lorenzodv
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lunedì 10 febbraio 2020
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film di violenza contro la violenza
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Quasi un anno fa Angela è stata stuprata e uccisa ma le indagini non fanno progressi. Anzi le indagini sono terminate senza alcuna conclusione. Non è accettabile per la madre Mildred, che in questa storia ha nominato un nemico, non l'ignoto assassino ma la polizia, colpevole di perdere tempo perseguitando le minoranze anziché svolgere indagini proficue.
A nulla serve la spiegazione dello sceriffo, per il quale le indagini sono state approfondite ma senza risultato stante la scarsità di indizi.
Nella società rappresentata i contrasti sono innumerevoli e futili, tutti hanno ragione e nessuna ragione ha uno scopo pratico. Risalta il ruolo della polizia, che non persegue certo lo scopo del rispetto delle regole ma anche l'ambita vendetta di Mildred è sterile.
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Quasi un anno fa Angela è stata stuprata e uccisa ma le indagini non fanno progressi. Anzi le indagini sono terminate senza alcuna conclusione. Non è accettabile per la madre Mildred, che in questa storia ha nominato un nemico, non l'ignoto assassino ma la polizia, colpevole di perdere tempo perseguitando le minoranze anziché svolgere indagini proficue.
A nulla serve la spiegazione dello sceriffo, per il quale le indagini sono state approfondite ma senza risultato stante la scarsità di indizi.
Nella società rappresentata i contrasti sono innumerevoli e futili, tutti hanno ragione e nessuna ragione ha uno scopo pratico. Risalta il ruolo della polizia, che non persegue certo lo scopo del rispetto delle regole ma anche l'ambita vendetta di Mildred è sterile. L'unica voce saggia è quella della fidanzata diciannovenne ignorante e sciocca dell'ex marito di Mildred (e padre di Angela) che afferma che la rabbia genera soltanto altra rabbia, culmine dell'ironia che pervade tutto lo svolgimento.
E' un buon film, curato, con un bel sottofondo musicale e discreta fotografia, fatto più per stimolare la riflessione che per divertire o emozionare.
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goldy
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venerdì 11 settembre 2020
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l''america riflette
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La struggente melodia di "The last rose of summer" nei titoli di testa è quanto di più ingannevole si possa immaginare e viene immediatamente contrapposta allo strazio sopportato dalla protagonista Mildred . Ambientato nel Missouri, trerra di immensi spazi dove la solitudine, il razzismo e le leggi della sopravvivenza hanno dato origine alla consuetudine del crimine o all'apologia della brutalità, Sembra dominare aancora oggi la difficoltà di adeguarsi a comportamenti meno violenti e brutali praticati sopratutto dalla polizia.
La ricerca di verità della protagonista non si arrende davanti a nessun ostacolo.
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La struggente melodia di "The last rose of summer" nei titoli di testa è quanto di più ingannevole si possa immaginare e viene immediatamente contrapposta allo strazio sopportato dalla protagonista Mildred . Ambientato nel Missouri, trerra di immensi spazi dove la solitudine, il razzismo e le leggi della sopravvivenza hanno dato origine alla consuetudine del crimine o all'apologia della brutalità, Sembra dominare aancora oggi la difficoltà di adeguarsi a comportamenti meno violenti e brutali praticati sopratutto dalla polizia.
La ricerca di verità della protagonista non si arrende davanti a nessun ostacolo. Il Missouri diventa metafora dell'America di oggi che non dispera di credere tuttavia in una America più matura con personaggi che perdono la loro iniziale immutabilità granitica e che nel progredire degli eventi si sgretola e recupera un'umanità fino ad allora impedita; basta creare l'opportunità. Alcuni diventano buoni , ma come si fa a diventare migliori? Il regista non americano apporta la sua sensibilità anglo-irlandese e con dettagli inusitati rende credibile il cambiamento sottraendosi a una facile retorica. Il finale si presta a ambigua lettur, cosa inusitata per il pubblico americano ma non per quello più maturo europeo. E comunque ognuno di noi vorrà darà quella che ritiene la più corretta secondo le proprie convinzioni e le proprie speranze.
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stenoir
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giovedì 12 novembre 2020
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una madre tutt''altro che arrendevole
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Una piacevole sorpresa McDonagh che dirige -e scrive, dettaglio nient’affatto trascurabile- questo film ambientato in una classica cittadina del midwest americano. Una madre tormentata (la perfetta Frances McDormand) cerca ancora spiegazioni del perché lo sceriffo sia ancora senza un sospettato per la morte della figlia -stuprata e uccisa come recita uno dei cartelloni/manifesti affittati da lei-. Un’opera che potrebbe sembrare tranquillamente dei Coen per trama, dialoghi, humor nero e presenza dell’attrice principale (moglie di Joel e protagonista diverse volte dei loro film).
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luca scialo
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martedì 8 dicembre 2020
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la testardaggine di una madre
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Un poliziotto percorre una strada isolata e si accorge che stanno affiggendo 3 cartelloni che si riferiscono ad un caso di cronaca. Con una evidente allusione all'incapacità della polizia nel ritrovare l'assassino. Così, la polizia cerca di scoprire chi è, ed è proprio la madre della giovanissima vittima. Si tratta di Mildred Hayes, proprietaria di un negozio di souvenir, che non si dà pace per la morte della figlia anche perché si sente responsabile. Così ingaggia un duello con la polizia locale, sfidandola continuamente. Ma una catena di eventi turberà ulteriormente la comunità. Martin McDonagh si conferma regista interessante e capace di raccontare storie "nere" con piglio coinvolgente.
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Un poliziotto percorre una strada isolata e si accorge che stanno affiggendo 3 cartelloni che si riferiscono ad un caso di cronaca. Con una evidente allusione all'incapacità della polizia nel ritrovare l'assassino. Così, la polizia cerca di scoprire chi è, ed è proprio la madre della giovanissima vittima. Si tratta di Mildred Hayes, proprietaria di un negozio di souvenir, che non si dà pace per la morte della figlia anche perché si sente responsabile. Così ingaggia un duello con la polizia locale, sfidandola continuamente. Ma una catena di eventi turberà ulteriormente la comunità. Martin McDonagh si conferma regista interessante e capace di raccontare storie "nere" con piglio coinvolgente. Sempre straordinaria Frances McDormand, indimenticabile protagonista di Fargo. Anche se qui indaga dall'altra parte della barricata. Così come Woody Harrelson e Sam Rockwell, col loro volto inquieto e non convenzionale. La storia non è il solito giallo che ricostruisce la verità. Ma è una denuncia contro il razzismo, l'abuso di potere di tanti in divisa e la cattiveria che una comunità apparentemente tranquilla può dimostrare. Un tema spesso ripreso da Hollywood.
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dandy
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domenica 14 marzo 2021
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dolore e rabbia.
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Ambientato nell'immaginaria città di Ebbing(ma con la scelta simbolica dello stato del Missouri,che nel far west rappresentava il confine ultimo tra civiltà e territori selvaggi),un film che sa utilizzare in maniera encommiabile i classici clichè da poliziesco con crimine nella provincia.Il ritratto pessimista e disilluso di un paese dove tutti,protagonista in primis,sono ambiguamente in altalena tra giustizia e ingiustizia,rabbia e violenza.Chi mosso da ottusità,chi dal proprio male interiore,chi dal desiderio di andare avanti dimenticando le sofferenze altrui.E l'unico personaggio buono,che darà una svolta decisiva alle cose,è paradossalmente quello colpito dal destino peggiore.
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Ambientato nell'immaginaria città di Ebbing(ma con la scelta simbolica dello stato del Missouri,che nel far west rappresentava il confine ultimo tra civiltà e territori selvaggi),un film che sa utilizzare in maniera encommiabile i classici clichè da poliziesco con crimine nella provincia.Il ritratto pessimista e disilluso di un paese dove tutti,protagonista in primis,sono ambiguamente in altalena tra giustizia e ingiustizia,rabbia e violenza.Chi mosso da ottusità,chi dal proprio male interiore,chi dal desiderio di andare avanti dimenticando le sofferenze altrui.E l'unico personaggio buono,che darà una svolta decisiva alle cose,è paradossalmente quello colpito dal destino peggiore.Il regista,dalla lunga ed eccellente carriera teatrale,amministra benissimo lo svolgimento con sorprese e improvvisi cambi di tono.Ma quello che sorprende davvero è il tono incredibilmente scanzonato,a tratti persino comico nell'affrontare la vicenda anche nei momenti peggiori,a partire dal turpiloquio di Mildred e Dixon(i battibecchi tra i due o il discorso col prete),la decisione drastica di Willoughby(cruda e toccante allo stesso tempo)e il pestaggio del povero Red.E risulta perfettamente convincente il discorso del cambiamento positivo e la possibilità di riscatto da parte di chi ha sempre agito in preda alla violenza(che nel caso di Dixon finisce per costargli un estremo contrappasso).Ottimo anche il finale,sospeso e affatto risolutivo.Il cinema Hollywoodiano al suo meglio,degno dei bei tempi di una volta,a metà strada tra Eastwood e i fratelli Cohen(vista anche la presenza della McDormand)ma con l'aggiunta di un suo stile personale.Grandioso terzetto di attori.Osella d'oro a Venezia per la sceneggiatura(del regista),4 Golden Globe e 2 Oscar su 7 nominations(per la McDormand,che ha affermato di essersi ispirata a John Wayne,e Rockwell).
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eugenio
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venerdì 29 dicembre 2017
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black comedy intensa di rara bellezza stilistica
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La premessa di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è il filone di appartenenza al genere dei revenge films, ovvero quelle pellicole aventi come leitmotiv il torto subito da un padre o una madre a causa di un’efferata violenza che ha strappato alla vita il suo primario affetto, spesso un figlio o una figlia (in genere violentato/a brutalmente). Una vendetta conseguente perpetrata dalla straziata madre o dal disperato padre si traduce in un urlo violento nei confronti di un sistema legge incapace di tutelare in maniera adeguata i suoi cittadini, condannando al lassismo di una burocrazia lenta e spesso non decisiva un reato gravissimo che in molti casi, finisce sepolto senza che l’uccisore paghi per il torto subito.
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La premessa di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è il filone di appartenenza al genere dei revenge films, ovvero quelle pellicole aventi come leitmotiv il torto subito da un padre o una madre a causa di un’efferata violenza che ha strappato alla vita il suo primario affetto, spesso un figlio o una figlia (in genere violentato/a brutalmente). Una vendetta conseguente perpetrata dalla straziata madre o dal disperato padre si traduce in un urlo violento nei confronti di un sistema legge incapace di tutelare in maniera adeguata i suoi cittadini, condannando al lassismo di una burocrazia lenta e spesso non decisiva un reato gravissimo che in molti casi, finisce sepolto senza che l’uccisore paghi per il torto subito.
Eppure se tanto cinema ha parlato di questo, Tre manifesti a Ebbing, Missouri rompe il pronostico iniziale e si rivela, dopo poche decise inquadrature, diverso da quel piattume che va gustato freddo di bronsoniana memoria, ovvero un film cupo, dalla solida sceneggiatura e dalla scelta degli ambienti azzeccata, funerea e quasi letale in cui si muove la bravissima Frances McDormand dallo sguardo livido, maschera di un dolore che si è fatta pietra.
L’inizio è coeniano: la protagonista è ripresa mentre guida in macchina, sulla musica di Carter Burwell, intenta a osservare dei cartelloni pubblicitari ormai scrostati dal tempo che danno il benvenuto a Ebbing nel Missouri, un tranquillo paese di provincia, molto twinpeaksiano negli atteggiamenti e nella ritrosia dei suoi abitanti, chiusi dietro una passiva indifferenza.
Una comunità denotata dal regista, Martin McDonagh, che non disdegna appunto di inserire in questa cornice, un efferato delitto, da un punto di vista insolito.
Infatti, se in molte altre pellicole, l’evento di stupro o violenza si svolge durante il film che in genere si concentra sull’indagine del protagonista alla ricerca di una vendetta privata, in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, al contrario, l’orrore ha già trovato compimento ben sette mesi prima con lo stupro della figlia adolescente di Mildred Hayes (Frances Mc Dormand), il cui cadavere è stato trovato bruciato nelle vicinanze di quei tre cartelloni del titolo, al limite della città di Ebbing, Missouri, appunto.
Mildred è una donna divorziata, madre di due figli, sconvolta dal dolore, che non trova requie col passare del tempo, che innerva spirito e corpo, ma attenzione, non versa nemmeno una lacrima, lei. Sguardo duro da western, la donna decide di dar fondo ai risparmi di famiglia per affittare proprio quei tre cartelloni, allo scopo di affiggere su uno sfondo rosso sangue, velate accuse nei confronti della polizia, in particolare dello sceriffo Willoughby (l’asciutto Woody Harrellson), reo di non aver ancora trovato una pista da seguire e ancor più, di aver deciso di abbandonare le indagini, dopo mesi di vane ricerche.
L’esplicito linguaggio dei manifesti in merito all’omicidio (uno di questi categorico e terribile recita "stuprata mentre moriva"), è l’incipit del film di Mc Dormand, interessato a indagare sulle reazioni che un simile gesto porta nella cittadina, sconvolta da una parte per il gesto e dall’altra insicura nei confronti di forze dell’ordine difficilmente non disponibili.
Lo sceriffo Willoughby, infatti, a differenza di molte altre pellicole di genere, non è un uomo che esercita il pugno di ferro: la sfaccettatura che ne dà Harellson ce lo mostra benvoluto, gentile e fisicamente distrutto da un cancro al pancreas che lentamente lo sta portando alla morte, un segreto che molti conoscono e di cui lo stessa Mildred non ne rimane esentata dal pietismo.
In un crescendo di malumori in cui la donna verrà ostacolata da tutti: dall’ex marito violento e prevaricatore, dal dentista che cerca di minacciarla (con un esito tutt’altro che felice nei suoi confronti), dallo stesso sceriffo come era ovvio e infine dalla Chiesa cattolica, in uno dei dialoghi meglio riusciti del film che dalla predica del prete sull’accettazione della morte, si apre l’inquietante immagine di odio nei confronti dei preti pedofili, Tre manifesti a Ebbing Missouri non si concentra sui due poli della narrazione ovvero la madre piegata dal dolore che cerca di smuovere la falsità della comunità della provincia o la vicenda dello sceriffo malato di cancro dall’altro (il cui epilogo giunge breve appena a metà film), ma vive di personaggi secondari, che arricchiscono la narrazione, sino a renderla autonoma e ineccepibile.
E’ il caso dell’agente Dixon, che tiene testa con bravura ai due premi Oscar Harrellson e Mc Dormand. Interpretato da un riuscito Sam Rockwell, è il classico ottuso poliziotto, razzista stupido e infantile, con una madre alcolizzata, che sembrerà strano, diventerà uno personaggi più importanti del film, arrivando a maturare consapevolmente sino a un finale insaspettato e aperto.
McDonagh sotto l’involucro di una commedia nera, mascherata da thriller e western urbano con tante atmosfere che ricordano tanto le pellicole di Eastwood e di John Wayne (alle cui movenze l’attrice Mc Dormand su indicazione del regista si è volutamente ispirata) realizza un riuscito spaccato della società americana di provincia trumpista, affrontando temi universali, spesso causticamente e senza scampo. Ne sono esempio la chiesa, la politica, la polizia, ciascuna descritta secondo un ricercato stile e soprattutto sfruttando un intento “mai serio”, alternando un registro comico a uno dissacrante (vedi la scena di Dixon accusato di essere razzista torturatore di neri anzi “negri”) e critico.
Col pretesto dell’atto provocatorio di Mildred e della crociata che ne seguirà, McDonagh ci mostra le precarie condizioni del paese americano, intorpidito da un lato da un dolore inesprimibile, gradualmente violento nelle sue forme sino a diventare ossessione e mania (quella di Mildred nei confronti della polizia) e la cieca indifferenza dei meccanismi di potere cui la comunità cerca di aggrapparsi con tutte le forze per non cadere nel baratro della violenza, nell’infuriata ricerca di un colpevole da consegnare alla “giustizia”.
Colpa e redenzione. Come si fa a diventare migliori? Un’indicazione ce la mostra il personaggio di Willoughby nella sua toccante lettera di commiato e una speranza ce la dà proprio il poliziotto-bullo Dixon, in un film che non parla per “accumulazione” o per sanguinolente immagini come in Tarantino, che non esplode in gesti insensati di violenza come in certe commedie dark dei fratelli Coen, ma preserva una forza “posata”, controllata e asciutta nei dialoghi, suggestionando lo spettatore con atmosfere western, figlie di un Dio minore apolide e perennemente “sulla strada”. Una strada sterminata, estesa e aperta ai confini della grande America.
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boffese
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venerdì 12 gennaio 2018
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la storia di mildred hayes di ebbing, missouri
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Tre manifesti a Ebbing e' la terza prova del regista AngloIrlandese Martin McDonagh , molto bravo nel film d esordio In Bruges, un po meno nel bizzarro 7 psicopatici , ne esce maturo e centrando l obiettivo con questo film vincitore gia' di 4 Golden Globe importantissimi e del premio miglior sceneggiatura al Festival di Venezia. La pellicola e' spiazzante in quasi tutti i suoi passaggi e lo e' ancora di piu' nei suoi personaggi principali. Non da mai certezza allo spettatore , dal primo all ultimo minuto , e' quello il bello del film, quello di non riuscire neanche a far capire chi e' il buono e chi il cattivo. La storia e' drammatica e cruenta e parte dalla morte di una ragazzina per violenza sessuale , e dalla protesta della madre Mildred (Francis McDormand) tramite tre cartelloni pubblicitari, contro il corpo della polizia e piu' nello specifico verso lo sceriffo di Ebbing Bill Willoughby (Woody Harrelson).
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Tre manifesti a Ebbing e' la terza prova del regista AngloIrlandese Martin McDonagh , molto bravo nel film d esordio In Bruges, un po meno nel bizzarro 7 psicopatici , ne esce maturo e centrando l obiettivo con questo film vincitore gia' di 4 Golden Globe importantissimi e del premio miglior sceneggiatura al Festival di Venezia. La pellicola e' spiazzante in quasi tutti i suoi passaggi e lo e' ancora di piu' nei suoi personaggi principali. Non da mai certezza allo spettatore , dal primo all ultimo minuto , e' quello il bello del film, quello di non riuscire neanche a far capire chi e' il buono e chi il cattivo. La storia e' drammatica e cruenta e parte dalla morte di una ragazzina per violenza sessuale , e dalla protesta della madre Mildred (Francis McDormand) tramite tre cartelloni pubblicitari, contro il corpo della polizia e piu' nello specifico verso lo sceriffo di Ebbing Bill Willoughby (Woody Harrelson). Il personaggio di Mildred e' il centro di tutto e Francis McDormand si prende sulle spalle il film e regala la sua miglior performance di una carriera fatta gia' di grandi ruoli. Irriverente ,volgare,scorretta , violenta e cruda e con un senso dell umorismo spiccato. Questa e' Mildred e quindi questo e' il film. Poi fanno da spalla due grandi personaggi come lo sceriffo e il semplice agente un po minorato Jason Dixon interpretato alla grandissima da un ritrovato Sam Rockwell. Una sceneggiatura con la violenza verbale di Tarantino , condita da humor nero dei fratelli Coen. Unico neo del film e' che in un paio di situazioni (sicuramente nel flashback del dialogo tra Mildred e la figlia), si va a calzare troppo la mano rendendo la situazione al limite del ridicolo e dell irreale. Sicuramente ,vista anche la pochezza cinematografica dell annata in corso, Tre manifesti a Ebbing sara' uno dei migliori film dell anno . Una black comedy interessante , che va a toccare tanti punti dell america di oggi come la politica ,il razzismo, l omofobia . Voto : 8+
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morganaeuropa
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sabato 13 gennaio 2018
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black comedy lungo le anse del grande fiume
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Quando un film ha trionfato a Venezia, ha vinto 4 Golden Globe e si appresta a fare incetta nei prossimi Oscar, che altro si può aggiungere ? Dopo i fiumi di parole scritti da tutti i giornali del mondo, sull'anima nera del Sud, sui vari piani di lettura della sceneggiatura, sulle capacità narrative dell'inglese Martin Mc Donagh e sulla interpretazione 'stratosferica' dei protagonisti, su tutti ovviamente la madre FrancesMc Dormand ma anche lo stupidotto Sam Rockwell , posso solo dire la mia sapendo di non essere nè esaustivo nè per forza attinente. Della trama mi piace il rtmo sincopato, la qualità rara di scandire gli eventi rispettando il flusso naturale del tempo, non sottraendosi a sentimenti come il dolore, la vendetta, la rabbia, la disperazione ma anzi assecondandoli, quasi che il rallentamento dell'azione potesse essere propedeutico alla loro catarsi.
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Quando un film ha trionfato a Venezia, ha vinto 4 Golden Globe e si appresta a fare incetta nei prossimi Oscar, che altro si può aggiungere ? Dopo i fiumi di parole scritti da tutti i giornali del mondo, sull'anima nera del Sud, sui vari piani di lettura della sceneggiatura, sulle capacità narrative dell'inglese Martin Mc Donagh e sulla interpretazione 'stratosferica' dei protagonisti, su tutti ovviamente la madre FrancesMc Dormand ma anche lo stupidotto Sam Rockwell , posso solo dire la mia sapendo di non essere nè esaustivo nè per forza attinente. Della trama mi piace il rtmo sincopato, la qualità rara di scandire gli eventi rispettando il flusso naturale del tempo, non sottraendosi a sentimenti come il dolore, la vendetta, la rabbia, la disperazione ma anzi assecondandoli, quasi che il rallentamento dell'azione potesse essere propedeutico alla loro catarsi. 'Tre manifesti' è in effetti un film pieno di idioti rancorosi e mostri assortiti ma non è un film 'per idioti'. Anzi : bisogna pensare bene a quello che si vede scorrere sullo schermo e che ad ognuno rivelerà quello che desidera vedere : la pancia dell'America che ha partorito il 'mostro' Trump, più per leggerezza e ignoranza che per reale convinzione, il fallimento del politically correct democratico di incidere su una realtà insofferente di sfacelo e delusioni, il buono che si nasconde sempre dietro una maschera di apparente cattiveria. A me spiega, una volta per tutte, perchè non posso non odiare l'America e perchè non posso non amarla. Ma, attenzione : il film è tutt'altro che noioso. La storia c'è ed è un thriller con tutti i crismi del genere, con il lieto fine che non arriva mai ma che non si smette mai di cercare, trovando sulla strada sempre nuovi ed imprevisti compagni. E con due brani straordinariamente suggestivi, tirati fuori dal regista al momento opportuno, come 'Walk Away Renèe' dei Four Tops e 'The Night They Drove Old Dixie Down' di Joan Baez
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zim
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sabato 13 gennaio 2018
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perfida periferia
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Perfida periferia, la grande famiglia d'America ha perduto le sue certezze.
Quotidianità e luoghi comuni non ripagano e il malaffare è nel non fare nulla. Un tempo il Dio dei puritani comunicava nei piccoli e grandi eventi della giornata i segni della sua volontà, adesso la famiglia dell'eterno si è rotta e sono necessari i manifesti della pubblicità che indichino la strada mal battuta della giustizia, quanto meno della legge, quella scritta e amministrata dagli uomini. E' ciò che fa la protagonista del film: tre domande a caratteri cubitali su tre vecchi cartelloni rivolte al locale detentore dell'ordine cittadino per non lasciare all'erba secca e ai rimorsi la memoria della figlia violentata e uccisa.
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Perfida periferia, la grande famiglia d'America ha perduto le sue certezze.
Quotidianità e luoghi comuni non ripagano e il malaffare è nel non fare nulla. Un tempo il Dio dei puritani comunicava nei piccoli e grandi eventi della giornata i segni della sua volontà, adesso la famiglia dell'eterno si è rotta e sono necessari i manifesti della pubblicità che indichino la strada mal battuta della giustizia, quanto meno della legge, quella scritta e amministrata dagli uomini. E' ciò che fa la protagonista del film: tre domande a caratteri cubitali su tre vecchi cartelloni rivolte al locale detentore dell'ordine cittadino per non lasciare all'erba secca e ai rimorsi la memoria della figlia violentata e uccisa. Così facendo la donna si tirerà dietro le antipatie dei poliziotti pigroni incapaci e le angherie dei loro amici. In realtà non è chiaro perché tante ostilità nei confronti di una madre che chiede giustizia. Non sembra che la polizia ricerchi una particolare immagine di rispettabilità o buona reputazione, mal costume e angherie sono all'ordine del giorno e il turpiloquio si spreca, ma quasi con noia, d'abitudine. Ciò che fa scattare, l'inenarrabile, sono i tre appelli della madre. Bene e male si confondono in un gioco di forze senza esclusione di colpi. I preti non servono, sono solo intermediari di pedofili che di fatto coprono o fanno finta di non vedere. Il grande interpellato, lo sceriffo, buon padre per i suoi figli e mandrillo con la bella moglie è malato di cancro e anticipa la sua fine. Tuttavia da morto troverà il modo di diventare ciò che non fu da vivo: la voce consiglio e la coscienza dei suoi cari, subordinati e nemici. Sembrerebbe che il suo sacrificio abbia frutti. Il vice sceriffo violento quanto cialtrone si fa bruciare e massacrare nel tentativo di incastrare quello che crede il colpevole. In ospedale riceverà piccole cortesie dal giovane responsabile della cartellonistica pubblicitaria da lui pestato e scaraventato dalla finestra. Persino un nano si mette ad aiutare e corteggiare la madre in verità senza fortuna. Alla fine quando tutti sono sicuri di non aver concluso nulla la madre e il vice sceriffo insieme partono, come in gita, per andare accoppare se non lo stupratore almeno uno che sicuramente lo sia. Forse lo faranno fuori, forse no, ci penseranno lungo la strada, se vogliono. Ma quale volere può essere di Dio che è già tutto e poi forse non c'è?
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alesimoni
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domenica 14 gennaio 2018
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3 fenomeni a ebbing
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Dopo il convincente “in Bruges” il regista e sceneggiatore McDonagh si conferma ad altissimi livelli con una dark comedy stile Coen. Il film conferma tutte le aspettative della vigilia alimentate dai premi ai Golden Globes e da un bel trailer. Un’opera stupenda in cui nessuno dei personaggi è un’eroe o un mostro, ma tutti sono entrambe le cose: ognuno è capace di essere rozzo e volgare, ma anche di compiere inaspettati gesti di Amore e “Pietas”. Ed è questo il suo più grande merito: spiazzarci sempre e nn dirci mai quale sia il “buono” per cui fare il tifo, il tutto accompagnato da dialoghi frizzanti, sporchi, umoristici e fastidiosi (le cose che si dicono in famiglia sono autentici pugni nello stomaco che denotano profonde lacerazioni).
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Dopo il convincente “in Bruges” il regista e sceneggiatore McDonagh si conferma ad altissimi livelli con una dark comedy stile Coen. Il film conferma tutte le aspettative della vigilia alimentate dai premi ai Golden Globes e da un bel trailer. Un’opera stupenda in cui nessuno dei personaggi è un’eroe o un mostro, ma tutti sono entrambe le cose: ognuno è capace di essere rozzo e volgare, ma anche di compiere inaspettati gesti di Amore e “Pietas”. Ed è questo il suo più grande merito: spiazzarci sempre e nn dirci mai quale sia il “buono” per cui fare il tifo, il tutto accompagnato da dialoghi frizzanti, sporchi, umoristici e fastidiosi (le cose che si dicono in famiglia sono autentici pugni nello stomaco che denotano profonde lacerazioni). Fenomali i 3 protagonisti, perché oltre agli eccellenti McDormand e Rockwell va citato anche il dolente e zotico Woody Harrelson.Nonostante sia meno degli altri due sullo schermo, da corpo a una delle più commoventi uscite di scena che mi ricordi, capace di trovare il “buono” di cui sopra, in ognuno. Sarà sul podio dei migliori della stagione. Imperdibile.
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