maxforum
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venerdì 1 marzo 2019
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mai visto un film peggiore di questo
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Un film di una noia mortale, riprese a mano libera da vomito, dopo 50 min sono uscito dalla sala. E prima di me molti altri.. Registi alternativi che pensano di fare arte grazie ai critici bohemien
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(di gianlore)
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maxforum
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venerdì 1 marzo 2019
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uno tra i peggiori film mai visti
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Credo di essere uscito da una sala cinematografica prima della fine della proiezione di un film 2 volte in vita mia, la prima perché non stavo bene, la seconda perché non ho mai visto un film più noioso di questo. Scelte registiche da "alternativo" che non hanno fatto nient altro che annoiare a morte o farmi vomitare per le riprese non stabilizzare con il cameraman col parkinson. Un film agghiacciante da tanto è orrendo. Dopo 50 min non ho resistito e sono uscito dalla sala. I 50 minuti più lunghi della mia vita
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johnny1988
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venerdì 1 marzo 2019
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lars von trier e la psicanalisi fai da te
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"The House that (LARS) built"
In pochissime parole: confessioni di una mente pericolosa.
5 Capitoli, tutti collegati dal filo rosso del sangue e dell'omicidio. Un disturbato misantropo americano sullo sfondo degli anni '70 dialoga con una voce fuori campo per 4/5 del film alla quale confessa le sue nequizie.
Che si può dire? Gli aggettivi si sprecano. Si dice sempre tanto su Von Trier, sul suo gusto perverso per l'eccesso, l'estroversione, il guignol e i sottotesti estremamente polemici rivolti alla crudeltà congenita dell'essere umano. Tutto è simbolo, segno e icona nell'ultimo capitolo della filmografia dell'autore danese.
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"The House that (LARS) built"
In pochissime parole: confessioni di una mente pericolosa.
5 Capitoli, tutti collegati dal filo rosso del sangue e dell'omicidio. Un disturbato misantropo americano sullo sfondo degli anni '70 dialoga con una voce fuori campo per 4/5 del film alla quale confessa le sue nequizie.
Che si può dire? Gli aggettivi si sprecano. Si dice sempre tanto su Von Trier, sul suo gusto perverso per l'eccesso, l'estroversione, il guignol e i sottotesti estremamente polemici rivolti alla crudeltà congenita dell'essere umano. Tutto è simbolo, segno e icona nell'ultimo capitolo della filmografia dell'autore danese. Ogni parola, suono o immagine fa riferimento a qualcosa di articolato e colto, che sia ora Dante, Goethe, Gould, Dylan, l'architettura gotica o la tragedia greca. Come già aveva compiuto in Nymphomaniac, Von Trier racconta, attraverso la chiave del dialogo fuori campo con i toni da seduta psicoterapeutica, sé stesso, la personalissima visione del mondo e della Storia dell'uomo e la dialettica manichea fra il Bene e il Male, Istinto e Ragione, Odio e Amore. Con costante immersione nella filosofia, nella letteratura, nella tragedia, nella psicologia e nell'arte.
Se da una parte forse l'aspetto più stimolante di tutta questa complessa architettura sono proprio le lunghe parentesi riflessive del protagonista (e di Lars stesso), dall'altra forse il profluvio di immagini e del granduignolesco splatter non trova altrettanto spazio sufficiente per rendersi giustizia. C'è da chiedersi in fondo che cosa voglia davvero Lars Von Trier. Guardandolo, pare che la dialettica della violenza fisica, la stupidità con cui tratteggia i suoi personaggi e la profondità culturale con cui fa letteralmente "lezione cinematografica" con ogni inquadratura, ricalchi in qualche maniera la stessa personalità contrastata (e disordinata) dell'autore, come se quest'ultimo combattesse fra un istinto distruttivo e uno invece totalmente speculativo e freddo. La gente esce di sala inorridita, infastidita, raccapricciata (perché paghino il biglietto se già conoscono le premesse, poi, vallo a sapere!), ma non dovrebbe farsi impressionare così facilmente. Temo che i limiti principali di Von Trier, in questo caso, stiano proprio nell'incompatibilità del suo modo di fare lezione allo spettatore - senza che dica poi qualcosa di veramente profondo o innovativo - e l'eccesso estetico delle immagini, quasi come se l'obiettivo - come già è accaduto in passato - si traducesse in una sorta di autocelebrazione narcisista e di ironica autoassoluzione. Un esperimento che già andava molto di moda nei mitici anni '60 e '70 (chi si ricorda Antonioni?), ma che oggi, per lo più lasciano il tempo che trovano. Forse la mia delusione deriva sempre dalla pretesa che chi fa cinema debba insegnare e trasmettere un messaggio collettivo con l'uso della metafora o con la totale trasparenza intellettuale e spirituale. E temo che non sia il caso di Von Trier, che da dopo Dogville pare essersi raso da solo la sua casa (come fa il Jack del film, sempre insoddisfatto) e farsi la psicoanalisi da solo.
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cannedcat
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giovedì 28 febbraio 2019
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l'ossessività è il tema
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Il titolo del film è un richiamo ad una filastrocca inglese per bambini,("This is the house that Jack built") qualcosa che somiglia, nella struttura, alla canzone di Branduardi "Alla fiera dell'Est", una susseguirsi di strofe, senza senso, in cui l'elemento principale è l'accumulo, e in sottofondo c'è l'ossessività, come quella che porta a contare di continuo le cose, il disturbo ossessivo compulsivo che porta al perfezionismo maniacale, quello di Jack il protagonista che vuole costruire una casa perfetta che non può essere altro che fatta dei morti che sono un simulacro di quelli che lui avrebbe voluto veramente uccidere: i suoi genitori.
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Il titolo del film è un richiamo ad una filastrocca inglese per bambini,("This is the house that Jack built") qualcosa che somiglia, nella struttura, alla canzone di Branduardi "Alla fiera dell'Est", una susseguirsi di strofe, senza senso, in cui l'elemento principale è l'accumulo, e in sottofondo c'è l'ossessività, come quella che porta a contare di continuo le cose, il disturbo ossessivo compulsivo che porta al perfezionismo maniacale, quello di Jack il protagonista che vuole costruire una casa perfetta che non può essere altro che fatta dei morti che sono un simulacro di quelli che lui avrebbe voluto veramente uccidere: i suoi genitori.
Un'ossessività che ha l'apoteosi nel delitto finale, il perfezionismo che lo porta a superare finalmente la porta simbolica che però lo conduce solo a Verge, alla sua coscienza.
Von Trier aveva già utilizzato la filastrocca in un altro film, "The element of crime", dove una prostituta la canta ad un bambino, come lei rinchiuso in una gabbia (l'ossessione) da cui è difficile uscire senza una cura psicanalitica che vada alle radici di questa nevrosi.
La chiave del disturbo di Jack è nel primo "incidente", la donna esigente e provocatoria, come certi genitori che ossessionano i figli, che finiscono poi per provare verso di loro solo il desiderio di eliminarli dalla propria vita, mantenendo però il desiderio di perfezione instillato dai genitori stessi, che si "fissa" su altri oggetti: la casa da costruire, nonchè i sensi di colpa che portano al desiderio di farsi scoprire e farsi punire, come avrebbe voluto il genitore, spesso però incontrando l'autorità (il padre) simbleggiato da poliziotto che fa solo multe, e che non s'interessa del problema profondo del bambino-Jack.
Perché Jack non è altro che un bambino (la filastrocca) abusato dai sui genitori, nella fase di sviuppo della personalità, non con lodi e premi ma con punizioni e rimproveri, un modo di operare che porta alla nevrosi e ai disturbi ossessivi.
Forrse il regista stesso?
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cinefoglio
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martedì 19 febbraio 2019
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istantanea di the house that jack built
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Presentato fuori concorso a Cannes, dove aveva sconvolto ricevendo fischi dal pubblico, Lars von Trier, assoluto esteta della settima arte, ritorna a scandalizzare il pubblico attraverso la mente malata di Jack.
Come ogni prodotto del cineasta danese, il film suscita, irrinunciabilmente, controversie e pareri distinti: chi inneggiando al capolavoro, chi all’auto-referenza ed il solo gusto del macabro.
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Presentato fuori concorso a Cannes, dove aveva sconvolto ricevendo fischi dal pubblico, Lars von Trier, assoluto esteta della settima arte, ritorna a scandalizzare il pubblico attraverso la mente malata di Jack.
Come ogni prodotto del cineasta danese, il film suscita, irrinunciabilmente, controversie e pareri distinti: chi inneggiando al capolavoro, chi all’auto-referenza ed il solo gusto del macabro. La costruzione della casa di Jack è, prima di tutto, un’esperienza filmica inaspettata e totalizzante. Un’opera profondamente autoriale in grado di attingere, e citare, la filmografia dell’autore stesso, configurandosi come una sintesi del percorso artistico di von Trier.
La presentazione in sala dell’attore protagonista, Matt Dillon, e la sua rassicurazione sul non aver maltrattato né animali né persone nel girato (informazione che ci ha reso tutti più tranquilli e rilassati!) ci ha rivelato che, nonostante fosse un film dalle tematiche forti e noir, la pellicola sarebbe stata impregnata da una densa darkirony. Caratteristica, apparentemente bizzarra, che invece aiuta e movimenta la visione facendo breccia proprio sulla paradossalità delle situazioni.
Le immagini seguono un ritmo concordante ed avverso, in piena mimesi e contraddizione con l’uso, quasi esclusivo della camera a mano. Colmo di ellissi temporali, ad anticipare l’azione successiva, e riavvolgimenti al reverse, quasi pedissequi, degli eventi appena successi.
Animato da apparenti digressioni senza senso, anacronistiche e didattiche (con tanto di immagini in bianco e nero e filmini vintage), ma, a poco a poco, abili nel costruire le fondamenta stesse del pensiero e della filosofia di Jack. Un «castello» ideologico che si fonda, in ultima analisi, nella ricerca di emozioni vive, per un soggetto empatico per definizione. A marcare la progressione (o la discesa nell’inconscio) saranno idee e categorie prese in prestito dalla cultura germanica, come le sublimi parole del sommo poeta am Mein, Goethe.
Il controllo della fotografia è pressoché perfetto, tutto focalizzato a creare un’estetica singolare, fatta di materiale onirico ed immagini iconoclastiche, insieme a momenti di estrema visceralità e crudezza (della carne martoriata e del cadavere in decomposizione).
Ma la Casa di Jack va ben oltre le prime impressioni. Non si accontenta di essere un body-horror, volgare e retoricamente macabro, teso solo all’inseguimento del filo nascosto (incomprensibile, sebbene razionale) di un serial killer, immaginatosi architetto della propria vita.
La pellicola, costruita a tappe di incidenti peculiari, si inoltra in un dialogo interiore (rivolto a noi del pubblico e all’umanità intera), profetico ed in costante affermazione di se stesso. Rompe la barriera della narrazione, lineare o circolare, per dare vita allo specchio dell’anima che lotta, strenuamente, per acquisire la facoltà di controllare la propria vita. Qualità che Jack presume di avere ma, ingenuamente, in un’alternanza di stati emotivi (veicolati da stati omicidi), non possiede. Il fine della sua storia, come ne è stato l’inizio, provvederà a dare un senso alla sua condotta, non lo fermerà nel momento decisivo, ma forzerà l’apertura dei suoi occhi nello scoprire ed ammirare la sua vera natura ed accettare il luogo e lo spazio che tanto ha anelato costruire.
Un prodotto sublime, controverso e non esente da critiche, profondamente autoriale nel momento in cui tutto l’universo concepito dall’autore (nonché sceneggiature) si mostra sul palco luminoso del grande schermo, vomitando l’immagine cruda, e partorita senza compromessi, noncurante della sensibilità del pubblico ma speranzosa possa, quest'ultimo, apprezzarla nella sua interezza.
18/02/2019
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domenica 10 febbraio 2019
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l'ingegnere legge la musica, l'architetto la suona
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In verità per Jack "L'ingegnere legge la musica, l'architetto la suona" ed è un concetto filosoficamente diverso da quello che lei scrive nell'articolo e che si discosta con sottile eleganza dalla più trita questione fra scrittura e/o composizione da una parte e lettura e/o mera esecuzione dall'altra. In questo senso poi andrebbe letto il continuo rimando alla genialità di Glenn Gould. Spero la sua sia una svista e non dipenda da una cattiva traduzione del film in italiano
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arianna66
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sabato 19 gennaio 2019
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meraviglia del cinema contemporaneo
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Lars Von Trier riesce a superarsi ancora una volta in un film eccezionale, dalla colonna sonora al montaggio alla cura nella fotografia, complimenti.
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markym
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domenica 30 dicembre 2018
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qualcosa di nuovo
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Visto ieri , devo dire che è difficile da vedere in alcune scene per chi non è abituato poi non ne parliamo.
A parte questo, davvero unico Lars che ci parla di questo Serial Killer anche in maniera divertente , visto che il protagonista ha una mania per il pulito :)
Da vedere assolutamente anche se dura tanto e anche troppo .
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sabato 1 dicembre 2018
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grazie del suo punto di vista.
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Buonanotte,
Sono un "fun" di Lars, che riconosce che in più di certi film si pianta sul tema "la società é peggio del derelitto".
Aspetto con ansia l'uscita nelle sale nazionali, sperando di trovarlo a Gallarate.
La domanda é, in base a quanto ho curiosamente e onorabilmente letto, trovo il solito Lars? Con una pellicola ricca e allo stesso tempo ovvia per chi lo conosce?
Grazie mille per l'attenzione.
Angelucci
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mercoledì 28 novembre 2018
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bellissimo film
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Distribuitelo in Italia!!!!! Vi prego!!!
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