jacopo b98
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giovedì 2 luglio 2015
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un film possente e violento, che scava nell'orrore
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Un carrista veterano (Pitt), in seguito alla morte di uno degli uomini della sua squadra storica, si deve prendere la responsabilità di insegnare al giovane Norman (Lerman) il mestiere del soldato e l’orrore della guerra. Per la squadra di carristi inizia allora un viaggio all’inferno, che cambierà ognuno dei protagonisti in maniera diversa. Ayer ha messo in immagini la sceneggiatura da lui scritta e ne ha tratto un film di guerra che è solito e insolito allo stesso tempo. Di solito Fury ha parecchio: un po’ di patriottismo di serie B, la costruzione drammaturgica (molto simile a quella del Soldato Ryan di Spielberg), ecc. Ma ha anche parecchio di nuovo ed insolito e, per dirla in altre parole, originale: l’approfondimento dei personaggi, l’ambientazione claustrofobica, il raccontare una “non storia”, che è solo un “pezzo di guerra” qualsiasi, il realismo assoluto di una messa in scena aggressiva e possente… Insomma Fury, pur partendo da una costruzione non innovativa riesce, a suo modo, a guadagnarsi il suo posto d’onore nel pantheon dei film di guerra.
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Un carrista veterano (Pitt), in seguito alla morte di uno degli uomini della sua squadra storica, si deve prendere la responsabilità di insegnare al giovane Norman (Lerman) il mestiere del soldato e l’orrore della guerra. Per la squadra di carristi inizia allora un viaggio all’inferno, che cambierà ognuno dei protagonisti in maniera diversa. Ayer ha messo in immagini la sceneggiatura da lui scritta e ne ha tratto un film di guerra che è solito e insolito allo stesso tempo. Di solito Fury ha parecchio: un po’ di patriottismo di serie B, la costruzione drammaturgica (molto simile a quella del Soldato Ryan di Spielberg), ecc. Ma ha anche parecchio di nuovo ed insolito e, per dirla in altre parole, originale: l’approfondimento dei personaggi, l’ambientazione claustrofobica, il raccontare una “non storia”, che è solo un “pezzo di guerra” qualsiasi, il realismo assoluto di una messa in scena aggressiva e possente… Insomma Fury, pur partendo da una costruzione non innovativa riesce, a suo modo, a guadagnarsi il suo posto d’onore nel pantheon dei film di guerra. Questo grazie anche ad un cast sapientemente scelto e assortito: Pitt non aveva mai posseduto una tale intensità e anche tutti gli altri (Lerman, LaBoeuf, Peña e Bernthal) ci offrono performance che volenti o nolenti rimangono impresse per la loro forza, la loro fisicità estrema e la loro tremenda violenza. Fotografia superba di Roman Vasyanov, musiche da Oscar di Steven Price. Oltre 200 milioni di incasso mondiale.
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johnny123
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domenica 21 giugno 2015
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salvate il soldato ryan è ancora lontano
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C'era chi lo paragonava a Salvate il soldato Ryan. NO, non ci siamo. Manca di mordente e di tensione. Il finale diventa stile Rambo. Buon film ma niente di più
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lancidrea77
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sabato 20 giugno 2015
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altro fiasco per brad
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voto 4. 5 , 2 ore di noia e banalita... i buoni sparano col rosso i crucchi in verde fosforescente. purtroppo nn arriva mai ioda e i suoi gedi con le spase laser ad aiutarli...
che dire? brad sei a 4 fiaschi su gli ultimi 4 film che ho visto,...
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(di marx821966)
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marsce
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sabato 20 giugno 2015
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improbabile e feroce epopea dei soliti eroi usa
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Ennesima occasione americana mancata per ridare veridicità agli eventi bellici. Peccato la storia c'era il cast e i costumi pure, ma i soliti americani che ammazzano tutti non reggono più, specie dopo "Salvate il soldato Rayan". Risibile tutta la parte finale in cui i protagonisti chiusi dentro un tank bloccato da una mina fanno una carneficina assurda di soldati tedeschi che attaccano il carro all'arma bianca invece di sparargli con le armi anticarro di cui si vede bene sono dotati. Addirittura un cecchino dopo aver preso lungamente la mira da distanza ravvicinata riesce a colpire per tre volte Brad Pitt senza ucciderlo. E dire che il bellone biondo ad ogni raffica ne aveva immancabilmente ammazzati una decina.
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Ennesima occasione americana mancata per ridare veridicità agli eventi bellici. Peccato la storia c'era il cast e i costumi pure, ma i soliti americani che ammazzano tutti non reggono più, specie dopo "Salvate il soldato Rayan". Risibile tutta la parte finale in cui i protagonisti chiusi dentro un tank bloccato da una mina fanno una carneficina assurda di soldati tedeschi che attaccano il carro all'arma bianca invece di sparargli con le armi anticarro di cui si vede bene sono dotati. Addirittura un cecchino dopo aver preso lungamente la mira da distanza ravvicinata riesce a colpire per tre volte Brad Pitt senza ucciderlo. E dire che il bellone biondo ad ogni raffica ne aveva immancabilmente ammazzati una decina. Risibile e improbabile. Belle le ricostruzioni e minuziosa la ricerca dei dettagli. Da ricordare solo l'entrata in scena di un autentico carro Tigre e la battaglia seguente, improbabile anche quella, ma almeno avvincente. Fumettone anni Sessanta.
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thief
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venerdì 19 giugno 2015
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gli ideali sono pacifici, la storia è violenta
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Fury, un racconto ( non ho trovato la storicità di questa vicenda come è raccontata ) che raviva il lato più oscuro della guerra, dove non vi era rimasto più alcun residuo di umanità tra gli alleati e i nazisti, che resistevano alla lenta avanzata degli americani. Viene cosi a crearsi una situazione di violenza esasperata, che David Ayer mette in scena usando il carrarmato come testa d'ariete per sfondare i dubbi di chiunque pensi che la guerra, specilmente la fine, non sia stata di una disumanità assurda. I nemici vengono uccisi tutti, se possibile, e giustiziati al momento, anche solo per spiegare che cosa è la guerra a un ragazzino esitante.
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Fury, un racconto ( non ho trovato la storicità di questa vicenda come è raccontata ) che raviva il lato più oscuro della guerra, dove non vi era rimasto più alcun residuo di umanità tra gli alleati e i nazisti, che resistevano alla lenta avanzata degli americani. Viene cosi a crearsi una situazione di violenza esasperata, che David Ayer mette in scena usando il carrarmato come testa d'ariete per sfondare i dubbi di chiunque pensi che la guerra, specilmente la fine, non sia stata di una disumanità assurda. I nemici vengono uccisi tutti, se possibile, e giustiziati al momento, anche solo per spiegare che cosa è la guerra a un ragazzino esitante. L'azione distruttiva ma organizzata diventa, in questo caso, un progetto di cinema e una lettura storica, che bene o male ricorda quella dei Novanta, riassumibile nel vecchio detto: era un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo. Non tocca ai 'critici', forse, dire se va bene così e se le cose fossero un po' più complicate di come ce le racconta Ayer. Però posso dire che il film è carico di una violenza sfrontata come se volesse ricordarci come è stata veramente la guerra, lasciando da parte i libri di storia, dove vengono raccontati solo le cause e le conseguenze, dove delle migliaia di storie simili a fury, non vi è traccia. Sono passati anni dalla fine della seconda guerra però ancora oggi mi chiedo cosa abbia spinto cositanta resistenza tedesca a combattere con tanta forza anche quando ormai la sorti del conflitto erano gia state decise. Come si poteva reclutare i bambini.. ( questo fatto spesso e tralasciato dai libri di scuola) ed impiccare chi non lo permetteva? Arrendersi era cosi orribile o forse era meglio uccidere quei ragazzi che volevano solo tornare a casa; con le ultime forze o suicidarsi. Non so, non è facile descrivere un periodo cosi orribile della storia. Però Ayer, comunque, ha messo in piedi un film forte e dignitoso, lasciando anche spazio, nella paradossale conclusione, a un gesto di carità imprevista.
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mrcferr
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giovedì 18 giugno 2015
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un occasione sprecata per un grande blockbuster
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produzione multimilionaria che permette un'estetica perfetta e scene d'azione girate con gran stile. purtroppo il fine commerciale è fin troppo evidente con qualche scena reazionaria americana, altre che lasciano piuttosto perplessi, cliquè, e un doppiaggio italiano e interpretazioni (in particolare quella di brad pitt) che lasciano spesso parecchio a desiderare. nota particolare ai capelli sempre immacolati di Brad in piena guerriglia. Difficile che non mi piaccia un film sulla WW2, e questo non fallisce certo in intrattenimento.
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catcarlo
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giovedì 18 giugno 2015
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fury
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Il fallimento del distributore originario (Moviemax) ha portato in sala in un periodo non particolarmente felice questo solido film di guerra malgrado la presenza di una stella di prima grandezza come Brad Pitt. Scritto e diretto dallo sceneggiatore David Ayer, che dietro alla macchina da presa c’è stato solo una manciata di volte, rivolge alla guerra uno sguardo manicheo di chiara impronta yankee, ma mette bene in chiaro che il mestiere di uccidere – i personaggi si riferiscono sempre al combattimento come a un lavoro - è sporco e cattivo (ma qualcuno lo deve pur fare). In merito, le carte sono già in tavola dalla prima scena, una delle più belle dell’intera pellicola, dove un ufficiale tedesco attraversa un desolato campo di battaglia su di un cavallo bianco finchè un soldato americano salta fuori da un tank e lo uccide con il coltello.
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Il fallimento del distributore originario (Moviemax) ha portato in sala in un periodo non particolarmente felice questo solido film di guerra malgrado la presenza di una stella di prima grandezza come Brad Pitt. Scritto e diretto dallo sceneggiatore David Ayer, che dietro alla macchina da presa c’è stato solo una manciata di volte, rivolge alla guerra uno sguardo manicheo di chiara impronta yankee, ma mette bene in chiaro che il mestiere di uccidere – i personaggi si riferiscono sempre al combattimento come a un lavoro - è sporco e cattivo (ma qualcuno lo deve pur fare). In merito, le carte sono già in tavola dalla prima scena, una delle più belle dell’intera pellicola, dove un ufficiale tedesco attraversa un desolato campo di battaglia su di un cavallo bianco finchè un soldato americano salta fuori da un tank e lo uccide con il coltello. Scopriamo così che il sergente ‘Wardaddy’ Collier (Pitt) e il suo equipaggio sono gli unici scampati allo scontro che non abbiamo visto e ha lasciato innumerevoli cadaveri sul terreno coperto di fango. La mota, l’umidità e il cielo cupo sono una costante di un film in cui non brilla un raggio di sole: la fotografia di Roman Vasyanov riprende un mondo grigio e dai riflessi metallici che è in sintonia assai di più con l’animo dei personaggi che con la primavera incombente. L’azione si svolge infatti nelle ultime settimane di guerra già in territorio tedesco (anche se le riprese sono state fatte in Inghilterra) quando la Germania è sì vinta, ma non ha ancora smesso di resistere: sostituito un mitragliere defunto con l’imberbe Norman (Logan Lerman), il carro di Wardaddy continua a combattere fino ad arrivare all’ultima missione. Nel frattempo, il sergente si trova ‘classicamente’ costretto a svezzare il pivellino con le cattive, quando lo costringe a uccidere un prigioniero, e con le buone come nella lunga parentesi nella casa abitata da due donne tedesche. E’ quest’ultimo una sorta di intermezzo di immaginata tranquillità – brutalmente interrotta dall’irruzione del resto dell’equipaggio – che si trova quasi a metà della storia e ne collega due parti di qualità disuguale sottolineando allo stesso tempo la struttura quasi teatrale della prima. Il film, infatti, si svolge per lunghi tratti in spazi ristretti - a partire dal più ristretto di tutti, ovvero l’interno del carro armato - e, fino alla battaglia finale, si occupa soprattutto di interazioni fra i caratteri dei diversi personaggi separate da brevi quadri di collegamento. In questi segmenti, i dialoghi si mantengono opportunamente asciutti e la durezza della vita militare, specie in un territorio ostile, ne esce descritta con notevole efficacia. Il salto tra questo modo di raccontare e quello utilizzato per l’ultima missione lascia perciò meravigliati e non in positivo: se la scena dello scontro con il Panzer, per quanto forzata, è comunque girata con i tempi giusti e non stride troppo, la lunga (troppo) sequenza finale sembra incastrata a forza sul resto della vicenda. In pratica, si tratta di una variazione sull’indimenticabile parte conclusiva de ‘Il mucchio selvaggio’: Wardaddy e soci, inchiodati nello Sherman ormai immobile, fanno fronte a un numero imprecisato di nemici che assaltano (assai poco razionalmente) all’arma bianca cadendo come mosche: i tedeschi, come gli indiani e i messicani, sono spersonalizzati e cattivi, oltre che un pochino tonti. Con ogni probabilità a Peckinpah sarebbero piaciuti la coreografia e il montaggio delle scene (Jay Cassidy e Dodi Dorn), ma la retorica a stelle e strisce torna a far capolino in modo fastidioso con le immancabili citazioni bibliche e chissà se vorrà dire qualcosa che a dare un’accelerata alla faccenda sia un cecchino (aka sniper, il film negli Stati Uniti è uscito prima di quello di Eastwood). Sicuramente, si sente la nostalgia per il tono molto più basso di una prima ora occupata soprattutto dalla descrizione della brutalità che può esprimere l’essere umano in guerra: a rendere al meglio tale descrizione contribuisce la buona prova d’insieme degli attori e chissà quanto ha influito l’addestramento pre-riprese. Pitt si mantiene sotto le righe nel disegnare Wardaddy, facendo anche dimenticare che ha almeno vent’anni di troppo per il ruolo, mentre Lerman sa rendere la perdita dell’innocenza di Norman anche se in ‘Noi siamo infinito’ mi era piaciuto di più. Accanto a loro sul tank ci sono il pio Boyd di un poco riconoscibile LaBeouf, il rude Grady interpretato da Bernthal e il Gordo con cui Michael Peña garantisce la quota multiculturale: il loro è un bel lavoro di squadra, proprio come quello dell’equipaggio e questo è certo uno dei pregi del lavoro di Ayer. Anche considerando gli imperdonabili traccianti che trasformano fucili e cannoni in armi laser danneggiando in parte le belle sequenze di battaglia, i pregi di ‘Fury’ finiscono così per prevalere sui difetti in due ore di intrattenimento di discreto livello che si concludono con una bella raccolta di immagini d’epoca sui titoli di coda.
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marcomponti
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giovedì 18 giugno 2015
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buon film bellico che perde credibilità nel finale
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Seconda Guerra Mondiale. Gli americani avanzano inesorabili all’interno della Germania nazista, incontrando tuttavia una forte resistenza da parte dei tedeschi. Il sergente carrista Don Collier (Pitt) e l’equipaggio del suo carro (nome di battaglia “Fury”), con il quale ha combattuto per 3 anni in giro per il mondo, dall’Africa alla Normandia, perde in combattimento il copilota/mitragliere. Come sostituto il comando gli invia il giovane Norman, un dattilografo, reclutato otto settimane prima, che non ha mai visto il fronte né ucciso un uomo, per il quale arriva il momento del battesimo del fuoco. Seppur riluttante a prendere parte alla guerra, il ragazzo si farà coinvolgere rapidamente, sotto la rude, ma paterna guida di Don, fino all’ultima eroica missione.
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Seconda Guerra Mondiale. Gli americani avanzano inesorabili all’interno della Germania nazista, incontrando tuttavia una forte resistenza da parte dei tedeschi. Il sergente carrista Don Collier (Pitt) e l’equipaggio del suo carro (nome di battaglia “Fury”), con il quale ha combattuto per 3 anni in giro per il mondo, dall’Africa alla Normandia, perde in combattimento il copilota/mitragliere. Come sostituto il comando gli invia il giovane Norman, un dattilografo, reclutato otto settimane prima, che non ha mai visto il fronte né ucciso un uomo, per il quale arriva il momento del battesimo del fuoco. Seppur riluttante a prendere parte alla guerra, il ragazzo si farà coinvolgere rapidamente, sotto la rude, ma paterna guida di Don, fino all’ultima eroica missione.
Il film parte bene, con un ritmo incalzante, incentrato sulla figura dei carristi, soldati spesso dimenticati nei film del genere, ma non per questo meno valorosi (un carrista sopravviveva in media 6 settimane durante il conflitto e spesso moriva bruciato vivo dentro il proprio carro) e martella fin dalle prime scene sulle metafore carro/casa e equipaggio/famiglia, dove si litiga, si scherza, ci conforta, ci si protegge. La narrazione segue il percorso di crescita di Norman, inizialmente contrario a prendere parte al conflitto, poi costretto e spronato dagli eventi a “diventare uomo” e ad iniziare a uccidere i nazisti senza pietà. Il mutamento di Norman è repentino, asettico, come a sottolineare quanto la guerra sia in grado di cambiare l’uomo rapidamente. In questo contesto spicca la figura di Don “Wardaddy” Collier, il sergente interpretato da Brad Pitt, duro, gagliardo e gloriosamente bastardo (ma meno riuscito del tenente Aldo Raine del film di Tarantino), che con un atteggiamento duro ma protettivo lo inizierà alla guerra, all’amore, alla fratellanza, all’eroismo.
Dan Ayer si avventura per la prima volta sul terreno dei film di guerra e produce, dirige e sceneggia questo buon lungometraggio, attingendo a mani basse da Spielberg e dai film del genere, ma, nonostante alcune scene memorabili (su tutte la scena nella casa delle due tedesche, ma anche quella della battaglia contro il Tiger tedesco, con i carri che si affrontano come cavalieri medievali con cannoni al posto delle lance) pecca sulla sceneggiatura, dopo gli ottimi risultati di Training Day End of Watch.
Infatti, pur scimmiottando il finale di Salvate il Soldato Ryan (la difesa della posizione a qualunque costo, la scarsità di munizioni, il sacrificio estremo) il regista non riesce a darle quell’intensità ed espressività del film di Spielberg, trasformandola in una lunga e spettacolare battaglia, dove gli eroi riescono fino all’ultimo, non si sa bene come, a tenere sotto scacco e a decimare un intero battaglione di SS, che seppur equipaggiato con armi anticarro non riesce ad aver la meglio di un carro danneggiato e impossibilitato a muoversi; il tutto condito da scene al limite del fantascientifico, (la ricerca delle munizioni fuori dal carro o l’esplosione delle granate dentro il carro che lasciano miracolosamente integri i corpi dei soldati) cosa che i puristi del genere non tollereranno. Ma anche per i più inclini a queste “americanate” risulterà indigesta l’inverosimiglianza e l’autoesaltazione del finale, che fa perdere credibilità e quindi la drammaticità alla pellicola, macchiando nel finale un buon film di guerra.
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paolo salvaro
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giovedì 18 giugno 2015
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di nuovo sul fronte con hollywood
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Fury ci catapulta ancora una volta nel pieno della seconda guerra mondiale, conflitto sul quale è già stato detto francamente tutto. Il regista David Ayer, fin qui assai mediocre pur avendo sempre potuto lavorare con fior fior di attori professionisti, ha tirato fuori dal cilindro senza dubbio il suo film migliore, mettendo d'accordo negli elogi buona parte sia della critica che del pubblico. Tuttavia ciò è stato reso possibile più dalla sua furbizia che dal suo talento: per realizzare questa pellicola, Ayer infatti ha fatto l'occhialino ad un sacco di famosi film bellici del passato, riproponendo nel modo meno pesante possibile vecchi clichè triti e ritriti, visti dozzine di volte in prodotti di questo tipo.
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Fury ci catapulta ancora una volta nel pieno della seconda guerra mondiale, conflitto sul quale è già stato detto francamente tutto. Il regista David Ayer, fin qui assai mediocre pur avendo sempre potuto lavorare con fior fior di attori professionisti, ha tirato fuori dal cilindro senza dubbio il suo film migliore, mettendo d'accordo negli elogi buona parte sia della critica che del pubblico. Tuttavia ciò è stato reso possibile più dalla sua furbizia che dal suo talento: per realizzare questa pellicola, Ayer infatti ha fatto l'occhialino ad un sacco di famosi film bellici del passato, riproponendo nel modo meno pesante possibile vecchi clichè triti e ritriti, visti dozzine di volte in prodotti di questo tipo. Dicendo questo comprendo infatti chi ha arricciato il naso durante la proiezione, vedendo fusi insieme lavori di ben diverso livello e che di per se non c'entrererebbero assolutamente nulla gli uni con gli altri: un po' Pearl Harbor (con la storia d'amore piatta e fuori luogo), un po' Salvate il soldato Ryan (con le analogie tra il personaggio di Brad Pitt e quello di Tom Hanks e del rapporto tra i due ed il bravo ragazzo della situazione), un po' Full Metal Jacket (con l'orrore della guerra che cambia la personalità di chi vi si trova coinvolto) ed un po' The Hurt Locker (con i soldati che si abituano così tanto a quella vita da non riuscire più a farne a meno, arrivando ad amare tutto questo), il tutto ben shakerato per qualche mese e ciò che ne esce è per l'appunto Fury. Dicevamo, un frullato di vecchie situazioni il cui sapore può piacere come anche no, ma francamente parlando, i motivi ricorrenti del genere sono fissi e stabili ormai da diverso tempo e sicuramente da un regista di questo livello non ci si poteva certo aspettare qualcosa di rivoluzionario.
(SPOILER) Il giudizio potrebbe essere negativo soprattutto per il finale: obiettivamente, vedere un solo carro armato fare a pezzi un intero battaglione di SS super addestrate che perdono almeno la metà degli uomini prima di riuscire a riorganizzarsi ed a contrattaccare, è ai limiti del verosimile e della licenza artistica. Così come lo sono la scena del combattimento tra tank, che risulta a tratti involontariamente comica e confusionaria, e quella in cui il soldato nemico decide di risparmiare la vita del protagonista. Dopo aver passato due ore a ricordare quanto la guerra sia brutta, violenta e come in essa non vi sia spazio per compassione e pietà, quella è una contraddizione bella e buona.
Il mio giudizio invece è positivo soprattutto per lo strano ma riuscito ed interessante mix che è stato effettuato in sede di casting: abbiamo Brad Pitt che non ha certo bisogno di presentazione, il quale quando è in giornata dimostra di essere un attore discreto; Logan Lerman che dopo aver recitato in Percy Jackson, I tre moschettieri e Noi siamo infinito si trovava di fatto ad un ruolo drammatico determinante per la sua successiva carriera; Jon Bernthal che dopo aver annientato un'orda di zombie dietro l'altra in The Walking Dea, negli ultimi anni si sta calando deciso nel mondo del cinema; Shia LaBeouf, nome arcinoto più per i trascorsi dell'attore fuori dal set che per interpretazioni memorabili, assai strano vederlo nei panni dello zelante e religioso marine; Michael Pena, che dopo una carriera passata a fare da attore-spalla negli ultimi anni sta acquisendo sempre maggior visibilità. Un gruppo di attori per niente compatibili, il quale sembrava essere destinato a fallire nel peggiore dei modi e che invece risulta ben equilibrato sullo schermo. Equilibrio è a mio avviso la parola chiave che rende buono questo film: non è nè troppo melenso, nè troppo violento, nè troppo sanguinoso, nè la musica troppo invadente. Sembra orchestrato a regola d'arte per poter piacere a tutti e probabilmente così è. David Ayer è sembrato qui ispirato come non mai ed ha dato vita ad un prodotto a mio avviso non disprezzabile. Accendo tre stelle e tutto sommato lo consiglio.
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[+] occhiolino ....
(di paolo salvaro)
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carlo145
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mercoledì 17 giugno 2015
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l'orrore del lato oscuro
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"Sei salvo tu? Sei stato salvato?" chiede Shia La Beouf ("Bibbia") al nuovo arrivato nell'equipaggio del carro armato Fury, comandato da Brad Pitt. In tutto questo orrore, e se ne vede come mai se n'era visto nei film di guerra, qualcuno si chiede ancora se c'è spazio per una qualche forma di significato religioso in tutto quello che sta accadendo. Tutto quello che c'hanno insegnato a scuola, durante le ore di religione, che non si deve uccidere, né dal punto di vista "civile" né da quello religioso, dove è andato a finire?.... quei ragazzi cresciuti nell'immensa provincia americana, abituati al lavoro dei campi o ad altre attività abituali dell'uomo di pace, improvvisamente sono costretti ad uccidere, a massacrare o a venire uccisi.
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"Sei salvo tu? Sei stato salvato?" chiede Shia La Beouf ("Bibbia") al nuovo arrivato nell'equipaggio del carro armato Fury, comandato da Brad Pitt. In tutto questo orrore, e se ne vede come mai se n'era visto nei film di guerra, qualcuno si chiede ancora se c'è spazio per una qualche forma di significato religioso in tutto quello che sta accadendo. Tutto quello che c'hanno insegnato a scuola, durante le ore di religione, che non si deve uccidere, né dal punto di vista "civile" né da quello religioso, dove è andato a finire?.... quei ragazzi cresciuti nell'immensa provincia americana, abituati al lavoro dei campi o ad altre attività abituali dell'uomo di pace, improvvisamente sono costretti ad uccidere, a massacrare o a venire uccisi. Non esiste un a terza via. E il nuovo carrista, che come battesimo deve pulire i resti del viso (sì, di parte della faccia) di colui che è stato inviato a sostituire, non riesce ad accettarlo. Non vuole perdere la sua innocenza, non vuole cambiare. Neanche quando Brad Pitt gli serra a forza una pistola nella mano e lo costringe ad uccidere un tedesco. Perché sente nel profondo che accettare questo stato di cose significa cambiare una volta per sempre: lasciare i campi dove si è giocato, i libri dove si è studiato, i sogni, le fantasie, la serenità dell'infanzia e dell'adolescenza, per entrare in un mondo spietato, dove sei costretto a fare cose inimmaginabili, e a vederle. Come potevano, come possono, ragazzi che vivono queste esperienze, tornare poi di colpo "normali" alla fine della guerra?... tornare ad una vita "normale"? L'unica sarebbe non essere lì, in qualsiasi modo ci si possa riuscire. Ma se ci sei, sei costretto ad adeguarti, a crescere in fretta e a diventare parte dell'orrore che l'uomo riesce ad infliggere ad un altro uomo. Dopo aver visto questo film, ho assistito in maniera diversa ai racconti dei veterani della Normandia, nei documentari storici: molti di loro si chiesero (e continuano a farlo): "Come può un uomo fare questo ad un altro uomo?". E continuavano a commuoversi e a piangere, ripensando ad eventi di oltre 60 anni prima. Vedere questo film aiuta a comprendere queste testimonianze. E forse proprio quest'orrore che tutta la squadra del carro armato subisce e infligge a sua volta, porta i protagonisti a pensare che non c'è più scampo per la propria anima e che l'unico riscatto sia il sacrificio personale, in un'azione finale tanto eroica quanto assurda. Uno degli episodi più commoventi, a mio avviso, indice di una sensibilità estrema da parte del regista, dello sceneggiatore e chissà di chi altro, è quando la nuova recluta si sfoga con quello che sembra uno dei più brutali soldati americani del carro: piange, lo tempesta di pugni, di improperi, di rabbia. L'altro si lascia colpire senza reagire, ad un certo punto abbracciandolo addirittura e tenendolo stretto a sé, sussurandogli: "E' la guerra, ragazzo, è la guerra". E' il momento in cui il "ragazzo" accetta di entrarci dentro per sopravvivere, con tutto quello che questo comporta. Sarà l'unico a sopravvivere. E la camera, nel finale, lentamente si solleva sul campo di battaglia inquadrando un impressionante numero di soldati morti. E' un film che non può lasciare indifferenti.
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