in fuga, il fedele compagno, ecc.) con tale vigore che il film è diventato in gran parte una pellicola incentrata sulle loro interazioni. Wind River è il suo fratello diverso; gli archetipi della letteratura di genere sono efficaci nel fornire una narrativa thriller e western familiare - violenta, anche se alla fine alla lunga, purtroppo, dimenticabile.
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maumauroma
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domenica 22 aprile 2018
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i segreti di wind river
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Una giovane amerinda viene trovata morta in circostanze misteriose, semisepolta nella neve tra le foreste della riserva indiana di Wind River,nel Wyoming. Una bionda agente dell' FBI, inviata sul posto per investigare sulla drammatica vicenda e un esperto cacciatore locale, a cui anni prima era morta la figlia in circostante analoghe, cercheranno insieme di far luce su questa tragica morte riuscendo alla fine ad arrivare a una dura e orribile verita' Vi sarebbero stati in teoria tutti gli ingredienti giusti per la riuscita di questo film: suspense, azione, avventura, oltre che un valido motivo per cercare di approfondire le tante e poco conosciute difficolta' esistenziali vissute dai discendenti dei Nativi americani ,che a tutto oggi vivono confinati nei territori loro assegnati in alcuni degli Stati dell' Unione sotto il controllo di una svogliata e spesso corrotta polizia tribale locale e denunciare i molti episodi di violenza subiti dalle donne degli stessi Nativi ,mogli o figlie.
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Una giovane amerinda viene trovata morta in circostanze misteriose, semisepolta nella neve tra le foreste della riserva indiana di Wind River,nel Wyoming. Una bionda agente dell' FBI, inviata sul posto per investigare sulla drammatica vicenda e un esperto cacciatore locale, a cui anni prima era morta la figlia in circostante analoghe, cercheranno insieme di far luce su questa tragica morte riuscendo alla fine ad arrivare a una dura e orribile verita' Vi sarebbero stati in teoria tutti gli ingredienti giusti per la riuscita di questo film: suspense, azione, avventura, oltre che un valido motivo per cercare di approfondire le tante e poco conosciute difficolta' esistenziali vissute dai discendenti dei Nativi americani ,che a tutto oggi vivono confinati nei territori loro assegnati in alcuni degli Stati dell' Unione sotto il controllo di una svogliata e spesso corrotta polizia tribale locale e denunciare i molti episodi di violenza subiti dalle donne degli stessi Nativi ,mogli o figlie. Il problema purtroppo sta nel fatto che il regista Taylor Sheridan, costruisce la sua opera con la delicatezza e la sensibilita' di un pachiderma che si aggira dentro un negozio di cristalleria Per cui la sceneggiatura regge tutto sommato per una oretta circa , finendo poi per sbragare nella violenza piu' becera e gratuita. La giovane dipendente dell' Ufficio Federale di Investigazione statunitense risulta talmente inadeguata al ruolo che le compete, che ,nella realta', ci si chiederebbe con quali requisiti vengano assunti dall' FBI i propri dipendenti, dal momento che l'agente sembrerebbe certamente piu' adatta a sorvegliare le affollate spiagge di Malibu,che a risolvere casi complessi come questo affidatole.Da parte sua Il cacciatore di predatori che la affianca, rappresenta il paradigma dell' " uomo che non deve chiedere, mai", abituato da sempre a ragionare piu' con i bossoli e con la carabina che con le sinapsi, anche se ogni tanto si lascia andare a improbabili esternazioni filosofiche.E che dire poi del padre amerindo della vittima che nel tentativo di una difficile e disperata elaborazione del lutto, decide di dipingersi la faccia con una vernice biancoceleste che finisce per renderlo simile piu' a un tifoso della Lazio che a un discendente dei leggendari capi pellerossa. E poi tutta la vicenda si svolge in una gelida atmosfera invernale di una ventina di gradi sottozero, senza che i protagonisti manifestino la benche' minima congestione sui volti o una incrinazione nelle voci ( almeno nel doppiaggio). Beati loro. Tutto da buttare allora questo film? No,perche' gli stupendi paesaggi delle distese innevate e delle foreste del Wyoming non non si dimenticheranno facilmente. Ma questo pero' e' solo merito della Natura.
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samanta
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mercoledì 25 aprile 2018
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il dolore che vivifica
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Il film è ambientato ai giorni nostri nel west USA, anche se ha forse più caratteristiche di un thriller che di un western. Il regista alla sua prima vera prova è Taylor Sheridan che è anche lo scenggiatore (in precedenza era stato lo scenggiatore di film ambientati anch'essi nel west (Il Sicario e Hell or High Water), il vero produttore (bisogna dirlo a bassa voce) è il "mostro" Weinstein.
L'ambiente è quello di una riserva indiana nello splendido paesaggio montano del Wyoming dove gli indiani vivono emarginati ed isolati dal mondo e specie i giovani indulgono al bere e alla droga. Il protagonista è Cory (Jeremy Renner Arrival e tanti altri film) che fa il cacciatore, per incarico dell'autorità federale della riserva, dei lupi e dei puma che uccidono i bovini e le pecore dei nativi, è divorziato dalla moglie indiana da cui ha avuto due figli ma solo il maschio c'é, perché la fglia sedicenne è misteriosamente sparita.
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Il film è ambientato ai giorni nostri nel west USA, anche se ha forse più caratteristiche di un thriller che di un western. Il regista alla sua prima vera prova è Taylor Sheridan che è anche lo scenggiatore (in precedenza era stato lo scenggiatore di film ambientati anch'essi nel west (Il Sicario e Hell or High Water), il vero produttore (bisogna dirlo a bassa voce) è il "mostro" Weinstein.
L'ambiente è quello di una riserva indiana nello splendido paesaggio montano del Wyoming dove gli indiani vivono emarginati ed isolati dal mondo e specie i giovani indulgono al bere e alla droga. Il protagonista è Cory (Jeremy Renner Arrival e tanti altri film) che fa il cacciatore, per incarico dell'autorità federale della riserva, dei lupi e dei puma che uccidono i bovini e le pecore dei nativi, è divorziato dalla moglie indiana da cui ha avuto due figli ma solo il maschio c'é, perché la fglia sedicenne è misteriosamente sparita. Nella riserva ci sono i i predatori umani che stuprano e uccidono una ragazza indiana e poi uccidono il suo ragazzo un bianco addetto alla sicurezza di un impianto di trivellazione. Per aiutarlo arriva un agente del FBI Jane (Elisabeth Olsen), Nel finale ci sarà un flashback (molto ben fatto) che rivela quello che è effettivamente successo e i colpevoli faranno la fine che si meritano. Ritengo il film ambivalente: da una parte esplora con una certa sensibilità la sofferenza e il dolore, belle le parole che dice il cacciatore al papà della ragazza ucciso rammentando la sua esperienza personale "devi piangere e viverlo il dolore e non soffocarlo dentro di te, solo così potrai convivere con quello che ti è successo". L'altro elemento è la trama che più che lenta direi che è solenne e nello stesso tempo avvincente, pezzo dopo pezzo tutti puzzle si riescono a metterli insieme e la capacità di Cory di seguire le tracce sulla neve sarà l'elemento decisivo per scoprire la verità. Il film è ambientato in un ambiente naturale scenograficamente meraviglioso nel momento in cui i boschi e i monti sono coperti di neve, un appunto alla musica che fa da sottofondo continuo e che ho trovato sgradevole. Buona l'interpretazione di Jeremy Renner, mediocre quella di Elisabeth Olsen che francamente mi è sembrata spaesata nel ruolo di agente del F.B.I., buoni anche gli altri interpreti (un elogio a Graham Green papà della ragazza uccisa). Il film si basa su fatti reali è cioe la sparizione di donne native.
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gianleo67
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lunedì 16 ottobre 2017
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feather of love
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L'indagine sulla morte violenta di una giovane indiana in una riserva dello Utah, conduce un esperto ranger locale ed una funzionaria FBI alle prime armi sulle labili tracce di una pericolosa pista di sangue. La scoperta della verità rappresenta per il primo il riscatto morale per la recente scomparsa della figlia adolescente e per la seconda l'affermazione di un'autorità che molti faticano a riconoscerle. Iniziata con Sicario e proseguita con Hell or High Water, Taylor Sheridan decide di chiudere degnamente la sua originale trilogia sulla moderna frontiera americana dirigendo personalmente questo thriller-western raggelato nell'abbacinate deserto innevato dello Utah e riproponendo ancora una volta la metafora di una caccia all'uomo che rappresenti tanto il compimento di una giustizia civile fondata sulle leggi dello Stato quanto quello di un dovere morale che riveli il senso di una vendetta privata contro i crimini perpetrati in danno degli affetti e della tranquillità familiare.
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L'indagine sulla morte violenta di una giovane indiana in una riserva dello Utah, conduce un esperto ranger locale ed una funzionaria FBI alle prime armi sulle labili tracce di una pericolosa pista di sangue. La scoperta della verità rappresenta per il primo il riscatto morale per la recente scomparsa della figlia adolescente e per la seconda l'affermazione di un'autorità che molti faticano a riconoscerle. Iniziata con Sicario e proseguita con Hell or High Water, Taylor Sheridan decide di chiudere degnamente la sua originale trilogia sulla moderna frontiera americana dirigendo personalmente questo thriller-western raggelato nell'abbacinate deserto innevato dello Utah e riproponendo ancora una volta la metafora di una caccia all'uomo che rappresenti tanto il compimento di una giustizia civile fondata sulle leggi dello Stato quanto quello di un dovere morale che riveli il senso di una vendetta privata contro i crimini perpetrati in danno degli affetti e della tranquillità familiare. Le spinte propulsive da sempre in lotta per l'affermazione di una Nazione giovane nei territori vergini di una frontiera ostile, rivelano anche qui l'emblematica sintesi delle loro contraddizioni, presentandoci un rappresentante dei bianchi colonizzatori perfettamente integrato nello spirito di una residuale comunità di nativi, chiamato a mediare tra le due istanze di un ambivalente senso di giustizia: quello di un'autorità federale che si interessa a malapena di un crimine contro gli abitanti della riserva e quello di un'autorità locale che lo sente come un imperativo della coscienza; una covergenza di interessi legali e di doveri familiari che utilizza gli strumenti che la legge mette a disposizione per soddisfare la sua sacrosanta sete di vendetta. Strutturato come un thriller compatto, che trova nella suggestione delle ambientazioni e nella credibilità delle caratterizzazioni la cifra di un cinema classico che sempre più raramente le produzioni a stelle e strisce sanno proporre, alimenta il motore della sua progressione drammatica nella perfetta metafora di una caccia al predatore come elemento estraneo che usurpa i sacri vincoli della terra e del sangue, sia esso un branco di feroci canidi che fano stragi di candide greggi che un branco di stupratori foresti che fanno scempio di figlie nel fiore degli anni. Pur non rinunciando al ritmo di un cinema che fonda sull'azione e sulla tensione le chiavi di volta della sua struttura di genere, è attraversato dallo struggente lirismo di una riflessione sulla perdita e sul riscatto degli affetti che trova nella bellissima ballata di Garrett Sale e William wild (Feather) il leitmotiv di una colonna sonora le cui parole si riallacciano idealmente alla poesia con cui si apre il film e le cui musiche lo chiudono. Si riunisce per l'occasione una già collaudata coppia Marvel: Jeremy Renner molto a suo agio in un ruolo (degno del migliore Jeff Bridges) che ha rischiato di non avere ed Elizabeth Olsen novellina modello e bella norvegese dagli occhi scintillanti che pare abbia sofferto di una curiosa 'cecità da neve' durante le riprese. Presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2017, è stato acclamato a Cannes 2017 ed insignito del prestigioso Un Certain Regard per la miglior regia. Feel all my filth when I look in your eyes But it falls light as a feather on my back in the night Your house it will cover you but the rain still falls outside Your light it don't shine cause its hidden under a bed Why do you hide, under a bed
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carlosantoni
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sabato 7 aprile 2018
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uomini che macchiano di rosso la neve
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Film solido, avvincente e commovente, e soprattutto convincente. La linearità della trama non toglie niente al pathos, amalgamando al meglio una storia (ma a dire il vero le storie sono due, diverse eppur parallele) di violenza e assassinio, con la descrizione della condizione in cui ancora vivono i superstiti nativi nelle loro riserve: il tutto in mezzo ad una natura davvero selvaggia, splendida, in cui molti momenti diventano episodi di vera avventura. Una natura fatta di “neve e silenzio”, che però non induce solo ad essere ammirata, ma anche al favorire il dispiegarsi della violenza di gruppo, brutale fino all’assassinio, pur d’impossessarsi del corpo di una giovane donna.
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Film solido, avvincente e commovente, e soprattutto convincente. La linearità della trama non toglie niente al pathos, amalgamando al meglio una storia (ma a dire il vero le storie sono due, diverse eppur parallele) di violenza e assassinio, con la descrizione della condizione in cui ancora vivono i superstiti nativi nelle loro riserve: il tutto in mezzo ad una natura davvero selvaggia, splendida, in cui molti momenti diventano episodi di vera avventura. Una natura fatta di “neve e silenzio”, che però non induce solo ad essere ammirata, ma anche al favorire il dispiegarsi della violenza di gruppo, brutale fino all’assassinio, pur d’impossessarsi del corpo di una giovane donna.
Jeremy Renner è asciutto ed estremamente efficace, tanto quando parla che quando spara, e la giovane Elizabeth Olsen interpreta in maniera convincente il suo ruolo di detective dell’FBI alle prime armi; ma bravi anche i comprimari, a cominciare dal Graham Greene, della tribù Oneida, già “Uccello Scalciante” in “Balla coi lupi”.
Bellissima la fotografia di Ben Richardson, che subito dà prova di sé nella stupenda sequenza iniziale, così come nella straordinaria scena del conflitto a fuoco, ma anche nelle riprese dei dialoghi, dove la mdp a spalla con i suoi lenti movimenti sembra cercare di catturare la commozione di uno sguardo, l’intensità di un racconto doloroso. Simpatica la scena del congedo tra i due protagonisti, che forse (ma soltanto forse) allude ad un futuro happy end condiviso, e intensa la scena finale tra il protagonista cacciatore (Renner) e il padre della ragazza indiana cui un branco di manigoldi aveva usato violenza efferata, causandone la morte.
Da vedere perché è bello da vedere, e anche perché fa riflettere.
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elgatoloco
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domenica 19 maggio 2019
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"wind river", film importante
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Non solo la questione dell'uccisione di ragazze di oirigine nativa americana(si diceva"pellerossa", ma anche"indiani", "indios"etc., tutte definizioni imprecise)ma anche quella della ghettizzazione di queste popolazioni nelle riserve site in zone montuose, freddissime,, dunque la sostanziale ghettizzazione-emarginazione sociale in questo"Wind River"(2018, Taylor Sheridan), con Jeremey Renner e Elizabeth Olsen, ma anche altri/e interpreti, tuttI/e veramente bravissimi(e), dove il film affronta finalmente, in modo non didascalico e non fastidiosamente"pedagogico"la questione irrisolta degli States o meglio di certi loro stati(qui siamo in Wyoming)nei quali la popolazione nativa americana è ridotta in condizioni miserevoli, sempre in preda a droga e alcol.
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Non solo la questione dell'uccisione di ragazze di oirigine nativa americana(si diceva"pellerossa", ma anche"indiani", "indios"etc., tutte definizioni imprecise)ma anche quella della ghettizzazione di queste popolazioni nelle riserve site in zone montuose, freddissime,, dunque la sostanziale ghettizzazione-emarginazione sociale in questo"Wind River"(2018, Taylor Sheridan), con Jeremey Renner e Elizabeth Olsen, ma anche altri/e interpreti, tuttI/e veramente bravissimi(e), dove il film affronta finalmente, in modo non didascalico e non fastidiosamente"pedagogico"la questione irrisolta degli States o meglio di certi loro stati(qui siamo in Wyoming)nei quali la popolazione nativa americana è ridotta in condizioni miserevoli, sempre in preda a droga e alcol. Da considerare, dunque, questo film, nel quale l'ambientazione anche affasciantne sul piano naturalistico contrasta duramente, "platealmente"con la condizione di vita degli abitanti e dove anche la vendetta che nel finale viene letteralmente"inflitta"al colpevole, certamente, del secondo omicidiofemminicidio perpetrato , ha indubbiamente un senso, pur se si inserisce nella cosiddetta"lex talionis"... La correlazione miseria-criminalità (che non p necessariamente un rapporto di causazione meccanica, però)viene qui esaminata e proposta non in maniera apodittica, ma quale riflessione che deriva da una condizione, ben esaminata e descritta. Senza particolari accorgimenti tecnici(salvo l'uso, peraltro sapiente e"prudente")dei flash-back, Sheridan ci dà uno spaccato in qualche modo atroce(viene da raffrontarlo con un'esperienza filmica ormai antica, quella del neorealismo italiano, ovviamente mutatis mutandis)che serve, cosa rara nella produzione filmica corrente, alla riflessione anche e soprattutto civile, sempre che si sia disposti a farla... El Gato
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andrea
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domenica 8 aprile 2018
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un thriller gelido, crudo ed agghiacciante
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Siamo nel Wyoming, durante un inverno gelido e tempestoso, quando il cacciatore e protagonista della storia Cory Lambert mentre stava andando a caccia di alcune prede che hanno ammazzato del bestiame nella riserva indiana di Wind River, scopre il cadavere di una giovane adolescente. Sulla scena del delitto viene mandata Jane Banner, una giovane agente dell’FBI ancora inesperta e spaesata tra la solitudine di quelle fredde terre selvagge. Le prove sono pressochè nulle, nessun testimone, le tracce stanno per essere coperte dalla tormenta. All’inizio si pensa ad un omicidio. L’agente dell’FBI sceglie di farsi aiutare dal cacciatore per scovare il possibile killer, ma le indagini seguenti porteranno ad una verità ben più cruda ed inquietante.
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Siamo nel Wyoming, durante un inverno gelido e tempestoso, quando il cacciatore e protagonista della storia Cory Lambert mentre stava andando a caccia di alcune prede che hanno ammazzato del bestiame nella riserva indiana di Wind River, scopre il cadavere di una giovane adolescente. Sulla scena del delitto viene mandata Jane Banner, una giovane agente dell’FBI ancora inesperta e spaesata tra la solitudine di quelle fredde terre selvagge. Le prove sono pressochè nulle, nessun testimone, le tracce stanno per essere coperte dalla tormenta. All’inizio si pensa ad un omicidio. L’agente dell’FBI sceglie di farsi aiutare dal cacciatore per scovare il possibile killer, ma le indagini seguenti porteranno ad una verità ben più cruda ed inquietante.
Il nuovo thriller di Taylor Sheridan (già creatore di “Sicario” ed “Hell or high water”) porta sullo schermo una vicenda ispirata ad eventi realmente accaduti. La storyline è chiara, semplice e fluida, ma come ci hanno insegnato vecchie pellicole, la “semplicità” può portare a dei risvolti ben più inquietanti di quelli che sembrano dopo una prima occhiata: quello che all’inizio sembra un semplice omicidio, nell’assordante silenzio di quelle terre isolate dove “o vivi, o muori” è l’unico motto che passa al convento, nasconde una sconvolgente verità. Il fatto è rappresentato con una dose di elevato realismo e crudismo, capace di contorcere la psiche dello spettatore: egli infatti si sente coinvolto nel fatto, ma tra quegli scenari infiniti e ghiacciati dimenticati da Dio e soprattutto dall’uomo, inizia a perdersi un po’ come avviene con la giovane recluta dell’FBI. Un caso apparente semplice si trasforma in una corsa per le sopravvivenza proprio per il luogo in cui è avvenuto, dove la solitudine e l’evasione sociale porta alcune persone alla follia, alla perdità dell’io, portanto a commettere efferati atti. Il lento crescendo delle situazioni tiene lo spettatore incollato sulla sedia, incapace di percepire la vera verità, fino all’inevitabile, forte e cruda scena finale che si tinge di una drammatica, e da un certo senso legittima, giustizia privata che ogni uomo al mondo farebbe senza pensarci due volte quando vi è in ballo la propria sopravvivenza e la perdita di una persona cara. Come dice anche la tagline del film: se ti concentri sugli indizi, perdi le tracce.
Sheridan in tutto questo ci offre un buon thriller, paralizzante ed inquitante, capace di trasformare una semplice vicenda in qualcosa di più profondo e soprattutto umano.
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