giangixz
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domenica 14 aprile 2019
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un grosso punto interrogativo
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A scanso di equivoci, intanto bisogna dire che non ci troviamo di fronte a un horror. Dell'horror mancano il coraggio e la radicalità in termini di cattiveria e sfrontatezza. Immagino sia per la fascia di pubblico a cui si rivolge. Ma le ambizioni autoriali cozzano con la volontà di rimanere mainstream, e il livello ironico-parodistico che tanto funzionava in Get Out qui stona, trasforma la pellicola in un ibrido mal riuscito, nel quale i mancati affondi di coltello non permettono mai di scalfire la superficie. Ed è impossibile non usare i migliori home invasion come pietre di paragone. Gli esempi sono numerosi, ma mi viene da citare su tutti Funny Games e A L'Interieur, pensando alla radicalità dell'impianto e alla fondamentale cattiveria degli invasori che non ha soluzione di continuità e che non lascia scampo.
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A scanso di equivoci, intanto bisogna dire che non ci troviamo di fronte a un horror. Dell'horror mancano il coraggio e la radicalità in termini di cattiveria e sfrontatezza. Immagino sia per la fascia di pubblico a cui si rivolge. Ma le ambizioni autoriali cozzano con la volontà di rimanere mainstream, e il livello ironico-parodistico che tanto funzionava in Get Out qui stona, trasforma la pellicola in un ibrido mal riuscito, nel quale i mancati affondi di coltello non permettono mai di scalfire la superficie. Ed è impossibile non usare i migliori home invasion come pietre di paragone. Gli esempi sono numerosi, ma mi viene da citare su tutti Funny Games e A L'Interieur, pensando alla radicalità dell'impianto e alla fondamentale cattiveria degli invasori che non ha soluzione di continuità e che non lascia scampo. Qui gli invasori si trasformano presto in macchiette che vogliono e non vogliono, che desiderano uccidere ma non sono mai abbastanza efficaci, che sono spietati ma un po' così, per gioco. E va bene, la famiglia doveva salvarsi per salvaguardare la metafora, ma potevano essere utilizzati stratagemmi narrativi più efficaci, e si poteva affondare molto più di così in termini di cattiveria e di crudezza del sentimento (anche da parte dei protagonisti). Peraltro molte uccisioni avvengono fra parentesi, del tutto fuori campo o in secondo piano e sfocate. E non che si debbano per forza usare ettolitri di sangue per essere spietati, ma la sensazione generale è che il regista abbia voluto ammorbidire la messinscena per renderla appetibile a quanti più palati possibile, e questo a parer mio cozza con le sue ambizioni autoriali. Andando oltre, credo che Scappa - Get Out funzionasse perché la metafora era funzionale alla trama. L'impressione qui invece è che la metafora sociale (nemmeno banale) si faccia troppo invadente rispetto alla trama, fino a soffocarla e cannibalizzarla. In più la metafora non è usata dal regista come pretesto per costruire un film efficace, invece è da lui così pedissequamente seguita da trasformare il film in una sorta di pamphlet didascalico. Non si può pensare che un film di genere (e sottolineo film di genere) possa essere importante solo per il messaggio che veicola. Un film di genere, come questo vuole essere, deve poter essere goduto di per sé, in seconda battuta far riflettere. In questo caso mi pare che la ricerca di una riflessione sia anteposta alla costruzione filmica, col risultato che si rischia di rimanere confusi a fine visione, e di non capire se il film non ci è entrato dentro per un nostro difetto o per un difetto del film stesso. Non che non ci siano buone cose, il regista non fa certo difetto di inventiva e di talento visionario, e qua e là affiorano piccole sequenze memorabili: la sigla con le gabbie dei conigli, lo smarrimento della bambina nel labirinto di specchi, il viaggio in auto della famiglia verso il mare, il "ritratto di famiglia" dei doppi di fronte al focolare, la discesa nel sottosuolo, e sicuramente altro. Quindi l'interrogativo finale che mi viene da pormi è: Peele è tanto bravo da essere "oltre" e sono io che (ancora) non ci sono arrivato e non l'ho capito fino in fondo, oppure è fin troppo sicuro di sé e delle proprie capacità autoriali (peraltro notevoli) da aver compiuto un mezzo passo falso dopo l'azzeccatissimo Get Out? Possiamo proseguire col ragionamento immaginando che forse i dubbi ce li toglierà il suo prossimo film, ma è sempre un forse, per cui ce ne rimaniamo in speranzosa attesa.
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nino pellino
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domenica 7 aprile 2019
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pellicola originale e genialmente allegorica
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Questa pellicola del regista Jordan Peele è un horror che si basa su un tipo di argomentazione diversa e assolutamente orginale rispetto ai classici temi su cui si sono sviluppati tantissimi film del passato relativi a questo genere cinematografico. Questa volta, infatti, l'effetto che determina le nostre paure più profonde non scaturisce dalle solite case infestate da fantasmi, da morti che resuscitano dall'oltretomba o da serial killer che spaventano lo spettatore con i loro modi cruenti e abominevoli di mietere le loro vittime,. Ormai questo tipo di trovate hanno praticamente reso saturo il genere horror, soprattutto considerando che in questi tempi moderni è difficile ricalcare la creatività e la genialità dei grandi registi del passato e del resto gli effetti speciali creati al computer inevitabilmente, prima o dopo, esauriscono il loro effetto impressionante.
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Questa pellicola del regista Jordan Peele è un horror che si basa su un tipo di argomentazione diversa e assolutamente orginale rispetto ai classici temi su cui si sono sviluppati tantissimi film del passato relativi a questo genere cinematografico. Questa volta, infatti, l'effetto che determina le nostre paure più profonde non scaturisce dalle solite case infestate da fantasmi, da morti che resuscitano dall'oltretomba o da serial killer che spaventano lo spettatore con i loro modi cruenti e abominevoli di mietere le loro vittime,. Ormai questo tipo di trovate hanno praticamente reso saturo il genere horror, soprattutto considerando che in questi tempi moderni è difficile ricalcare la creatività e la genialità dei grandi registi del passato e del resto gli effetti speciali creati al computer inevitabilmente, prima o dopo, esauriscono il loro effetto impressionante. Ed ecco allora che con il film "Noi", il regista Jordan Peele tenta una strada diversa e direi che l'operazione mi sembra adeguatamente riuscita se si considerano le intelligenti tematiche sociali e psicologiche che fanno da sfondo ad una trama arguta e di non facilissima comprensione. Questa volta le paure sono quelle originate dal nostro "io", o meglio dall'altra parte nascosta che si nasconde ed alberga in noi stessi che nel film allegoricamente viene rappresentata da individui misteriosi che vengono rappresentati da cloni dalle tendenze violente ed omicide. A ciò si aggiungono i temi sociali riguardanti le diversità che tuttora esistono tra razze diverse con relativi tocchi di satira pungente che si possono appunto trovare stratificati qua e là in diversi momenti della pellicola. E poi naturalmente il colpo di scena finale che immancabilmente non manca mai in qualsiasi pellicola magistralmente diretta e che trasmette nello spettatore un significato sottile e di particolare riflessione: in ogni perosnalità umana si nasconde un lato buono ed un altro abominevole e violento che vorremmo sempre nascondere.Ma...è sempre sicuro che ciò avviene?
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[+] 'ma voi cosa siete?' – 'siamo americani'
(di antonio montefalcone)
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fncptr
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giovedì 18 aprile 2019
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il fenomeno sammer.
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Dati i commenti superlativi che pubblico e critica hanno dato al film, sembra quasi impossibile schierarsi dall'altra parte della trincea, ma io ci provo. Premetto che anche la prima opera di Jordan Peele mi lasciò perplesso, quanto meno per il fatto che decisi di vederla dopo la vittoria dell'oscar alla migliore sceneggiatura originale: «però, un film horror premiato con la concorrenza di "tre manifesti ad Ebbing, Missouri", "Ladybird" e "La forma dell'acqua"? Deve sicuramente essere un capolavoro!» pensai fra me e me, ma non fu così. Lasciamo perdere, stiamo parlando di altro, ma lo considero uno scandalo come il pallone d'oro a Sammer, per chi riesce a fare il paragone calcistico. Secondo film, seconda opportunità animata dalla magnanimità del cinefilo, ma persiste, strenuamente, il senso di perplessità e di inadeguatezza personale.
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Dati i commenti superlativi che pubblico e critica hanno dato al film, sembra quasi impossibile schierarsi dall'altra parte della trincea, ma io ci provo. Premetto che anche la prima opera di Jordan Peele mi lasciò perplesso, quanto meno per il fatto che decisi di vederla dopo la vittoria dell'oscar alla migliore sceneggiatura originale: «però, un film horror premiato con la concorrenza di "tre manifesti ad Ebbing, Missouri", "Ladybird" e "La forma dell'acqua"? Deve sicuramente essere un capolavoro!» pensai fra me e me, ma non fu così. Lasciamo perdere, stiamo parlando di altro, ma lo considero uno scandalo come il pallone d'oro a Sammer, per chi riesce a fare il paragone calcistico. Secondo film, seconda opportunità animata dalla magnanimità del cinefilo, ma persiste, strenuamente, il senso di perplessità e di inadeguatezza personale. La perplessità è dovuta al fatto che il film, pur accarezzando un'idea intrigante, la realizza nella maniera più pedestre possibile, con una trama scadente, oltre che poco originale e un'interpretazione posticcia. L'inadeguatezza personale (che ho riscontrato anche nella recensione di un altro utente) si concretizza quando ti rendi conto che le tue considerazioni si scontrano con la moltitudine che inneggia all'opera magna: «possibile che solo a me sia sembrata una c****a? Cosa non ho che gli altri hanno? Sono forse imbecille?». Ebbene, imbecille o no, credo che "Noi", così come "Get out" sia oltremodo sopravvalutato per ragioni che fatico ad individuare. Basta davvero così poco per parlare di geniale allegoria? Basta davvero un semplice riferimento alla macchina del vicino per acclamare il (sottile e geniale) riferimento alla lotta di classe? E' sufficiente piazzare un (ennesimo) riferimento al fenomeno del doppelganger per stimolare una profondissima e contorta riflessione sulla nostra natura umana in balia dello scontro dicotomico fra bene e male? Secondo me no. E secondo me, se film del genere passano per capolavori cinematografici e allegorici, allora era giusto dare il pallone d'oro a Sammer. E pazienza per tutti quelli che non lo hanno avuto pur meritandolo di gran lunga di più. Per quanto mi riguarda, però, preferisco stare dall'altra parte della trincea, insieme alla mia gretta imbecillità.
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felicity
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mercoledì 31 luglio 2019
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un horror apertamente politico e anticapitalista
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"Noi" è uno spaccato sulla paranoia che aleggia ed in maniera assai decisa negli USA di Trump, realmente e radicalmente divisi.
E quale migliore parabola se non quella che ci ricorda che il primo, vero nemico, il peggiore di tutti, siamo noi stessi.
Ma il processo qui è molto raffinato, più bilanciato, capace di evocare senza però imporre una visione univoca su un fenomeno complesso, appunto perturbante, da cui il terrore di una vicenda che si pone al di là della realtà, leggendola tuttavia meglio di come un approccio realistico potrebbe mai fare.
Tutto funziona a tutti i livelli, sia in termini di forma che di contenuto.
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"Noi" è uno spaccato sulla paranoia che aleggia ed in maniera assai decisa negli USA di Trump, realmente e radicalmente divisi.
E quale migliore parabola se non quella che ci ricorda che il primo, vero nemico, il peggiore di tutti, siamo noi stessi.
Ma il processo qui è molto raffinato, più bilanciato, capace di evocare senza però imporre una visione univoca su un fenomeno complesso, appunto perturbante, da cui il terrore di una vicenda che si pone al di là della realtà, leggendola tuttavia meglio di come un approccio realistico potrebbe mai fare.
Tutto funziona a tutti i livelli, sia in termini di forma che di contenuto.
Il film regge più che bene come horror, ma anche inquieta e sospende la tensione come un thriller, ed intrattiene, per poi alla fine assestarci un ultimo colpo, quello che ci fa rivalutare in maniera coerente le criticità che ha sollevato fino a quel momento, sprofondandoci in un baratro.
Il film ci costringe a fare i conti con la nostra paura dell’imperfezione, della disabilità e della povertà, con le cose che non vogliamo più condividere con l’altro e con i restanti privilegi che ci ostiniamo a fagocitare nonostante ci si avvicini alla fine del mondo.
Un film sull’inefficienza e sul suo diritto a distruggere l’efficienza. Un film sul malessere e sulla sua necessità di sopprimere il benessere.
Un horror apertamente politico e anticapitalista.
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didinda
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lunedì 9 dicembre 2019
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l'aborto di una banale storia di luoghi comuni
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Ho recuperato questa pellicola in seguito alle bellissime recensioni da 4 stelle messe in bella luce su queste pagine. Mi sono quasi sentito offeso dopo aver visto questo film mediocre e banale e anche raccontato e scritto davvero male. I gusti personali vanno rispettati tutti, tuttavia la recensione di un portale punto diriferimento del settore come questo, deve (o dovrebbe) tener conto oggettivamente e imparzialmente di lati tecnici e obiettivi. Quattro stelle a questa pallicola è ai limiti dell'offesa verso chi i film li sa fare davvero e anche verso il pubblico che legge e si affida anche a queste recensioni.
"Noi" ha la pretesa e presunzione di abbozzare varie tematiche politiche e sociali già viste e riviste in millemila prodotti, ormai luoghi comuni e banalità da bar, trattate pergiunta in maniera sommaria, abbozzata, semplicistica.
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Ho recuperato questa pellicola in seguito alle bellissime recensioni da 4 stelle messe in bella luce su queste pagine. Mi sono quasi sentito offeso dopo aver visto questo film mediocre e banale e anche raccontato e scritto davvero male. I gusti personali vanno rispettati tutti, tuttavia la recensione di un portale punto diriferimento del settore come questo, deve (o dovrebbe) tener conto oggettivamente e imparzialmente di lati tecnici e obiettivi. Quattro stelle a questa pallicola è ai limiti dell'offesa verso chi i film li sa fare davvero e anche verso il pubblico che legge e si affida anche a queste recensioni.
"Noi" ha la pretesa e presunzione di abbozzare varie tematiche politiche e sociali già viste e riviste in millemila prodotti, ormai luoghi comuni e banalità da bar, trattate pergiunta in maniera sommaria, abbozzata, semplicistica. Un minestrone di pane stantio insomma, incorniciato da una ambientazione che definirla orrorifica è una bella forzatura (ma questo è anche un problema di moltissimi altri film inseriti in questa categoria). La disparità tra famiglia nera e famiglia bianca? Il governo che ci vuole controllare e manipolare? La scienza che va oltre al limite accettabile dell'etica? Ma davvero? Ancora con queste tematiche vecchie di 3 decenni? Almeno fossero rese e narrate con efficacia. Questo film racconta una storia senza nè capo nè coda tanto che la spiegazione del tutto è risolta in due (di numero) frasi della protagonista. Abbozza una situazione dai molteplici spunti di riflessione, ma fallisce in ogniuno di essi, miseramente.
L'unica cosa dove riesce è la rappresentazione che va tanto di moda recentemente dove i modelli maschile e femminile sono pateticamente invertiti. Ma questo non è nemmeno colpa del regista.
Epica la scena del tavolino, degna di un B movie per quanto assurda e assolutamente non credibile (ma questo è davvero il meno).
Questa pellicola presenta davvero una debolezza dietro l'altra, i problemi sono molteplici oggettivamente parlando, ma mi preoccupa forse ancor di più vedere una recensione da 4 stelle.
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luca scialo
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domenica 29 novembre 2020
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un thriller-horror metafora della società consumistica
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Spesso il genere Horror è stato utilizzato per trattare tematiche sociali in modo diverso e originale. Non patetico o scontato. Dopo Get out, Jordan Peele ci riprova. Spingendo maggiormente su questo genere abbinandolo al Thriller psicologico e lasciando meno spazio all'ironia. Il messaggio è però sempre lo stesso: la vita ovattata, normale e ben inserita nel consumismo moderno, fa da tappeto sotto il quale viene depositata la polvere dell'indigenza e del malessere sociale in cui vivono milioni di persone. Gli invisibili e gli emarginati, trattati come fossero qualcosa di cui vergognarsi. Un altro Noi, col quale però potremmo prima o poi fare i conti. La pellicola vive di alti e bassi, quasi fosse un titolo in Borsa.
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Spesso il genere Horror è stato utilizzato per trattare tematiche sociali in modo diverso e originale. Non patetico o scontato. Dopo Get out, Jordan Peele ci riprova. Spingendo maggiormente su questo genere abbinandolo al Thriller psicologico e lasciando meno spazio all'ironia. Il messaggio è però sempre lo stesso: la vita ovattata, normale e ben inserita nel consumismo moderno, fa da tappeto sotto il quale viene depositata la polvere dell'indigenza e del malessere sociale in cui vivono milioni di persone. Gli invisibili e gli emarginati, trattati come fossero qualcosa di cui vergognarsi. Un altro Noi, col quale però potremmo prima o poi fare i conti. La pellicola vive di alti e bassi, quasi fosse un titolo in Borsa. Con ottime trovate che alternano cadute di stile e banalizzazioni. Il risultato finale risulta comunque un buon investimento di tempo. Un ulteriore spunto di riflessione.
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dandy
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venerdì 29 gennaio 2021
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incatenati
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Al secondo film,Peele(sceneggiatore e sempre co-produttore con la Blumhouse)amplia il discorso iniziato con "Scappa".In questo caso a dispetto dell'inizio ambientato nell'86 dell'"Hands Across America"(che si rivelerà decisivo nello svolgimento)non è più una questione razziale o classista(i protagonisti sono benestanti e i "cattivi" sono sia neri che bianchi)ma di un'intera popolazione chiamata a fare i conti con gli orrori di un passato segreto,e dei quali la protagonista si è resa involontariamente detonatrice.Se il cast è sempre ottimo e l'inquetudine non manca(anche qui senza quasi ricorrere a sangue o effettacci)i clichè sono più presenti e andando verso la conclusione non tutti i nodi vengono al pettine(le allusioni religiose e l'uso ricorrente del numero 11:11,che allude al versetto di Geremia).
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Al secondo film,Peele(sceneggiatore e sempre co-produttore con la Blumhouse)amplia il discorso iniziato con "Scappa".In questo caso a dispetto dell'inizio ambientato nell'86 dell'"Hands Across America"(che si rivelerà decisivo nello svolgimento)non è più una questione razziale o classista(i protagonisti sono benestanti e i "cattivi" sono sia neri che bianchi)ma di un'intera popolazione chiamata a fare i conti con gli orrori di un passato segreto,e dei quali la protagonista si è resa involontariamente detonatrice.Se il cast è sempre ottimo e l'inquetudine non manca(anche qui senza quasi ricorrere a sangue o effettacci)i clichè sono più presenti e andando verso la conclusione non tutti i nodi vengono al pettine(le allusioni religiose e l'uso ricorrente del numero 11:11,che allude al versetto di Geremia).Ma il regista dimostra nuovamente il proprio talento rinnovando il tema del doppio e della fine del mondo,e riesce ancora a non essere scontato affrontando temi come il soggiogamento dei più deboli e l'emarginazione degli "imperfetti".Il colpo di scena finale sorprende davvero,ed è suggestiva l'ultima immagine con la catena umana.Il regista afferma di essersi ispirato a un episodio di "Ai confini della realtà" ma l'insieme nel suo pessimismo totale sembra anche memore dei migliori film di John Carpenter("Il seme della follia" in primis).Sempre belle le musiche di Michael Abels.Anche qui gran seccusso di pubblico e critica.
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gianleo67
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domenica 14 aprile 2019
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us (us, us, us, us) and them (them, them, them, them)
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La vancanza estiva nella casa di villeggiatura è l'occasione per Adelaide di rilassarsi insieme al marito e ai due figli, ma anche quella per il riaffiorare di un oscuro e mai risolto trauma d'infanzia subito all'interno della 'camera degli specchi' di un luna park sulla spiaggia. Quando delle figure minacciose si presentano di fronte al vialetto d'ingresso della loro abitazione, i fantasmi del passato sembrano finalmente assumere sembianze umane; o almeno così sembra... Va dato senz'altro atto a Jordan Peele che l'utilizzo degli stereotipi del genere horror quale base allegorica di un discorso che si allarga all'analisi della società americana, da sempre innervata dalle contraddizioni di una democrazia liberale che custodisce un rapporto mai risolto con la questione razziale e con quella classista, sembra essere più nel coraggio di una cifra narrativa e stilistica che comporterebbe l'inevitale rischio di intrappolare il suo autore nella maniera un po' speciosa dei film a tema, nè più nè meno di quello che si sente spesso rimproverare ad un cineasta eccentrico, ma oramai affermato e generalmente ben accolto, come Yorgos Lanthimos.
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La vancanza estiva nella casa di villeggiatura è l'occasione per Adelaide di rilassarsi insieme al marito e ai due figli, ma anche quella per il riaffiorare di un oscuro e mai risolto trauma d'infanzia subito all'interno della 'camera degli specchi' di un luna park sulla spiaggia. Quando delle figure minacciose si presentano di fronte al vialetto d'ingresso della loro abitazione, i fantasmi del passato sembrano finalmente assumere sembianze umane; o almeno così sembra... Va dato senz'altro atto a Jordan Peele che l'utilizzo degli stereotipi del genere horror quale base allegorica di un discorso che si allarga all'analisi della società americana, da sempre innervata dalle contraddizioni di una democrazia liberale che custodisce un rapporto mai risolto con la questione razziale e con quella classista, sembra essere più nel coraggio di una cifra narrativa e stilistica che comporterebbe l'inevitale rischio di intrappolare il suo autore nella maniera un po' speciosa dei film a tema, nè più nè meno di quello che si sente spesso rimproverare ad un cineasta eccentrico, ma oramai affermato e generalmente ben accolto, come Yorgos Lanthimos. Un problema a latere assai meno sottile e contingente invece, è quello dell'involontario ridicolo che la deriva di soggetti così smaccatamente surreali sembrano portare con sè, dal richiamo ad una sperimentazione (trans-cranica) di trasmigrazione della coscienza a quella di un controllo sociale a base di una clonazione di massa underground, che richiedono una messa in scena in grado di rendere credibile l'orrore saltando a piè pari tanti i buchi della logica quanto quelli del montaggio, con la necessità quindi di ricorrere al flashback ed alle prosaiche spiegazioni finali che ne depotenziano inevitabilmente la portata simbolica; in fondo mantenere l'ambiguità ha da sempre rappresentato il valore aggiunto in operazioni di questo genere. Ne esce un film come al solito citazionista, disseminato di indizi sulla sulla cultura cinematografica (e non) a stelle e strisce, in cui la paura del diverso (l'altro da sé) è l'utile paradigma per ribaltare gli stereotipi morali più in voga e per allargare il discorso al rapporto tra natura e cultura come vero motore del progresso umano (la specularità tra famiglia funzionale e quella disfunzionale), ma anche come contraltare di una cattività quale peccato originale di una società che si è storicamente fondata sulla tratta umana e sullo sfruttamento delle masse, scimmiottando da un lato l'inutile pantomima di una catena umana di solidarietà sociale che attraversa gli States da costa a costa e dall'altro una rivolta degli oppressi che solo la propaganda dei burattinai e la manipolazione dei media vogliono dalla parte del torto. Insomma chi siamo veramente noi americani (come recita l'insegna di una camera del rispecchiamento in cui una Alice puo' perdersi ed un'altra Alice ritrovare sè stessa) ce lo dice solo una storia personale fatta di occasioni giuste o di occasioni sbagliate, dove i mali peggiori sembrano essere il conformismo sociale (lo status simbol di una barca col motore costantemente in panne o la parossistica imitazione degli umani da parte di grottesche figure platoniche) e lo smarrimento della memoria storica, laddove una piccola figlia degli inferi può alfine partorire i figli della luce e la sua sfortunata copia conforme essere destinata a marcire per sempre nel buio e nell'oblio. Produce ancora Jason Blum, ma con il supporto della Universal, avendo fiutato una gallina dalle uova d'oro con un Oscar all'attivo (migliore sceneggiatura originale), su quattro candidature complessive, già al primo shooting.
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elgatoloco
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venerdì 27 marzo 2020
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monumento al"doppio"
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Vero"monumento al doppio, al "DOppelga"nger", in questo"Us"di Jordan Peele, 2019). C'è , appunto, il tema ossessivo e ossessionante del"Doppelgaenger", del"doble", in questo film), a iniziare da una vicenda di trent'anni prima, dove la madre, ancora giovane, di familgia, a suo tempo brava danzatrice, si tritrova ributtata, dopo che il marito ha deciso la vacanza precisamente a Santa Cruz, il luogo a suo tempo scelto dai suoi per le vacanze all'epoca. Non a caso la famiglia(credo sia un tratto non da poco)si chiama "Wilson": A)da un lato è un cognome notoriamente comune, molto diffuso in tutto il mondo anglosassone, come dire una vicenda che potenzialmente può capitare a ogni persona, "aggredire"chiunque; B )d'latra parte c'è un richiamo letterario che non sfugge a chi sia di madre lingua inglese, comunque anglosassone o almeno interessato a quella cultra: il geniale quanto terribile racconto di Edgar Allan Poe"William Wilson", il cui tema è appunto quello del"Doppelgaenger".
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Vero"monumento al doppio, al "DOppelga"nger", in questo"Us"di Jordan Peele, 2019). C'è , appunto, il tema ossessivo e ossessionante del"Doppelgaenger", del"doble", in questo film), a iniziare da una vicenda di trent'anni prima, dove la madre, ancora giovane, di familgia, a suo tempo brava danzatrice, si tritrova ributtata, dopo che il marito ha deciso la vacanza precisamente a Santa Cruz, il luogo a suo tempo scelto dai suoi per le vacanze all'epoca. Non a caso la famiglia(credo sia un tratto non da poco)si chiama "Wilson": A)da un lato è un cognome notoriamente comune, molto diffuso in tutto il mondo anglosassone, come dire una vicenda che potenzialmente può capitare a ogni persona, "aggredire"chiunque; B )d'latra parte c'è un richiamo letterario che non sfugge a chi sia di madre lingua inglese, comunque anglosassone o almeno interessato a quella cultra: il geniale quanto terribile racconto di Edgar Allan Poe"William Wilson", il cui tema è appunto quello del"Doppelgaenger".doble("duende", volendo) etc., della persona che incontra se stessa. Su questo, con richiami al passato che non hanno neppure bisogno di essere esemplificati da tanto di "flashbacks", zoomate o altri "segni carateristici", si basa il fikm con la redupicazione che può avvenire attraverso lo schermo del"mirror"e di altri strumenti adatti allo scopo, o anche "semplicemente"(il che è ancora molto più agghiacciante in praesentia, attraverso la visione diretta. Da considerare, tale terribile realtà, per di più quando avviene verso una tranquilla famiglia in vacanza, pur se qualcosa, come si è detto, c'è, a livello di ricordi, di tracce mnestiche incancellabili. Stilisticamewnte notevolissimo, questo film di un regista statunitense di colore, mostra come la famiglia e comunque l'individuo made in USA"di colore"(espressione di per sé anche complessivamente ipocrita)sia assolutamente uguale a chi è"WASP", ossia bianco, anglosassone, protestante etc., dunqe smentendo ancora tutti i pregiudizi relativi ancora in gran parte dominanti.Non più zombies, vampiri, licantropi, Poltergeister, altre presenze comunque estranee ma quanto afferisce al nostro"io", pur se"inconscio"(non stiamo qui a riproporre al dicotomia che ormai la psicanalisi ha acquistio in pieno), dove"the other side"si riferisce e attiene al"i", al"my person",Inserendo solo sprazzi di humor, il regista-autore , ormai affermato, passa a un horror tutto interiore, con interpreti come Lupita Nyung'o, Winston Duke e altri./e. Dove il rilievo è sempre dato a quel mirror nostro caratteristico che sono, in primis, gli occhi.. El Gato
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carloalberto
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sabato 6 aprile 2019
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dottor peele e mister hyde
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Jordan Peele, dopo Scappa - Get Out, ci ripropone con Noi di nuovo una forma di realtà distopica, e anche questa volta utilizza una trama, intrisa di humor nero, da horror fantascientifico, con un inizio che ricorda scenograficamente Stephen King, per comunicare altro, forse un messaggio non tanto criptico di critica sociale, una denuncia della condizione dei neri americani alla ricerca emulativa del benessere dei bianchi, considerata come estremo rinnegamento delle proprie radici culturali fino all’integrazione parossistica, all’omologazione totale al modello edonistico dell’America bianca. Ma vi sono anche spunti di riflessione, un po’ più velati, sulla mancanza di identità dell’individuo nelle moderne società di massa dell’occidente opulento.
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Jordan Peele, dopo Scappa - Get Out, ci ripropone con Noi di nuovo una forma di realtà distopica, e anche questa volta utilizza una trama, intrisa di humor nero, da horror fantascientifico, con un inizio che ricorda scenograficamente Stephen King, per comunicare altro, forse un messaggio non tanto criptico di critica sociale, una denuncia della condizione dei neri americani alla ricerca emulativa del benessere dei bianchi, considerata come estremo rinnegamento delle proprie radici culturali fino all’integrazione parossistica, all’omologazione totale al modello edonistico dell’America bianca. Ma vi sono anche spunti di riflessione, un po’ più velati, sulla mancanza di identità dell’individuo nelle moderne società di massa dell’occidente opulento. Lo scimmiottamento sociale, il desiderio della barca o dell’auto del vicino, che è sempre più grande e più bella della nostra, e l’incontro-scontro con il nostro doppio, il Mister Hyde stevensoniano, il Monsieur Opal di Jean Renoir, che avulso dal contesto socialmente imposto e costruito per le alienazioni del divertissement istituzionale, concretizzatosi per l’occasione in un luna park, mima le nostre azioni al di fuori dello scenario appropriato mostrandone il non-sense intrinseco. La danza di una ragazzina in tutù è assunta a paradigma di individualità vera, gesto artistico che crea disegni aerei nello spazio-tempo, significanti per se stessi anche se decontestualizzati, sottraendosi all’assurdo in quanto manifestazione assoluta di bellezza. Se l’arte rappresenta la speranza per una identità individuale non clonabile, la speranza di rinnovamento planetario è, invece, il tenersi per mano della nuova umanità a formare una catena che attraversa le montagne e gli oceani dopo un salutare catartico bagno di sangue, dopo la strage metaforica dei nostri comportamenti stereotipati. Conigli bianchi liberati dalle piccole gabbie che vagano senza meta fanno da contrappunto a uomini vestiti di rosso fiamma o sangue che rivitalizzano distruggendo per riconquistare il mondo ad una nuova armonia. Un dubbio mi assale: Jordan Peele è un autore visionario come Lanthimos o von Trier o un comune regista di ordinari film di fantascienza che involontariamente tocca temi profondi e drammaticamente attuali? La risposta è nel suo film: il suo doppio scrive la sceneggiatura mentre Lui dirige come regista.
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