giuliog02
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venerdì 23 febbraio 2018
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mi sembra di esserci stato
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Gran bel film. Mi sembra di esserci stato nel Wet in posti come Ebbing. Girato magistralmente, con una sceneggiatura e una ambientazione perfetta. Protagonisti scelti con cura per rappresentare una trama che se non vera è assolutamente verosimile. Sono uscito con un sorriso sul volto, non mi aspettavo una così bella rappresentazione dello spirito profondo della provincia americana e dei soggetti, umani, che la abitano, la gestiscono, la rendono affascinante e meschina allo stesso tempo. Bella la storia tra il figlio poliziotto e la madre.
Recitazione molto buona di tutti, eccezionale quella della McDormand. Assolutamente da vedere.
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marcomichielis
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sabato 24 febbraio 2018
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tre manifesti a ebbing, missouri
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McDonagh dipinge un'America dai tanti volti stereotipati che mano a mano mutano e si sciolgono. Un Missouri popolato da donne irose con sensi di colpa, poliziotti razzisti che vivono con la mamma, nani dai sentimenti calpestati e sceriffi in fin di vita attaccati alla tradizione della famiglia. Tre manifesti, silenti nella loro eloquenza e spettatori, scatenano rabbie e conflitti mai sopiti all'interno di una comunità estremamente chiusa che all'improvviso si rivela fallace e piena di contraddizioni. Forse semplicistico in alcuni suoi tratti, con una gradevole colonna sonora straniante ma senza la forza e la carica dissacrante dei Coen, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri ci lascia con un bel finale aperto e qualche interrogativo, probabilmente non così profondo come nelle intenzioni del suo autore, ma in ogni caso quanto mai vivo e attuale.
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no_data
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mercoledì 28 febbraio 2018
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nonostante il decadimento sociale i sentimenti resistono.
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Un bel quadro, questo film, un bel quadro dell’impoverimento della piccola borghesia americana che vive ai margini, a Ebbing, ai confini del Missouri. Un angolo sperduto della provincia diventa una rappresentazione accusatoria molto dura verso, in realtà, l’intera nazione, dove si è perduto qualsiasi valore. Tutti i personaggi, pur rappresentando la deriva sociale nella quale si manifestano la mancanza di valori, la violenza, e la povertà intellettuale, hanno quasi miracolosamente conservato qualcosa che li rende ancora umani: una dimensione affettiva. Un film molto duro che si avvicina alla visione di Q. Tarantino, con meno sangue ma carico di quell’humor nero che lo caratterizza: razzismo, omofobia, prepotenza, violenza della polizia, disinteresse delle regole del vivere civile, sono gli elementi di cui si nutre questa piccola comunità.
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Un bel quadro, questo film, un bel quadro dell’impoverimento della piccola borghesia americana che vive ai margini, a Ebbing, ai confini del Missouri. Un angolo sperduto della provincia diventa una rappresentazione accusatoria molto dura verso, in realtà, l’intera nazione, dove si è perduto qualsiasi valore. Tutti i personaggi, pur rappresentando la deriva sociale nella quale si manifestano la mancanza di valori, la violenza, e la povertà intellettuale, hanno quasi miracolosamente conservato qualcosa che li rende ancora umani: una dimensione affettiva. Un film molto duro che si avvicina alla visione di Q. Tarantino, con meno sangue ma carico di quell’humor nero che lo caratterizza: razzismo, omofobia, prepotenza, violenza della polizia, disinteresse delle regole del vivere civile, sono gli elementi di cui si nutre questa piccola comunità. Dentro questo quadro si muove Mildred Hayes, una donna dura e determinata, senza paura e addolorata per l’uccisione e lo stupro di una figlia molto giovane. Mildred ha una grande idea, affittare tre enormi manifesti di una strada provinciale secondaria che porta al paese, sui quali scrive, “violentata mentre stava morendo”, “perché ancora nessun arresto?”, “Cosa sta facendo lo sceriffo Willoughby?”. Da quel momento si scatena nel paese una avversione da parte di molti (il sacerdote, la polizia, il dentista, i negozianti, il barista) concittadini, come non volessero “vedere” per sensi di colpa, un evento che li spaventa e li inquieta. Tutti sembra abbiano qualcosa da rimproverarsi, anche la stessa madre. La degenerazione della convivenza civile si confronta con la risolutezza di Mildred che riesce a contrastare l’imbecillità e la violenza dei suoi concittadini. Il bello del film è che tra questi rapporti frantumati (lei è separata dal marito che ora convive con una diciannovenne un po’ stupida) l’affettività non è del tutto perduta e sembra aleggiare quasi ad esprimere l’unica resistenza rimasta contro la stupidità generale. Molto bello il contrasto tra sentimenti forti, linguaggio scurrile e percezione del dolore e delle difficoltà altrui solo in apparenza negate. La tragica morte dello sceriffo lascia intravedere questa comprensione affettiva nelle lettere che lui stesso lascia alla moglie, a Mildred e al vice sceriffo. Il finale infatti esprime sorprendentemente il superamento di quella sentenza varie volte sentita “la rabbia genera altra rabbia”. Mildred insieme all’aiuto sceriffo, Dixon, che aveva quasi ucciso durante un incendio nella sede della polizia, sono in auto armati di un fucile e si chiedono se veramente ancora vogliono andare ad uccidere uno stupratore riconosciuto come presunto colpevole. L’ America provinciale arretrata culturalmente, carica di violenti pregiudizi razziali, claustrofobica chiusura mentale si manifesta prepotentemente non riuscendo però a sopraffare quella dimensione interna ancora rimasta umana e che forse non porterà a compimento la vendetta programmata. Claudio Ricciardi
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tmpsvita
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giovedì 1 marzo 2018
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un altro grande film da martin mcdonagh
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Martin McDonagh nonostante abbia realizzato davvero pochi film, appena due prima di questo (7 psicopatici e In Bruges), con ognuno di essi ha dimostrato di essere un grande regista, sinceramente il fatto che abbia lavorato "poco" mi dispiace un po' però meglio tre soli film ed ottimi che trenta mediocri.
Ed anche con questo "Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri" McDonagh riesce a svolgere un ottimo lavoro, anzi in questo caso lo si potrebbe promuovere a straordinario lavoro; non è infatti difficile definirlo il suo miglior film.
Un film molto potente, forte, anche abbastanza pesante ma comunque coinvolgente che riesce a raccontare una storia veramente incredibile in maniera molto credibile ed umana.
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Martin McDonagh nonostante abbia realizzato davvero pochi film, appena due prima di questo (7 psicopatici e In Bruges), con ognuno di essi ha dimostrato di essere un grande regista, sinceramente il fatto che abbia lavorato "poco" mi dispiace un po' però meglio tre soli film ed ottimi che trenta mediocri.
Ed anche con questo "Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri" McDonagh riesce a svolgere un ottimo lavoro, anzi in questo caso lo si potrebbe promuovere a straordinario lavoro; non è infatti difficile definirlo il suo miglior film.
Un film molto potente, forte, anche abbastanza pesante ma comunque coinvolgente che riesce a raccontare una storia veramente incredibile in maniera molto credibile ed umana.
Umana, potente ma allo stesso tempo anche un po' fredda e forse questo è uno dei pochissimi difetti che riesce ad attribuirgli, il regista infatti, probabilmente con il timore di esagerare ed infine realizzare un feel-good movie ha cercato il più possibile di non spingere troppo sull'emozione. Per quanto apprezzi ciò (i film strappalacrime non sono proprio il mio genere) devo dire che avrei preferito da parte sua una maggiore attenzione sui sentimenti, non fraintendetemi il film emoziona ma in alcuni momenti ho percepito una certa lontananza/freddezza del regista ed a causa della quale il film non riesce a spiazzare completamente lo spettatore né a farlo emozionare quanto avrebbe potuto.
Con tutto questo non voglio però screditare esageratamente la pellicola, si tratta comunque di un grande film, come ho detto nelle prime righe.
La regia, a parte ciò, è veramente notevole, soprattutto dal punto di vista più visivo e tecnico, le inquadrature sono, infatti, straordinarie: estremamente precise, pulite, suggestive. Alcune delle immagini presenti nel film sono davvero indimenticabili.
Indimenticabile è anche l'interpretazione della protagonista, Frances McDormand, attrice che apprezzo particolarmente e che in questo caso ha veramente dato il meglio di sé, è entrata perfettamente nella parte e riesce, grazie alle sue espressioni ed ai suoi sguardi incredibilmente convincenti, ad essere credibile come pochi sarebbero riusciti.
Inoltre sono rimasto senza parole nel vedere un Sam Rockwell così bravo, è sempre stato per me un attore difficile da apprezzare principalmente per il suo viso che non è mai riuscito ad andarmi a genio (nonostante l'abbia già apprezzato in "C'era una volta un'estate" mentre ancora devo vedere "Moon"), ma con questo film ho completamente cambiato idea, mi ha davvero sorpreso tantissimo.
Mentre di Woody Harrelson ho sempre pensato totalmente il contrario e con questo suo ruolo è interpretazione ha solamente riconfermato la sua bravura.
Una menzione speciale va alla sceneggiatura veramente straordinaria, accattivante, matura, tagliente e profonda.
Voto: 8,5/10
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gabriella
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venerdì 9 marzo 2018
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mildred va alla guerra
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Mildred è una madre in cerca di giustizia , una donna ferita, arrabbiata, avvelenata perchè dopo sette mesi dall'uccisione della figlia Angela, ancora non c'è un colpevole, da qui l'idea di affittare dei cartelloni pubblicitari lungo la strada di Ebbing in Missouri per sottolineare l'inettitudine della polizia , troppo impegnata a suo dire a picchiare i neri che indagare su un omicidio. I tre manifesti attirano l'attenzione dei media ma semina disappunto tra i concittadini, oltre , ovviamente delle forze dell'ordine, il cui sceriffo , lo stimato Willough si sia dato da fare per trovare il colpevole e continua a farlo, nonostante un cancro al pancreas in fase terminale e il suo vice, Dixon ( un Sam Rockwell incredibile)poliziotto violento , sfasciato, mammone e ubriacone che reagisce con mugugni e aggressività.
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Mildred è una madre in cerca di giustizia , una donna ferita, arrabbiata, avvelenata perchè dopo sette mesi dall'uccisione della figlia Angela, ancora non c'è un colpevole, da qui l'idea di affittare dei cartelloni pubblicitari lungo la strada di Ebbing in Missouri per sottolineare l'inettitudine della polizia , troppo impegnata a suo dire a picchiare i neri che indagare su un omicidio. I tre manifesti attirano l'attenzione dei media ma semina disappunto tra i concittadini, oltre , ovviamente delle forze dell'ordine, il cui sceriffo , lo stimato Willough si sia dato da fare per trovare il colpevole e continua a farlo, nonostante un cancro al pancreas in fase terminale e il suo vice, Dixon ( un Sam Rockwell incredibile)poliziotto violento , sfasciato, mammone e ubriacone che reagisce con mugugni e aggressività.E' un'umanità dolente in un'America intollerante e razzista, omofoba e bigotta quella che ci viene mostrata da Martin McDonagh, ma è anche un'umanità che svela inaspettatamente un cuore nel momento quando sembra perduta ogni speranza, che si rivela migliore sotto i lividi e le ammaccature e non ha paura a mostrarli. Mildred non è una madre esemplare, ha un rapporto teso con la figlia, è una donna divorziata cui l'ex marito scorazza con una diciannovenne, è una donna frustrata e stremata, ma è anche una donna che non si piange addosso e non arretra davanti a nulla, contro tutti e tutto, sola nella sua domanda che esige risposta, sola anche in quei brevi momenti che si lascia andare al pianto. Donna che non esita a dire ciò che pensa ( memorabile la scena con il prete), ma che tuttavia dimostra la sua fragilità e contraddizione ( la cena con il nano e il suo evidente disagio)
Le interpretazioni dei protagonisti sono magnifiche a cominciare da Frances Mc Dormand con il suo viso tutto spigoli, i capelli strattonati all'indietro, la camminata maschile il linguaggio scurrile che reprime qualsiasi forma di femminilità, ma anche gli altri interpreti che poi sono i già citati Woody Harrelson e Sam Rockwell formano un trio di notevole bravura in questa dark comedy dove si strappa anche una risata.... a denti stretti, perchè subito arriva un pugno nello stomaco , c'è dolore e sofferenza che convivono con cinismo e ingiustizia, ma mai con rassegnazione.
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carloalberto
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domenica 18 marzo 2018
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tre personaggi in cerca d'autore
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Harrelson, lo sceriffo, McDormand, la madre, Rockwell, l’agente, un trio di attori drammatici che stupisce per bravura e rende la pellicola interessante nonostante una storia dalla costruzione esile e poco convincente e a tratti surreale che lascia spazio, proprio per questo, a una meravigliosa prova attoriale. La storia di una famiglia allo sbando come tante nella provincia di un’America ancora contadina dove la povertà di spirito e materiale vanno a braccetto, il paesotto con lo sceriffo malato terminale che accarezza moglie e cavalli e scrive lettere testamento-guida prima di morire suicida, l’agente di polizia col complesso edipico ottuso e violento ma buono, la madre eroina dura e irriverente in cerca di giustizia a tutti i costi per la figlia assassinata, il fucile nel portabagagli nell’auto diretta verso il nulla per la vendetta impossibile, l’impotenza, i tre manifesti, la tv del dolore che irrompe, la violenza fine a se stessa, qualche risata, in un film che lascia il vuoto ed è il vuoto voluto, che i personaggi trasmettono, personaggi interpretati da attori che avrebbero ben potuto rappresentare, con gli stessi effetti drammatici, una storia diversa, più realistica e verosimile, per mettere a nudo finalmente quel fantasma ineffabile che è la società americana, almeno nella sua versione country.
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carloalberto
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lunedì 19 marzo 2018
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tre personaggi in cerca d'autore
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McDormand, la madre, Harrelson, lo sceriffo, Rockwell, l’agente, un trio di attori drammatici che stupisce per bravura e rende la pellicola interessante nonostante la sceneggiatura, dalla costruzione esile, poco convincente e a tratti surreale e uno script ovvio e spesso banale, che lascia spazio, proprio per questo, a una meravigliosa prova attoriale. Il modo di raccontare riflette la propensione alla regia teatrale dell’autore, Martin McDonagh, e così la finzione letteraria dei personaggi ha il sopravvento, nella trama intessuta dal vissuto dei tre protagonisti, sul contenuto visivo, che si approssima, invece, realisticamente alla vita di un qualsiasi paesino della provincia americana. Tre storie si intrecciano: una famiglia allo sbando, come tante, in un’America ancora contadina con atmosfere da vecchio west, la madre, eroina dura e irriverente, in cerca di giustizia a tutti i costi per la figlia assassinata ed il figlio superstite che vorrebbe nonostante tutto la normalità, lo sceriffo malato terminale che accarezza moglie e cavalli e scrive lettere testamento-guida prima di morire suicida, l’agente di polizia col complesso edipico ottuso e violento ma in fondo buono e ansioso di riscatto.
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McDormand, la madre, Harrelson, lo sceriffo, Rockwell, l’agente, un trio di attori drammatici che stupisce per bravura e rende la pellicola interessante nonostante la sceneggiatura, dalla costruzione esile, poco convincente e a tratti surreale e uno script ovvio e spesso banale, che lascia spazio, proprio per questo, a una meravigliosa prova attoriale. Il modo di raccontare riflette la propensione alla regia teatrale dell’autore, Martin McDonagh, e così la finzione letteraria dei personaggi ha il sopravvento, nella trama intessuta dal vissuto dei tre protagonisti, sul contenuto visivo, che si approssima, invece, realisticamente alla vita di un qualsiasi paesino della provincia americana. Tre storie si intrecciano: una famiglia allo sbando, come tante, in un’America ancora contadina con atmosfere da vecchio west, la madre, eroina dura e irriverente, in cerca di giustizia a tutti i costi per la figlia assassinata ed il figlio superstite che vorrebbe nonostante tutto la normalità, lo sceriffo malato terminale che accarezza moglie e cavalli e scrive lettere testamento-guida prima di morire suicida, l’agente di polizia col complesso edipico ottuso e violento ma in fondo buono e ansioso di riscatto. Sullo sfondo: i tre manifesti nella strada di campagna, una pletora di comparse dalla caratterizzazione appena accennata, la tv del dolore che irrompe, la violenza fine a se stessa, qualche scena grottesca che suscita il riso. Nel finale il fucile riposto nel portabagagli dell’auto trasmette il senso di impotenza per un’impossibile quanto inutile vendetta e lascia nello spettatore un senso di vuoto. E’ un vuoto voluto? Forse. Quel che è certo è che personaggi così magnificamente resi vivi avrebbero ben potuto rappresentare, con gli stessi effetti drammatici e toni più alti, una storia diversa, più verosimile, per alzare il velo, almeno in parte, su quella chimera ineffabile che è la società americana nella sua versione country.
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lollomoso
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giovedì 22 marzo 2018
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bel film
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Film teso, violento, tagliente, che da un lato mostra il marcio che ogni uomo mostra nelle relazioni umane e d'altro l'affinità che si può creare tra "nemici".
Un film dove non esiste bene e male, buoni e cattivi, bianco e nero; una lotta tra pari, tra persone che sono allo stesso tempo vicine e lontane.
Presente un umorismo fortemente nero, a tratti grottesco. Personaggi non introdotti frontalmente, ma lanciati nella mischia, rapresentati dalle azioni, carattizzarti fulgidamente.
In conclusione un Film che ti colpisce, ti emoziona, ti fa ridere, un Film che merita l'attenzione che ha.
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laurence316
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giovedì 29 marzo 2018
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tre manifesti per raccontare l'america
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Per una volta, gli elogi della critica statunitense si sono rivolti ad un film che li merita davvero.
3° lungometraggio di McDonagh (dopo i già promettenti In Bruges e 7 psicopatici), Tre manifesti a Ebbing, Missouri è difatti uno dei migliori film della stagione.
Un quasi capolavoro graziato dall’ottima scrittura del regista (che si rivela capace di passare con disinvoltura dai registri della commedia a quelli del dramma più dolente), e, in particolare, dalle eccellenti interpretazioni del cast (bravissima la McDormand, da sempre una garanzia, ma Harrelson e Rockwell non le sono certo da meno, e specie quest’ultimo si dimostra in grado di tratteggiare con incredibile bravura un personaggio apparentemente a rischio cliché, eppure umano, complesso, contrastato, reale, che non mancherà di imprimersi nella memoria degli spettatori).
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Per una volta, gli elogi della critica statunitense si sono rivolti ad un film che li merita davvero.
3° lungometraggio di McDonagh (dopo i già promettenti In Bruges e 7 psicopatici), Tre manifesti a Ebbing, Missouri è difatti uno dei migliori film della stagione.
Un quasi capolavoro graziato dall’ottima scrittura del regista (che si rivela capace di passare con disinvoltura dai registri della commedia a quelli del dramma più dolente), e, in particolare, dalle eccellenti interpretazioni del cast (bravissima la McDormand, da sempre una garanzia, ma Harrelson e Rockwell non le sono certo da meno, e specie quest’ultimo si dimostra in grado di tratteggiare con incredibile bravura un personaggio apparentemente a rischio cliché, eppure umano, complesso, contrastato, reale, che non mancherà di imprimersi nella memoria degli spettatori).
Il ritmo è sostenuto, ma implacabile, e su tutto, anche sulle parentesi da commedia che talvolta arrivano pure a strappare una risata, aleggia un’ineludibile, persistente sensazione di malessere e soprattutto tensione e inquietudine.
Ovviamente, non è la prima volta che vengono mostrati l’orrore o quantomeno la paura, la rabbia che si celano dietro la tranquilla facciata dell’oziosa provincia americana profonda, ma raramente l’affresco è riuscito così bene. Pur nel suo minimalismo quasi teatrale (non che sia necessariamente un male), Tre manifesti a Ebbing, Missouri si dimostra in grado di emozionare, e si rivela un’opera cinematografica perfettamente riuscita. Un ritratto magistrale di vite perdute, solitudini e dolori quasi insostenibili, di personaggi caratteristici ma mai stereotipici, di ambienti comuni, volendo già visti, e che pur si riesce a far rinascere a nuova vita.
Forse talvolta si rischia di scivolare nel cliché, come già accennato in precedenza, ma il regista-sceneggiatore è sempre abile a cavarsene fuori per mezzo di svolte inaspettate e improvvisi mutamenti nei comportamenti dei personaggi (in particolare nel caso di Dixon che dal trasmettere quasi ribrezzo arriva a smuovere fin compassione).
E, con un finale a suo modo poetico, il film non intende spiegare né giustificare nulla, ma porta a riflettere, ben oltre la conclusione dei titoli di coda.
Candidato a 7 premi Oscar, conquista, più che meritatamente, quelli alla miglior attrice protagonista e al miglior attore non protagonista (Rockwell).
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elgatoloco
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lunedì 31 dicembre 2018
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mc dormand fa riflettere
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Si può forse(volendo eccepire)rimproverare a Martin Mc Donagh per questo"Three Billboards Outside Ebbing, Missouri"(2017), in quanto la violenza, assente teoricamente, diremmo, dalla "visuale ad ampio spettro"del regista-autore, rientra quasi dalla finestra, pur se in forma evidentemente critica, come in tutte le altre opere del regista-autore teatrale e filmico irlandese. Per il resto, a differenza di molte opere cinematografiche in circolazione, "Three Billboards"ha il grande merito di far riflettere su grandi temi, come la vendetta(la madre ancora "insultata" dal ricordo della figlia stuprata e uccisa da ignoto assassino, mai seriamente cercato, che fa affigggere i famosi manifesti del titolo), la malattia, la morte(il suicidio di un agente di polizia, affetto da una malattia in fase terminale, l'unico onesto in un dipartimento di polizia altrimenti-Missouri-dominato da un profondo razzismo verso gli Afroamericani, ma anche i bianchi in qualche modo"diversi"dalla normalità piccoloborghese), il senso di colpa(un agente in qualche modo"sospetto", affetto da problemi di alcoolismo, che si rende responsabile di azioni violente, ma non è colpevole dello stupro-omicidio della ragazza).
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Si può forse(volendo eccepire)rimproverare a Martin Mc Donagh per questo"Three Billboards Outside Ebbing, Missouri"(2017), in quanto la violenza, assente teoricamente, diremmo, dalla "visuale ad ampio spettro"del regista-autore, rientra quasi dalla finestra, pur se in forma evidentemente critica, come in tutte le altre opere del regista-autore teatrale e filmico irlandese. Per il resto, a differenza di molte opere cinematografiche in circolazione, "Three Billboards"ha il grande merito di far riflettere su grandi temi, come la vendetta(la madre ancora "insultata" dal ricordo della figlia stuprata e uccisa da ignoto assassino, mai seriamente cercato, che fa affigggere i famosi manifesti del titolo), la malattia, la morte(il suicidio di un agente di polizia, affetto da una malattia in fase terminale, l'unico onesto in un dipartimento di polizia altrimenti-Missouri-dominato da un profondo razzismo verso gli Afroamericani, ma anche i bianchi in qualche modo"diversi"dalla normalità piccoloborghese), il senso di colpa(un agente in qualche modo"sospetto", affetto da problemi di alcoolismo, che si rende responsabile di azioni violente, ma non è colpevole dello stupro-omicidio della ragazza). Quasi un dramma-tragedia, anzi meglio un dramma in cui e sul quale la tragedia incombe continuamente, irrompendo nella stessa. La grandi questioni etiche vengono affrontate, tematizzate, ma(come è corretto)non"risolte", in quanto ciò sarebbe scorretto, volendo imporre soluzioni a chi assiste all'opera. Interpreti eccelsi, da Frances Mc Dormand a Woody Harrelson a Sam Rockwell, che danno corpo ai personaggi sopra citati, a molti/e altri/e. Un film di quelli, appunto, che, cosa ormai rarissima, sanno far riflettere... El Gato
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