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giorpost
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venerdì 8 gennaio 2016
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e se il carnefice fosse il matrimonio?
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Due coppie sposate di Brooklyn si ritrovano a casa di una delle due per discutere, civilmente, dello spiacevole episodio di violenza che ha visto protagonisti i rispettivi figli adolescenti. La cosa pare scorrere senza intoppi tra interessanti interscambi culturali, un buon caffè ed una fetta di torta, ma più passano i minuti e più aumenta una tensione inizialmente latente. Una parola di troppo e qualche battuta pesante da un lato, l' evidente distacco rispetto alla vicenda dall' altro (in particolare da parte del marito della coppia snob), deviano la conversazione pacata verso una battaglia a suon di frecciate e insulti, in un fuoco incrociato senza esclusione di colpi che non risparmia nessun settore della vita quotidiana: dal lavoro "ambiguo" dell' avvocato a quello "inutile" del venditore di articoli casalinghi, passando per l' insopportabile e finto buonismo della mamma del ragazzo che ha avuto la peggio, arrivando ad un finale col botto nel quale tutti e quattro, approfittando dell' inusuale situazione, scaricano, inaspettatamente, contro il rispettivo coniuge tutta la propria frustrazione.
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Due coppie sposate di Brooklyn si ritrovano a casa di una delle due per discutere, civilmente, dello spiacevole episodio di violenza che ha visto protagonisti i rispettivi figli adolescenti. La cosa pare scorrere senza intoppi tra interessanti interscambi culturali, un buon caffè ed una fetta di torta, ma più passano i minuti e più aumenta una tensione inizialmente latente. Una parola di troppo e qualche battuta pesante da un lato, l' evidente distacco rispetto alla vicenda dall' altro (in particolare da parte del marito della coppia snob), deviano la conversazione pacata verso una battaglia a suon di frecciate e insulti, in un fuoco incrociato senza esclusione di colpi che non risparmia nessun settore della vita quotidiana: dal lavoro "ambiguo" dell' avvocato a quello "inutile" del venditore di articoli casalinghi, passando per l' insopportabile e finto buonismo della mamma del ragazzo che ha avuto la peggio, arrivando ad un finale col botto nel quale tutti e quattro, approfittando dell' inusuale situazione, scaricano, inaspettatamente, contro il rispettivo coniuge tutta la propria frustrazione. Il whisky invecchiato di 18 anni che fa il suo ingresso poco dopo la metà del film farà il resto, assumendo quasi il ruolo di quinto incomodo, allorquando le due mogli, in evidente stato di ebbrezza, danno in escandescenze sempre più incontrollabili che portano a gesti eclatanti, facendo passare ormai sullo sfondo l' episodio oggetto del contendere e per il quale va sempre più sfumando il confine tra chi sia realmente vittima e chi il carnefice.
Roman Polanski mette in scena una sorta di opera teatrale senza pubblico, un dramma che dramma non è, una storia che funge da escamotage per affrontare temi importanti (matrimonio, noia, carriera, educazione dei figli) ma sotto le reali vesti di una riuscitissima commedia svoltasi tra un soggiorno, un bagno ed un pianerottolo, in un progressivo incedere che rapisce sempre più lo spettatore che passa da un' iniziale attenzione per la vicenda dei giovani (uno dei quali "sfigurato") al successivo rilassamento, durante il quale si può godere di quattro prove recitative davvero ben riuscite. Credo che su Jodie Foster e Christoph Waltz tutti siamo d' accordo nel considerarli autentici animali da palcoscenico, ma chi mi ha sopreso maggiormente è stata Kate Winslet, nei panni (molto ben cuciti) della donna raffinata medio-borghese che esplode prima in un vomito che crea l' insanabile e definitivo strappo tra i contendenti, per poi prodursi nel più classico degli scatti d' isteria dovuto ad un matrimonio che, semplificando, si basa su di un telefono cellulare (del marito). Decisamente godibile anche l' ottimo caratterista John C. Reilly, in questo caso co-protagonista e autore di una prova dai tempi comici pazzeschi.
Non vi anticipo un finale che, per la verità, è meno deciso di tutto il resto, ma non ho dubbi sul consigliare caldamente questo Carnage (EU, 2011), tratto da una piéce francese, il quale non sappiamo se vuol' essere un risibile misunderstanding tra due famiglie oppure, cosa che reputo più probabile, una critica all' istituzione del matrimonio, forse vero carnefice delle vite dei protagonisti che, nella fattispecie, ne diventano vittime.
Voto: 7
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ludwig1889
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giovedì 24 settembre 2015
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la servitù della parola
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In Waking Life si dice che un buon film non dovrebbe farsi schiavizzare dalla sceneggiatura. In Carnage accade proprio questo. Polansky fa cioè leva su una sceneggiatura superba, inscenata da interpreti d’eccezione, in un film narrativamente sopraffino ma registicamente impalpabile.
Una coppia di genitori (Foster e Reily) ne invita un’altra (Winslet e Waltz) nel proprio appartamento per discutere di un incidente di giochi.
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In Waking Life si dice che un buon film non dovrebbe farsi schiavizzare dalla sceneggiatura. In Carnage accade proprio questo. Polansky fa cioè leva su una sceneggiatura superba, inscenata da interpreti d’eccezione, in un film narrativamente sopraffino ma registicamente impalpabile.
Una coppia di genitori (Foster e Reily) ne invita un’altra (Winslet e Waltz) nel proprio appartamento per discutere di un incidente di giochi. Il film inizia con un’inquadratura statica a campo lungo su un gruppo di ragazzini in un parco. Ivi, accompagnato dal notevole brano minimalista di Alexandre Desplat (compositore in Grand Budapest Hotel e The Tree of Life), accade il fattaccio: una bastonata. Il resto del film si svolge nell’appartamento dove quattro, imbeccati dall’incidente, scatenano una catartica lotta di intensità progressiva volta alla reciproca sopraffazione psicologica.
La sceneggiatura è coinvolgente a tutti i livelli (evidente la mano della drammaturga Yasmina Reza). Dal concept, sfruttare un episodio banale ma emotivamente coinvolgente a mo’ di arpione atto a uncinare il lato più visceralmente umano (troppo umano, verrebbe da dire) dei quattro protagonisti, ciascuno armato delle sue convinzioni, contraddizioni ed idiosincrasie, all’effettiva stesura dei dialoghi e delle situazioni sceniche. I personaggi sono psicologicamente complessi e sfaccettati, idealizzati quel tanto che basta a farne delle maschere credibili di taluni strati sociali, ma mai manierati.
Il maggior pregio della sceneggiatura è una struttura narrativa che fa dei concetti di gradualità e sviluppo due punti fermi.
Le psicologie dei quattro, inizialmente scialbe e incolori, acquisiscono poco alla volta forma e sostanza, sino a farsi quasi sfacciate, impudiche nel vicendevole rimarcarsi le proprie nudità. Meno di ottanta minuti di pellicola filano come un frattale con andamento spiraliforme che accompagna le esistenze dei quattro protagonisti in un vorticoso attorcigliarsi su se stesse sino al laconico epilogo sancito dalla Winslet, che suona come l’enunciazione di un teorema al termine di una lunga dimostrazione: faticosa e ineluttabile. Guardare Carnage è come concentrarsi su un frattale. Lo si osserva e, individuate certe regolarità, si crede di potersene fare un’immagine attendibile per poi imbattersi, indugiando appena un attimo in più, in formazioni tanto barocche quanto precedentemente inopinabili, celate sotto qualche ingrandimento appena.
Detto questo, un film non è solo psicologia, concetto e dialogo. Un film è prima di tutto immagine e, visivamente, Carnage è insipido. Vero è che non è facile brandire degnamente la cinepresa quando, come set, si hanno a disposizione solo una manciata di stanze di un anonimo appartamento borghese di New York. Ci è voluto Tarantino per mostrare come uno dei migliori thriller degli ultimi decenni si possa girare per buona parte in un magazzino abbandonato. È vero che in Reservoir Dogs abbondano i flashback mentre Carnage è rigidamente confinato all’interno dell’appartamento, ma nella pellicola di Tarantino sono proprio le scene del magazzino quelle più incisivamente dirette e magistralmente tese. Per quanto mi riguarda, dire di un regista che non regge il confronto con Tarantino è, più che una critica, quasi un’ovvietà. Il problema è che Polansky non è un regista qualunque e da lui sarebbe lecito aspettarsi di meglio. Tutto considerato, il film non è neanche troppo vacuo, ma gli avvenimenti risultano eccessivamente imbrigliati nelle rigide logiche di ripresa tipiche delle scene di parlato (un film dallo stile, dai ritmi e dalle tempistiche alleniane; quindi magistralmente scritto e interpretato, ma registicamente mediocre).
Generalmente, farsi aggiogare dalle consuetudini stilistiche di un certo genere cinematografico non è un appunto contestabile ai registi normali. Ma Polansky è molto più genio che bestia da soma e, come tale, da lui si pretende che infranga prometeicamente i vincoli della settima arte piuttosto che perdere il suo tempo a subirne il giogo.
In sintesi: ben scritto e ben recitato (i quattro sono sempre all’altezza, con una speciale nota di merito per Foster e Winslet, mai dome), ma complessivamente deludente.
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andrea alesci
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sabato 30 maggio 2015
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intrappolati in un gomitolo di falsità
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Se c’è un cineasta capace di tradurre in immagini le unità aristoteliche, quello è Roman Polanski. Così, è la stanza di un appartamento di Brooklyn a divenire inconsapevole trappola per i quattro protagonisti dell’intricata storia disegnata con Carnage.
Come nel Nodo alla gola di Alfred Hitchcock è il borghese appartamento di una città a fare da sfondo all’azione, nell’arco di un qualsiasi pomeriggio dentro al quale si trovano immersi come prigionieri le coppie di coniugi Cowan e Longstreet, strette nella morsa di due piani sequenza esterni, che eludono l’unità di luogo soltanto per fungere da cornici alla vicenda.
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Se c’è un cineasta capace di tradurre in immagini le unità aristoteliche, quello è Roman Polanski. Così, è la stanza di un appartamento di Brooklyn a divenire inconsapevole trappola per i quattro protagonisti dell’intricata storia disegnata con Carnage.
Come nel Nodo alla gola di Alfred Hitchcock è il borghese appartamento di una città a fare da sfondo all’azione, nell’arco di un qualsiasi pomeriggio dentro al quale si trovano immersi come prigionieri le coppie di coniugi Cowan e Longstreet, strette nella morsa di due piani sequenza esterni, che eludono l’unità di luogo soltanto per fungere da cornici alla vicenda.
Vicenda principale che solo apparentemente è l’azzuffarsi dei rispettivi figli 11enni osservata in principio sul verde proscenio del Brooklyn Bridge Park, mentre la crescente ritmica dissonanza di Alexandre Desplat ci accompagna fra i due alberi dove si avvia il motus di tutto l’impianto: Zachary Cowan rifila una bastonata a Ethan Longstreet, facendogli perdere due incisivi.
L’icastica assenza che dà il la alla carneficina sociale, consumata fra pareti domestiche in un bailamme di maschere col volto di quattro grandissimi attori: Kate Winslet è Nancy Cowan, Christoph Waltz il marito Alan, John C. Reilly è Michael Longstreet e Jodie Foster sua moglie Penelope. Proprio da lei si dipana l’azione sotto il battere di una macchina da scrivere che redige il resoconto sul fatto scatenante e motivo dell’incontro, omerica tessitrice di una tela che però si disfa diventando un ingarbugliato gomitolo di verità nascoste.
Un crescente aggrovigliarsi di menzogne lungo il piano dell’azione, ove si accumulano come improvvisi detonatori futili questioni (il fatto che Michael si sia liberato nottetempo del criceto della figlia) e oggetti quasi vivi (il telefonino-protesi di Alan, i “sacri” libri d’arte di Penelope) che concorrono a far esplodere le maschere in quel conato di vomito di cui è protagonista Nancy. Punto di non ritorno, contrappeso che cade e fa scattare la molla della rivelazione: il piano della situazione s’inclina e su di esso cominciano a scivolare sempre più forte le meschinità dei quattro, vincendo la forza d’attrito dell’ipocrisia.
Sul fondo del piano arriva la matassa di quattro vite squarciate nella loro terribile nudità, slabbrate dalle falsità quotidianamente portate in giro e infine eruttate come un magma inarrestabile sui divani di un appartamento newyorchese. Quattro esistenze infelicemente confuse, attonite, maschere di sale dinanzi alla resuscitata vibrazione finale del cellulare di Alan; congegno che chiude il sipario, nella sua limpida veste da terzo (quinto?) incomodo e invisibile protagonista di un dramma umano. Come quel piccolo criceto che riappare a salutarci, scappato appena in tempo al cappio di un arruffato gomitolo nel quale sono rimaste intrappolate le vite di quattro adulti.
Tutto mentre là fuori Ethan e Zachary, con la leggerezza dei ragazzi, ricompongono la loro amicizia. E lo fanno proprio attorno a un cellulare. Segno e segnale di una chiamata persa per quei grandi fatti piccoli piccoli dalla perfetta carneficina di Polanski.
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great steven
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lunedì 24 novembre 2014
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4 genitori si scontrano per colpa dei loro figli.
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CARNAGE (FR/GERM/SP/POL, 2011) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JODIE FOSTER – KATE WINSLET – CHRISTOPH WALTZ – JOHN C. REILLY § Carnage= carneficina. In un parco di New York, Zachary Cowan ferisce con un bastone il compagno di scuola Ethan Longstreet. I quattro genitori s’incontrano in casa Longstreet, famiglia della middle class colta e progressista, mentre i Cowan sono upper class, più ricchi, meno colti, più abituati a comandare. Per più di un’ora, discutendo tra loro, attraversano le situazioni del conformismo per abbandonarsi, sfiniti, allo sconforto di chi è consapevole, in nome dei figli, di aver gettato la maschera nel disperato tentativo di salvare loro stessi dal fallimento come genitori.
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CARNAGE (FR/GERM/SP/POL, 2011) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JODIE FOSTER – KATE WINSLET – CHRISTOPH WALTZ – JOHN C. REILLY § Carnage= carneficina. In un parco di New York, Zachary Cowan ferisce con un bastone il compagno di scuola Ethan Longstreet. I quattro genitori s’incontrano in casa Longstreet, famiglia della middle class colta e progressista, mentre i Cowan sono upper class, più ricchi, meno colti, più abituati a comandare. Per più di un’ora, discutendo tra loro, attraversano le situazioni del conformismo per abbandonarsi, sfiniti, allo sconforto di chi è consapevole, in nome dei figli, di aver gettato la maschera nel disperato tentativo di salvare loro stessi dal fallimento come genitori. Intanto i due ragazzi fanno pace. Scritto dal regista con Yasmina Reza dalla sua pièce Il dio del massacro, spostando l’azione da Parigi a New York. Polanski chiude spesso in trappola – in uno stato chiuso – i suoi personaggi. Qui lo fa con implacabile lucidità come un gioco al massacro in forma di kammerspiel. Polanski fa, nel suo pessimismo, un film laico. Per lui, polacco, ogni dio si è estinto con la Seconda Guerra Mondiale: nel titolo rimane soltanto il massacro. Nei dialoghi si cita Francis Bacon e i riferimenti alla sua pittura sono espliciti e significativi. Nonostante il puntiglioso naturalismo stilistico, diventata baconiana anche l’atmosfera. La sceneggiatura tratta dal testo teatrale rispetta l’originale e traduce in immagini audiovisive la situazione in cui due uomini e due donne, divisi in un paio di coppie, partono da convenevoli di ottime maniere e tradizionali buonismi per poi arrivare a sbranarsi, sfoderando il peggio di sé in un crescendo rossiniano di umiliazioni, freddezze, insulti, provocazioni, ringhi e violenze verbali. Le interpretazioni costituiscono il fiocco orgoglioso e non troppo altero dello stupendo frac di cui quest’opera eccezionale si veste con misurata fierezza e calcolata sagacia: la Foster è una scrittrice appassionata di popolazioni africane rimaste all’età paleolitica, e tiene moltissimo ai suoi libri fotografici riccamente artistici e decorati, però nasconde pure un’isteria latente che la porta non solo a picchiare il marito, ma anche a sparare una serie interminabile e veemente di improperi sardonici e nevrotici; la Winslet è un’operatrice finanziaria che non regge bene l’alcool, e proprio sotto l’effetto delle bevande rivela tutti i particolari scabrosi della sua vita coniugale e perde ogni controllo della propria parlantina, lasciandosi andare a soliloqui offensivi e determinanti nonché ad azioni sconsiderate e impulsive, come la distruzione degli splendidi fiori delle persone ospitanti e la cancellazione del telefono cellulare del marito, buttato in una vaschetta piena d’acqua; Waltz è un avvocato misogino, quello che più di tutti rimane flemmatico e paziente, sempre attaccato ad un cellulare e con la testa altrove, che non intendeva fin dall’inizio partecipare a quell’incontro fra genitori, e che lancia provocazioni scottanti e focose all’indirizzo di tutti, senza risparmiare nemmeno la moglie, e inoltre considera la violenza carnale e bellicosa come l’unico mezzo di affermazione prepotente possibile in un mondo dominato dagli antagonismi e dagli egoismi; infine, Reilly (l’unico fra i quattro attori a non aver ricevuto finora un Oscar, ma comunque preparato e bravissimo) è un costruttore di maniglie per cessi e rappresentante di suppellettili che, pur provando al principio a calmare i dissensi che sorgono fra le due coppie, rivela ben presto il suo pessimo carattere e accantona tutte le convenzioni buoniste per catapultarsi in un immondo pianeta di filosofie del far niente e cantonate da uomo affetto da pigrizia inguaribile. Polanski, che ha esordito nel cinema con un film girato a bordo di una barca, riesce a creare drammi potenti e appassionanti in un’area di settanta metri quadrati, cavando fuori dagli interpreti che dirige con fiuto incomparabile e guizzi di genio rilevanti le potenzialità che si possono esprimere in una serie di sequenze che vanno a formare un’unica scena che riproduce sé stessa per tutti gli ottanta minuti della proiezione, senza mai annoiare e, al contrario, interessando gli spettatori che non rimangono mai delusi e godono di una rappresentazione scenica ben congegnata e finemente lavorata anche nei dettagli dei discorsi, dove nessuna parola viene lasciata al caso ma, a differenza di molti drammi da camera, si aggancia a precedenti elucubrazioni, imbastendo un continuum spazio-temporale che procede spedito come una Ferrari su una tangenziale. Ci sono poi dei particolari eccellenti e formidabili (il dito alzato di Waltz per chiedere il whisky, la degustazione della torta, la questione del criceto creduto morto ma poi ritrovato vivo, l’ascensore che non viene mai effettivamente utilizzato) che fanno gridare a pieni polmoni: è il cinema! Un altro particolare fondamentale: un pigionante dell’appartamento in cui abitano i genitori ospitanti, attratto dal rumore provocato dai litigi, esce e dà un’occhiata per valutare la situazione, e viene immediatamente ricacciato dentro il loft dalla Foster. È un dettaglio cinefilo stuzzicante, che rimanda a un altro film di Polanski: è come se l’inquilino del terzo piano da lì non se ne fosse mai andato. Fotografia di Pawel Edelman. Musica di Alexandre Desplat. Scene di Dean Tavoularis. Costumi di Milena Canonero. Un quartetto di interpreti che non sbagliano un colpo, una sfumatura. Geniale la scena del vomito di Kate Winslet.
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stanleyy
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martedì 21 ottobre 2014
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quattro stelle di hollywood. poi nulla.
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Credo che gli attributi che meglio possano descrivere questa pellicola di Roman Polanski siano arrogante e autoreferenziale. La scelta, in realtà interessante, di ambientare l' intero film in unico ambiente mal si concilia non solo con la scarsezza di avvenimenti nell' arco dei 79 minuti( finanche prevedibile viste le tematiche del film) , ma specialmente con la povertà e futilità dei dialoghi, nell' intenzione di Polanski brillanti, ma dopo un pò ridondanti e finanche patetici. Lo stile dei del colloquio tra i quattro presenti si alterna in alcuni momenti a meri giochi di parole e frasi a effetto, in altre a navigare nella più totale noia e ripetizione.
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Credo che gli attributi che meglio possano descrivere questa pellicola di Roman Polanski siano arrogante e autoreferenziale. La scelta, in realtà interessante, di ambientare l' intero film in unico ambiente mal si concilia non solo con la scarsezza di avvenimenti nell' arco dei 79 minuti( finanche prevedibile viste le tematiche del film) , ma specialmente con la povertà e futilità dei dialoghi, nell' intenzione di Polanski brillanti, ma dopo un pò ridondanti e finanche patetici. Lo stile dei del colloquio tra i quattro presenti si alterna in alcuni momenti a meri giochi di parole e frasi a effetto, in altre a navigare nella più totale noia e ripetizione. Inoltre, la scelta di "dividere" in coppie i litiganti (dapprima le due coppie, poi i due uomini contro le due donne, ecc) si rivela dopo un pò abbastanza statica e poco naturale. Il film è amio avviso arrogante perchè, nella totale assenza di azioni, canalizza l' attenzione su discussioni e un paradossale (per usare un termine felice) confronto tra i presenti che trasmette a nulla e porta al nulla. L' unica nota positiva è certamente l' enorme bravura delle quattro stelle di Hollywood (specialmente Waltz) che hanno il compito (arduo) di cercare di riempire 79 minuti di nulla.
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stanleyy
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domenica 19 ottobre 2014
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quattro stelle di hollywood. poi nulla.
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L' attributo che, a mio avviso, dipinge meglio questa pellicola di Roman Polansky è il seguente: arrogante.
Carnage è un film che nasce( e muore) prevalentemente in un'unica location, che ruota intorno a dialoghi all' apparenza brillanti, ma in realtà poco più che artifici retorici, che non sviluppa particolari evoluzioni nella storia e che sembra poggiare su un unico elemento di fascino: essere un film di Polansky, interpretato da quattro stelle del cinema(tra l'altro, a onor del vero, con magnifiche prestazioni).
Non è raro che un film si svolga interamente in una location. Più raro è che , in suddetta location, non solo non avvenga nulla o quasi a livello di azioni, ma che la qualità dei dialoghi e il loro "climax" nell' arco della pellicola sia così ininfluente, così monotono, fintamente paradossale, ma quasi patetico.
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L' attributo che, a mio avviso, dipinge meglio questa pellicola di Roman Polansky è il seguente: arrogante.
Carnage è un film che nasce( e muore) prevalentemente in un'unica location, che ruota intorno a dialoghi all' apparenza brillanti, ma in realtà poco più che artifici retorici, che non sviluppa particolari evoluzioni nella storia e che sembra poggiare su un unico elemento di fascino: essere un film di Polansky, interpretato da quattro stelle del cinema(tra l'altro, a onor del vero, con magnifiche prestazioni).
Non è raro che un film si svolga interamente in una location. Più raro è che , in suddetta location, non solo non avvenga nulla o quasi a livello di azioni, ma che la qualità dei dialoghi e il loro "climax" nell' arco della pellicola sia così ininfluente, così monotono, fintamente paradossale, ma quasi patetico.
Film come "Sunset Limited" di Tommy Lee Jones, per esempio, dimostrano che una buona qualità di dialoghi, non solo renda più interessante un film ambientato prevalentemente in un ambiente, ma ne connoti la grande originalità e velocità, canalizzando l' interesse dello spettatore al pregio dei dialoghi o, quantomeno,alla loro godibilità. Al contrario, l' utilizzo del dialogo in Carnage sembra improntato in alcuni momenti a meri giochi di parole, in altri alla pura superficialità e pesantezza dei colloqui tra i personaggi, costruiti nella forma, dapprima originale, poi francamente esasperata delle diverse "fazioni" contrapposte; prima le due coppie l' una contro l'altra, poi i due uomini contro le due donne e così via, in modo del tutto innaturale.
Un' opera autoreferenziale e emblematicamente arrogante,che riesce a comunicare quel poco che può solo grazie all' interpretazione di quattro autentici fenomeni di Hollywood.
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massi(mo)rdini
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sabato 11 gennaio 2014
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una tranquilla carneficina
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L'opera di Roman Polanski si dimostra provocatoria sin dal titolo: perché chiamare “Carnage” un film che, tutto sommato, non mostra scene di violenza, dove nessuno muore, dove pure un criceto abbandonato in un parco riesce a salvarsi e il massimo del dolore è causato da un paio di incisivi rotti? Eppure la violenza c'è e consistente nell'ironia corrosiva con cui il regista polacco si fa beffe del moralismo radical chic, di coloro che si occupano (ovviamente da una debita distanza) di questioni etiche e morali per fuggire la noia della vita quotidiana e sentirsi a posto con la propria coscienza. É questo il caso di Penelope (interpretata da una strabiliante Jodie Foster), madre di un ragazzo ferito da un coetaneo nel parco vicino casa.
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L'opera di Roman Polanski si dimostra provocatoria sin dal titolo: perché chiamare “Carnage” un film che, tutto sommato, non mostra scene di violenza, dove nessuno muore, dove pure un criceto abbandonato in un parco riesce a salvarsi e il massimo del dolore è causato da un paio di incisivi rotti? Eppure la violenza c'è e consistente nell'ironia corrosiva con cui il regista polacco si fa beffe del moralismo radical chic, di coloro che si occupano (ovviamente da una debita distanza) di questioni etiche e morali per fuggire la noia della vita quotidiana e sentirsi a posto con la propria coscienza. É questo il caso di Penelope (interpretata da una strabiliante Jodie Foster), madre di un ragazzo ferito da un coetaneo nel parco vicino casa. La ricerca di un accordo con i genitori del ragazzo “aggressore” è il motivo per cui i coniugi Cowan si recano nell'appartamento dei Longstreet, dove più che una famiglia sembrano albergare le contraddizioni. La storia si sviluppa interamente all'interno di questo set (in cui non è difficile intravedere il regime di reclusione forzata cui sottostava Polanski nel periodo delle riprese) nel quale il dialogo tra le due famiglie, che pure era partito nel migliore dei modi, è destinato ben presto a prendere un'altra piega.
L'apparente idillio iniziale, che non era dettato da altro che da ipocrisia e convenzioni sociali, si dissolve ben presto per lasciare spazio a un clima molto più teso, da vera carneficina, in cui gli ideali soccombono per lasciar spazio a un'unica cosa: la (dura) realtà. C'è chi vorrebbe salvaguardare la pace nel mondo aggredendo chi non condivide le sue aspirazioni, chi critica il feticismo del consorte nei confronti di un Blackberry e scoppia in lacrime quando le viene lanciata la borsetta, chi si indigna per la violenza nei confronti di un criceto non vedendo quella operata dal proprio figlio su un altro essere umano e chi vanta la propria mediocrità ma offre sigari e liquori costosi. In questo film, dove il dramma del Darfur viene trattato come materiale letterario e la sofferenza dell'arte di Francis Bacon ridotta a catalogo, l'unico personaggio che rimane coerente durante tutta la pellicola è proprio quello che ci sembrava più lontano dalla realtà (e dalle buone maniere), il più cinico, colui che professa la religione del dio del massacro (titolo, questo, della piecé teatrale da cui è tratto il film) e mette la sua carriera persino davanti ai propri figli: Alan. Quest'ultimo è interpretato da Christoph Waltz, sempre più convincente nel ruolo del cattivo, così come John C. Reilly lo è nel ruolo di un uomo comune(mente nevrotico). Ma è poi lui il cattivo? Stando al senso etimologico del termine ovvero all'accezione di captivus inteso come prigioniero è in realtà il personaggio più libero, nonostante la (artificiale) buona condotta di Penelope e i rimproveri della moglie Nancy (la magistrale Kate Winslet) vogliano impedirglielo. Arrivati a questo punto si comincia a comprendere quanto di drammatico ci sia in questa commedia, come la convivenza forzata di persone e punti di vista diversi porti inevitabilmente allo scontro, confermando cioè che Jean Paul Sartre ribadiva nel suo dramma intitolato, non a caso, “A porte chiuse”: l'Inferno sono gli altri.
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antonioca
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giovedì 26 dicembre 2013
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un film di un'imbarazzante vacuità
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Un peccato. Con attori così mi aspettavo di più. Carnage è un film "debole" e quasi vuoto. Lo sconsiglio.
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alucard666
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martedì 5 novembre 2013
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mediocre
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Un film che inizia tutto sommato bene....2 coppie si incontrano perke'i loro figli hanno litigato e uno ha rotto 2 denti all'altro. Si inizia con una discussione pacata per poi spostarsi verso altri argomenti....come l'infelicita'della vita.il film in se'e'banale, non parte mai realnente. Mettere degli ottimi attori purtroppo non rende il film migliore, questo film non ha anima e'piuttosto triste e noioso.
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theophilus
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lunedì 4 novembre 2013
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l'uomo è più che mai dentro le caverne
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CARNAGE
Il chiuso di una stanza esaspera la compressione e manda letteralmente per aria il lungo processo con cui l’uomo ha sperato di governare la conquista della convivenza.
In questo film, Polanski non fa sconti e non concede alibi a nessuno. Ricordi del passato come l’acquisizione di un modus vivendi sociale sono frantumati, esplodono in un pulviscolo indistinguibile di cui i 4 protagonisti della storia (per non parlare del criceto) sono un simbolo.
La guerra di Carnage è senza frontiere. In un vertiginoso ma controllato crescendo che non ha nulla di rossiniano, vengono divelte le barriere messe a protezione di miti creduti solidi, tanto da essere dimenticati.
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CARNAGE
Il chiuso di una stanza esaspera la compressione e manda letteralmente per aria il lungo processo con cui l’uomo ha sperato di governare la conquista della convivenza.
In questo film, Polanski non fa sconti e non concede alibi a nessuno. Ricordi del passato come l’acquisizione di un modus vivendi sociale sono frantumati, esplodono in un pulviscolo indistinguibile di cui i 4 protagonisti della storia (per non parlare del criceto) sono un simbolo.
La guerra di Carnage è senza frontiere. In un vertiginoso ma controllato crescendo che non ha nulla di rossiniano, vengono divelte le barriere messe a protezione di miti creduti solidi, tanto da essere dimenticati. Vanno a pezzi non tanto il bon ton o le buone regole imposte dalla necessità sociale, quanto tutto il mondo che ci sta dietro e che di quell’insieme di norme si fa ipocritamente scudo per sbandierare una forza che non esiste più, semmai sia esistita. All’interno di questa guerra avvengono passaggi intermedi, momentanee alleanze incrociate fra generi e sessi, si tenta di fare fronte comune contro nemici che si rivelano improvvisi e inattesi, finché non c’è il tutti contro tutti.
Polanski non sciupa e non perde niente dell’energia medianica di questa trama diabolica. Della sceneggiatura (come del maiale) non si butta via niente. Nessuna parola, ma nemmeno nessuna immagine è superflua. Le singole prove – come pure l’insieme corale – dei 4 protagonisti ci sono parse assolutamente inattaccabili e ci sembrerebbe ingeneroso privilegiare l’aspetto messo in luce in maniera più forte da uno o più degli attori a scapito degli altri. Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster, John C. Reilly vivono dal di dentro questa sorta d’incubo domestico e ci pare difficile pensare che non ne siano usciti almeno un po’ trasformati.
Alla fine, Carnage è un film nichilista o forse una tragedia? Né l’uno, né l’altra a nostro avviso.
Lo sguardo del regista è sì di mefistofelico distacco dalle false meschinerie con cui l’uomo si crea certezze artificiali per la propria sopravvivenza, però, nella scena conclusiva, sembra più volersi fare beffe dell’uomo. ‘L’oggetto del contendere’ viaggia per conto suo a prescindere dalla guerra che gli si è scatenata attorno e persino il mondo animale più fragile sopravvive agevolmente lontano dalla ‘carneficina’ che l’uomo sembrerebbe non riuscire ad evitare. Come dire che l’essere umano non fa che accampare pretesti per prevaricare gli altri e si rivela incapace di una visuale ad ampio spettro.
Enzo Vignoli
3 ottobre 2011
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