Vicky Cristina Barcelona |
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Un film di Woody Allen.
Con Scarlett Johansson, Penélope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 90 min.
- USA, Spagna 2008.
- Medusa
uscita venerdì 17 ottobre 2008.
MYMONETRO
Vicky Cristina Barcelona
valutazione media:
3,18
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Qualcosa sta cambiandodi Vincenzo CarboniFeedback: 0 |
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giovedì 25 dicembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Vengo trascinato da una amica al cinema. Non mi piace andare al cinema. Preferisco la classicità alle strenne dei tanto citati festival, quindi conservo in casa un piccolo santuario formato dalla mia vecchia TV a tubo, un divano nemmeno troppo comodo, e una serie di DVD che trasmetto nel mio personalissimo palinsesto. Vedere Allen poi mi dà l'impressione di incontrarmi con una persona interessante certo, ma che conosco già e da cui non mi aspetto più sorprese. Eppure... La storia di Vicky e Cristina mi commuove già dalle prime immagini, mi fa sorridere, mi fa essere indulgente con i personaggi e con i miei altrettanto goffi tentativi di cercare un senso dentro l'amore, dentro un potere cioè a cui attribuiamo la capacità di trasformare le cose e noi stessi. Questa fiducia, o -meglio- questa ‘fede’ mi fa sempre commuovere. Credo sia questa una delle poche aree di candore quasi fanciullesco che rimangono da vivere ad un uomo. Vicky -incerta e tormentata- è pronta a considerare la sofferenza come parte della gioia di vivere. Questa inevitabilità è spesso così poco ‘pensabile’, tanta è l’energia che mettiamo a ricacciare indietro il dolore derivante dall’amore. Cristina -certa di sè e delle cose che vuole- pianifica la propria vita separando ciò che è lecito da ciò che non lo è, tanto da pensare di poter sovrapporre questo piano della ragione a quello della propria esistenza. Crede cioè di poter fare diventare esperienza questo livello morale. Ma la storia non ha esperienza, la vita non ha esperienza, non dovrebbe averne. L’unica ‘esperienza’ possibile che facciamo è quella con noi stessi, e la scarsa conoscenza che ce ne viene -per paradosso- dovrebbe bastare a cacciarci nei guai con una protezione di noi stessi e dell’altro ogni volta più affinata. Il film di Allen è di fatto un film di formazione, la storia cioè di questa esperienza, di questa rete per noi e per l’altro, che si distrugge nell’attimo stesso in cui si crea e la cui esistenza può essere avvertita solo per fede. Barcellona è Josè Antonio, un uomo che può apparire d’impatto come un cliché esotico. Sua moglie ha avuto con lui un rapporto violento quasi fino all’omicidio, quindi Josè ha tutta l’aria di sapere cosa vuol dire soffrire ed amare, con un talento non da poco ad evitare una medietà tra questi opposti, anzi cadendoci dentro. E’ un’artista. L’arte come via di fuga? Come illusione di comprensione del vivere e morire (Paolo Conte: ‘Blue tangos’)? Questa illusione è il salvagente a cui aggrapparci. Allen la conosce bene tanto da utilizzare il cinema per sè come il lettino di uno psicanalista, come una lente per ingrandire i dettagli dei sentimenti, quelli sulla soglia, quelli che aspettano di essere vissuti e sono stanchi di fare anticamera. Vicky, Cristina e Josè aprono quella porta, ognuno secondo le proprie esitazioni, e la cosa curiosa è che l’infelicità che ne scaturisce non è a loro infelice. Lo sguardo delle due donne al ritorno negli USA sembra vedere il mondo rovesciato, in un modo che non permette più un riconoscimento. Niente è più come prima. Da quando ho visto il film ho ancora in bocca il sapore dolce-amaro di qualcosa di buono, come assaggiare un buon vino (o magari -visto che Allen è entrato in argomento- il sapore del bacio di una donna che si avverte a giorni di distanza, e che ti rimane addosso come un avvertimento: qualcosa forse sta cambiando...). Qualcosa sta cambiando, e nessuno può farci proprio niente.
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