Titolo originale | Choi-jong-byeong-gi Hwal |
Anno | 2011 |
Genere | Azione |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 122 minuti |
Regia di | Han-min Kim |
Attori | Hae-il Park, Seung-yong Ryoo, Moon Chae-Won, Mu-Yeol Kim, Han-wi Lee Lee Kyeong-yeong, Gi-woong Park, Rye Hei Otani, Gu-taek Kim, Eunjin Kang, Seung-joon Lee, Jae-goo Lee, No-shik Park, Da-wit Lee, Min-seo Jeon, Jo Sin-je. |
MYmonetro | 2,84 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 20 marzo 2015
CONSIGLIATO SÌ
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L'arte del tiro con l'arco è un tutt'uno con la tradizione coreana, come l'arte della spada lo è per quella nipponica. E così è anche per il nobile Yi Gwal e i suoi figli Nam-yi e Ja-in. Fallito il tentativo di rovesciare il trono imposto a Joseon dagli invasori della Manciuria, Yi Gwal viene giustiziato come traditore e a Nam-yi e la sorella non resta che la fuga. Tredici anni dopo la minaccia manciuriana ritorna, più temibile che mai: per Nam-yi è giunto il momento di riprendere in mano il fedele arco.
La storia di Joseon, come si chiamava un tempo la Corea, racconta di un paese conquistato, smembrato, vilipeso, umiliato dalle potenze confinanti. Proprio come un'altra penisola a noi ben più familiare. Il cinema in costume sudcoreano del terzo millennio, sovente baciato dal successo al botteghino, non intende cambiare la storia, bensì riappropriarsi di pagine di storia tristi per trovare in esse un angolo di speranza e una traccia dell'orgoglio nazionale coreano.
Arrow, the Ultimate Weapon, noto anche come War of the Arrows, non fa eccezione, al contrario esaspera questo spirito, ponendo il contesto storico al servizio di una esemplare macchina action. L'episodio in sé, collocato nell'ambito della dominazione manciuriana, permette a Kim Han-min di soddisfare un duplice obiettivo: approfondire l'aspetto brutale della vicenda, contrapponendo la maggiore abilità e astuzia del coreano Nam-yi alla furia selvaggia degli invasori manciuriani, sconfitti con tecniche da guerriglia, e quello filologico, attraverso il meticoloso studio - degno del Gibson di Apocalypto - di una lingua morta come il manciuriano. Idioma parlato mantenendo grande credibilità da Ryu Seung-ryong (Beyond the Years), pregevole caratterista e qui impenetrabile maschera di villain, contrapposto al duttile Park Hae-il (Memories of Murder, Moss) nei panni dell'eroe Nam-yi.
Arrow è una caccia all'uomo infinita in cui l'ambiente naturale gioca un ruolo di primattore nonché di aiutante del Fato, nel migliore stile del primo Rambo, in cui un solo (e perseguitato) individuo riesce a sgominare la testarda pervicacia di un manipolo di malintenzionati. Non c'è un corpo a corpo o un'acrobazia balistica del prodigioso arco di Nam-yi che sia di troppo, nell'inarrestabile crescendo che caratterizza la seconda parte del film e che centra il suo scopo (tenere incollato alla sedia il pubblico) anche di fronte alle svolte o ai controfinali più improbabili.
La forza di un cinema che sa scrollarsi di dosso orpelli inutili e puntare dritto alla sostanza di genere, sacrificando lo spessore psicologico dei personaggi, la libertà di un cinema che non rallenta di fronte alla messinscena del massacro (anche da parte dei "buoni") di un innumerevole quantitativo di uomini e animali, in barba ai limiti censori sempre più ristretti imposti dalle associazioni animaliste. E il pubblico coreano ha apprezzato, permettendo ad Arrow - secondo nel box office 2011 in Corea e primo dei non-americani - di polverizzare diversi record di incasso in patria, restituendo al cinema sudcoreano quel ruolo commercialmente preminente che si stava perdendo.