“THE READER. A VOCE ALTA” di STEPHEN DALDRY; USA-GERM, 08. Nel 58, l’adolescente Michael s’innamora della matura, sexy e misteriosa Hannah, che non sa leggere e ama che il giovane le legga libri. Lei era però una Kapò delle SS nei Lager: lo scoprirà in un processo, da giovane studente di legge. Tratto dal romanzo di Bernhard Schlink, è stato da realizzare al cinema un’ardua sfida. Il film si situa su numerosi piani temporali, che si annodano in modi non sempre lineari, perché a fasi della vita diverse, corrispondono differenze profonde non solo nel modo di porsi tra i due protagonisti, ma anche nelle loro stesse condizioni esistenziali. Dei quali, peraltro, mentre l’altro sono due attori distinti, lei è la stessa attrice Kate Winslett, che ha vinto meritatamente l’Oscar 09. Un’interpretazione ricchissima di sfumature; ma anche difficile, dovendo abbracciare diverse età. Lo sceneggiatore David Hare, candidato all’Oscar 09, ha fatto un eccellente lavoro. Egli infatti si è concentrato sulle connotazioni della vicenda in modo tale che subito individuassimo il punto esatto della climax precedente, al fine di non disperderne la forza per fare in modo che potessimo”entrare” empaticamente nello stadio successivo. In realtà è un film sulla memoria non solo individuale ma collettiva del paese che si confronta con uno dei più vituperevoli obbrobri della storia del 900 e che l’ha anche creato: il Nazismo. Il film inizia con Michael, ormai maturo, nel 95, che decide di portare la figlia sulla tomba di Hanna, morta già da un decennio, per narrarle e anche chiarire a se stesso, senza reticenze, tutta la complessa vicenda che li riguardava. E che era stata occasione di angoscia profonda, che era convissuta con lui da quando aveva saputo che la sua vitalissima amante, dura, ma pur piena di profonda tenerezza, in grado di grandi slanci erotici, curiosa della vita e della cultura come arricchimento personale, pur svantaggiata dal non saper leggere, era stata una noncurante, insensibilmente crudele kapò. La donna per cui aveva nutrito un trasporto sentimentale e fisico, così dolorosamente intenso, aveva difeso le più abiette pratiche di obbedienza supina e assoluta agli ordini di distruzione di altri esseri umani. Come lei, tante donnette normali si erano macchiate di questi crimini, che nientemeno continuano a vivere come se fosse stato solo un’esperienza di lavoro semplicemente conclusa, addirittura seguitando a sferruzzare lì al processo la lana per l’amato nipotino; e che solo il caso di una sopravvissuta aveva condotto alla sbarra. Con tutto ciò il film fa il bilancio: con il dramma del silenzio, che ottunde, minimizza le responsabilità che, prima di essere collettive, erano individuali.
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