La Casa di Jack

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Un film di Lars von Trier. Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan.
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Titolo originale The House That Jack Built. Thriller, Ratings: Kids+13, durata 155 min. - Danimarca, Francia, Germania, Svezia 2018. - Videa uscita giovedì 28 febbraio 2019. - VM 18 - MYMONETRO La Casa di Jack * * * - - valutazione media: 3,02 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Lars "coverizza" Lars.

di blackredblues


Feedback: 1296 | altri commenti e recensioni di blackredblues
lunedì 25 marzo 2019

Da tempo non recensivo qualcosa.
Lars Von Trier è, per il sottoscritto, sempre un buon motivo per farsi sotto.
Personalmente tra i vari Lars io ne ho individuati principalmente due. Uno mi piace molto e l’altro un po’ meno.
Il primo è dotato di anima. Il secondo (apparentemente) no.
Questo film, come anche Nymphomaniac, appartiene al secondo.
Spieghiamoci.
La storia è quella di…di? Di un serial killer?! Forse, forse no. Forse il serial killer è un pretesto per dire qualcosa di molto personale che esula dalla storia stessa. Forse sì, potrebbe essere così.
Nella scelta dei cinque episodi di tortura e massacro delle proprie vittime manca l’emozione, il pathos, la frenesia. Manca una storia del personaggio, manca una profondità (anche se con tutto un altro soggetto mi è venuto in mente Spider di Cronenberg e di quanta differenza ci sia).
E’ per questo che credo che la storia non narri di un serial killer (nel caso specifico caricaturale, sconclusionato, una sorta di Frankenstein di tanti serial killer condensati in un’improbabile persona sola).
Lars cita se stesso (quando farebbe meglio a citare i suoi maestri secondo me), sembra parlare di sé, della sua attrazione per il male e del fascino voyeuristico di starci dentro (senza vivere le cose in prima persona).
Bei momenti di tecnica, bell’acting, bei quadri ad olio e citazioni colte. Forse il momento più bello coincide con il finale, qualcosa che risolve e da pace.
Perché i due Lars? Perché nel Lars di Antichrist e di Melancholia ci sono (e si sentono potenti) la fobia, l’ansia, la psicopatologia, la claustrofobia, la depressione narrate in modo metaforico e magistrale.
Negli ultimi due lavori c’è una certa devitalizzazione, forse troppi stabilizzatori dell’umore e troppi farmaci che comprimono il sentire dell’architetto in una zona grigia fatta di una infausta (ma salvifica almeno in termini di sopravvivenza) normalizzazione dei picchi (in alto e in basso).
Come capita (ed è capitato) a tante rock band l’impressione è che Lars, in questo film, coverizzi se stesso quando invece la voglia (almeno la mia) sarebbe quella di vederlo innovare e rinnovare se stesso o al limite tacere godendosi quello che resta del giorno.

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