Nove anni dopo “Il Ritorno del Re” e sessant’anni prima (nella finzione) delle avventure narrate ne “La Compagnia dell’Anello”, Peter Jackson – con la produzione esecutiva, la consulenza visionaria e il contributo allo script di Guillermo del Toro – ci riporta nella Terra di Mezzo.
L’attesa era tanta, sia per poterci rituffare nelle avventure epiche del mondo di Tolkien, sia per la promessa innovazione tecnologica offerta dalla factory di Jackson (uno scintillante 3D girato in 48 fotogrammi al secondo). E questa attesa, solo in parte è stata ripagata.
“Un Viaggio Inaspettato” è solo la prima parte di una nuova trilogia che ci porterà a seguire le avventure di una nuova Compagnia, quella che accompagnerà lo Hobbit Bilbo e il Mago Gandalf alla riconquista della Fortezza dei Nani, liberandola dal giogo del drago Smaug. Il film parte lentamente, con una lunga (e ridondante) introduzione su come la Compagnia si riunisce a casa del disorientato Bilbo e su come lui stesso viene faticosamente convinto a partire per una Grande Avventura. Poi la storia prende slancio e ritmo: l’incontro con i Troll, la visita a Gran Burrone, l’attraversamento delle Montagne Nebbiose e lo scontro fra i Giganti di Pietra, la fuga dall’antro degli Orchi. Il tutto culmina nel momento più atteso: l’incontro di Bilbo con Gollum, la sfida a colpi di indovinelli e l’entrata in possesso da parte di Bilbo dell’Anello. Questa è sicuramente la parte più riuscita del film: Gollum è un personaggio impareggiabile, la cui personalità multiforme è resa alla perfezione grazie agli strepitosi effetti speciali del team di Joe Letteri ma, soprattutto, grazie alla straordinaria mimica di Andy Serkis, primo attore che meriterebbe l’Oscar per la miglior interpretazione in “tuta e sensori” (per la successiva elaborazione digitale in Motion Capture). Poi, il film scivola un po’ stancamente verso un finale inevitabilmente sospeso, con l’occhio di Smaug che ci introduce alla prossime due avventure; dovremo aspettare un altro anno per la prossima.
Ovviamente, Peter Jackson dirige con maestria attori in carne ed ossa (e tanto latex, visti gli stupefacenti trucchi che permettono le trasformazioni in orchi, troll, goblin e altre straordinarie creature) e personaggi digitali, all’interno di splendidi scenari; padroneggia sapientemente la tecnica (il 3D girato in 48 fotogrammi al secondo dà un’impressione di profondità alla scena veramente definita e realistica).
Tuttavia, il limite principale della nuova trilogia sta nella sua origine letteraria: mentre Il Signore degli Anelli è una saga straripante di eventi, personaggi e storie, Lo Hobbit descrive una vicenda più semplice e lineare, con meno epica e complessità narrativa. Ricavarne una nuova trilogia sembra francamente un’operazione azzardata, che rischia il seriale ed il già visto.
Ma ora che siamo tornati nella Terra di Mezzo, non vogliamo più lasciarla!
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