everlong
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venerdì 4 febbraio 2011
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il grottesco di un'italia grottesca
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Il divo è sicuramente un film importante, ma soprattutto necessario. Un film che serve ad un paese che fatica a continuare a porsi domande su una certa storia d'Italia e che preferisce il giustificazionismo più assurdo o il qualunquismo più ignorante ad una seria opera di ricostruzione della verità. Naturalmente questa non è la pretesa del film, ma sicuramente lo è quella di identificare un sistema, di interrogarsi su un modello di potere che ha determinato il destino di un paese per interi decenni. Sorrentino riesce ottimamente nel suo intento, difendendosi preventivamente attenendosi ai fatti, ricostruendo dinamiche politiche e processuali ormai scritte e appurate, che solo i nostalgici o i mistificatori possono continuare a negare.
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Il divo è sicuramente un film importante, ma soprattutto necessario. Un film che serve ad un paese che fatica a continuare a porsi domande su una certa storia d'Italia e che preferisce il giustificazionismo più assurdo o il qualunquismo più ignorante ad una seria opera di ricostruzione della verità. Naturalmente questa non è la pretesa del film, ma sicuramente lo è quella di identificare un sistema, di interrogarsi su un modello di potere che ha determinato il destino di un paese per interi decenni. Sorrentino riesce ottimamente nel suo intento, difendendosi preventivamente attenendosi ai fatti, ricostruendo dinamiche politiche e processuali ormai scritte e appurate, che solo i nostalgici o i mistificatori possono continuare a negare. Il film è girato in modo davvero eccezionale, con inquadrature e movimenti ragionati ed azzeccati che ben sottolineano l'interpretazione del regista per quanto concerne gli aspetti privati del funzionamento di questo sistema di potere. Perché per quanto molto sia risaputo sulla persona e sulla personalità di Andreotti, non può che essere ovvio che vi siano dei vuoti da colmare aggiungendo senso e interpretazione per ricostruire i tasselli mancanti. Sorrentino sceglie un sarcasmo ed un'ironia davvero sorprendenti ma allo stesso tempo naturali, in quanto cari allo stesso Andreotti. Il tutto diventa quindi un tentativo molto ben riuscito per offrire un quadro di analisi e una griglia interpretativa utili a riflettere su fatti e protagonisti ad un livello superiore, più interno al meccanismo del potere. Ne viene fuori un modello di relazioni davvero inquietante, ma che in fondo non poteva essere diverso, se non volendo negare la realtà o provando a dimenticare una parte di storia italiana così vicina. Grazie anche ad una colonna sonora efficace, atta amplificare gli aspetti più ironici e sarcastici, Sorrentino riproduce un continuo alternarsi tra reale e surreale, enfatizzando il contrasto, quasi a voler stemperare il senso di oppressione che comunque lo spettatore percepisce. Allo stesso tempo però, gli aspetti più surreali e grotteschi (primi piani innaturali, balli e danze, situazioni quasi comiche, personaggi parodistici) sono funzionali al ritratto di un'Italia davvero difficile da comprendere, protagonista di una realtà a tratti assurda. Un'altra nota di merito va senza dubbio attribuita alla fotografia, davvero eccezionale. Atmosfere fredde e calde, colori saturi e sbiaditi in continua alternanza; inquadrature che sembrano spicchi di luce in un'oscurità difficile da dipanare, da accettare e da riportare alla luce della verità.
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shingo tamai
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sabato 1 aprile 2017
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il politico
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Tutto ed il contrario di tutto si può dire Andreotti,ma nessuno può permettersi di mettere in dubbio che è stata una delle figure politiche più carismatiche della storia italiana.
Pensando un attimo a quello che passa il Governo oggi,in tutti i sensi,quasi quasi mi metto a piangere.
Dunque condivido a pieno la scelta di avergli dedicato una pellicola.
Servillo lo interpreta al meglio,dandoci la sensazione di averlo studiato profondamente.
Sorrentino ha,almeno in questo caso,fatto un buon lavoro tuttavia mi sembra,anche se in maniera molto furba e ben celata,che questa sia una pellicola palesemente a sfavore del protagonista reale.
Di fatto vengono insinuati,talvolta in uno spettacolare stile americano,con incidenti ed omicidi ad alta velocità,mille dubbi su come Andreotti abbia gestito il suo potere.
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Tutto ed il contrario di tutto si può dire Andreotti,ma nessuno può permettersi di mettere in dubbio che è stata una delle figure politiche più carismatiche della storia italiana.
Pensando un attimo a quello che passa il Governo oggi,in tutti i sensi,quasi quasi mi metto a piangere.
Dunque condivido a pieno la scelta di avergli dedicato una pellicola.
Servillo lo interpreta al meglio,dandoci la sensazione di averlo studiato profondamente.
Sorrentino ha,almeno in questo caso,fatto un buon lavoro tuttavia mi sembra,anche se in maniera molto furba e ben celata,che questa sia una pellicola palesemente a sfavore del protagonista reale.
Di fatto vengono insinuati,talvolta in uno spettacolare stile americano,con incidenti ed omicidi ad alta velocità,mille dubbi su come Andreotti abbia gestito il suo potere.
E mille dubbi si sa,sono come gli indizi,portano alla colpevolezza.
Quanto appena scritto non intacca,comunque, la godibilita' della pellicola,che si attesta su buoni livelli senza sfociare nel capolavoro assoluto.
Forse un giorno lontano qualcuno ci dirà tutta la verità anche se ne dubito fortemente.
In fondo stiamo parlando di politica.
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andyflash77
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lunedì 30 luglio 2012
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un grande sorrentino
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Sorrentino esprime nel suo cinema una duplice sensazione, doppiamente efficace: sa essere visionario ed immaginifico restando comunque vigorosamente aggrappato alla realtà sociale del nostro paese. E’ l’unico, insieme al pur diversissimo Virzì, che riesce a raccontare l’Italia attraverso un cinema dall’input e dal background autoriale, narrativamente e formalmente senza paragoni o riferimenti possibili.
La sua opera ultima, Il Divo, è l’ennesima conferma di un’attitudine migliorata, nonostante sia solo un classe ’70, col tempo e con l’esperienza. La pellicola narra, come tutti ben sanno, le vicende di una tranche della vita (spettacolare ci assicura Sorrentino) di Giulio Andreotti.
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Sorrentino esprime nel suo cinema una duplice sensazione, doppiamente efficace: sa essere visionario ed immaginifico restando comunque vigorosamente aggrappato alla realtà sociale del nostro paese. E’ l’unico, insieme al pur diversissimo Virzì, che riesce a raccontare l’Italia attraverso un cinema dall’input e dal background autoriale, narrativamente e formalmente senza paragoni o riferimenti possibili.
La sua opera ultima, Il Divo, è l’ennesima conferma di un’attitudine migliorata, nonostante sia solo un classe ’70, col tempo e con l’esperienza. La pellicola narra, come tutti ben sanno, le vicende di una tranche della vita (spettacolare ci assicura Sorrentino) di Giulio Andreotti. La formazione degli adepti, perlopiù ceffi loschi e poco raccomandabili, della sua corrente all’interno della DC, la cupa questione Moro, poi Pecorelli, poi Calvi, le ombre di accuse perenni ed insostenibili (per il Paese, mai per Andreotti), il grottescamente singolare rapporto con una consorte santificabile. Questi i tasselli dell’eccezionale mosaico posto sfacciatamente e vigorosamente all’attenzione di un Paese intero. Il nocciolo della questione si cela proprio qui: l’attenzione di un Paese, di un popolo. È su questo che vuole (e ce la fa) far leva il regista, vuole destare le coscienze popolari, non tanto per demonizzare l’ormai universalmente riconosciuto Belzebù della storia politica italiana, ma per porlo a monito, a deterrente per il futuro. Gli italiani, dopo i trascorsi infelici e truffaldini, sembrano non aver poi imparato così bene la lezione, e l’intenzione della pellicola va, nella sua accezione universalistica, ricercata proprio in questa voglia di discontinuità.
La rilevanza contenutistica dello script si muove contestualmente con una forma cinematografica aggressiva e perfetta. La sceneggiatura è al solito poderosa e il personaggio di Andreotti, merito e menzione speciale ad un meraviglioso Servillo nella sua miglior interpretazione in assoluto, è inquietante ed incantevolmente paradossale. La voce pedante e soporifera di Andreotti-Servillo risuona indimenticabile in alcune sequenze che difficilmente usciranno dalla storia del nostro cinema. Merito dell’interprete napoletano sta anche nell’aver costruito un personaggio ben lontano dai (pericolosi) clichè di una banale imitazione, cucendosi addosso una magnetica aurea semicaricaturale che aggancia inesorabilmente lo spettatore anche negli inevitabili momenti di stanca della narrazione.
Come ne Il divo Andreotti si muove tra i corridoi dell’austera casa sollevato dal terreno, quasi spettro, così la classe politica spesso si è (auto)innalzata dalla missione terrena che l’elettorato le ha conferito, allontanandosi da quel ‘basso’ che la sostenta e la legittima, perdendo il necessario contatto con la realtà e, ahimé, con la lealtà.
Pellicole del genere addossano un bagaglio così pesantemente impagabile, sia nel valore intrinseco delle tematiche che nella potente cifra stilistica lasciata in eredità, da entrare a pieno diritto nell’Olimpo del cinema europeo contemporaneo.
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shiningeyes
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mercoledì 26 giugno 2013
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bell'esempio di cinema italiano
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Operazione ambiziosa e coraggiosa quella di fare un film su uno degli uomini più chiacchierati d'Italia, e “chiacchierato” è riduttivo per l'oscura e potente figura di Giulio Andreotti.
Il film si incarica di riportare i misfatti di Andreotti nella sua lunghissima carriera politica, della quale tutti sanno, ma che non bastano a fargli scontare la giusta pena.
Rapporti con la mafia, insabbiature, omicidi, giochi di potere, un qualcosa di già visto e documentato, certo, ma non alla maniera di Sorrentino.
Sorrentino è abilissimo di rivestire il film con un'aura mistica e con l'atmosfera sinistra che c'è in una politica assetata di potere e corrotta; più che mai sul personaggio Andreotti, che sembra essere imperturbabile ad ogni evento grave che colpisce l'Italia ed alle accuse continue che gli vengono rivolte; ha un atteggiamento sempre ironico, quello di un uomo che ha fiducia dei suoi mezzi e che può vantare la completa intangibilità.
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Operazione ambiziosa e coraggiosa quella di fare un film su uno degli uomini più chiacchierati d'Italia, e “chiacchierato” è riduttivo per l'oscura e potente figura di Giulio Andreotti.
Il film si incarica di riportare i misfatti di Andreotti nella sua lunghissima carriera politica, della quale tutti sanno, ma che non bastano a fargli scontare la giusta pena.
Rapporti con la mafia, insabbiature, omicidi, giochi di potere, un qualcosa di già visto e documentato, certo, ma non alla maniera di Sorrentino.
Sorrentino è abilissimo di rivestire il film con un'aura mistica e con l'atmosfera sinistra che c'è in una politica assetata di potere e corrotta; più che mai sul personaggio Andreotti, che sembra essere imperturbabile ad ogni evento grave che colpisce l'Italia ed alle accuse continue che gli vengono rivolte; ha un atteggiamento sempre ironico, quello di un uomo che ha fiducia dei suoi mezzi e che può vantare la completa intangibilità.
Su Sorrentino aggiungo che, l'idea delle canzoni di carattere allegro che stridono con il carattere greve e duro del film sono un tocco originalissimo molto gradevole, come del resto sono i vari piani sequenza e le scene al rallentatore, che però sono di scuola americana.
Il cast non è certamente all'altezza della qualità dell'obbiettivo di fare un film che surclassa la povera cinematografia italiana, ma si distinguono comunque un buon Toni Servillo, che riesce a caratterizzare efficientemente i tratti dello statista e uno stravagante ma interessante Carlo Bucirosso nella parte dello scatenato parlamentare Pomicino.
Posso dire senz'altro che “Il Divo” è al di sopra dei film della media nazionale, e presenta una regia molto buona, che rende il film molto godibile e curioso, ma di contro posso dire che scade moltissimo sui venti/trenta minuti finali, in cui il film sembra deciso ad analizzare psicologicamente il protagonista, tralasciando le parti più interessanti, che sono le sue atrocità; in più, cade su banalità.
Non nego comunque che, sia certamente un film da vedere, soprattutto per coloro che si vogliono fare un'idea in più su un personaggio così enigmatico come Andreotti.
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tomdoniphon
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venerdì 30 maggio 2014
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un uomo specchio di un paese
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"Molti pensano che De Gasperi e Andreotti andassero tutti e due in chiesa per lo stesso motivo, ma non è così: De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete"..."I preti votano". Ritratto del "divo" Andreotti, in un momento di svolta della storia della politica italiana, prima dell'inizio del processo di Palermo. Sorrentino non cerca la verità in merito alle tante responsabilità dello statista, ma tenta l'impossibile: approfondire "l'uomo" Andreotti, che ne esce in tutta la sua ambiguità e tragicità ("un regista freddo, impenetrabile, senza pietà umana", come disse Aldo Moro); un uomo complesso come un enigma, "chiuso nel suo sogno di gloria", sempre nascosto dietro la sua sottilissima ironia (il film è ricchissimo di battute memorabili).
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"Molti pensano che De Gasperi e Andreotti andassero tutti e due in chiesa per lo stesso motivo, ma non è così: De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete"..."I preti votano". Ritratto del "divo" Andreotti, in un momento di svolta della storia della politica italiana, prima dell'inizio del processo di Palermo. Sorrentino non cerca la verità in merito alle tante responsabilità dello statista, ma tenta l'impossibile: approfondire "l'uomo" Andreotti, che ne esce in tutta la sua ambiguità e tragicità ("un regista freddo, impenetrabile, senza pietà umana", come disse Aldo Moro); un uomo complesso come un enigma, "chiuso nel suo sogno di gloria", sempre nascosto dietro la sua sottilissima ironia (il film è ricchissimo di battute memorabili). Un uomo che, tra le tante responsabilità, non riesce a perdonanarsi la morte di Aldo Moro ("soffro per Moro, non solo non sapeva, ma non poteva nemmeno immaginare che esistessero certe cose"). Ma a rimanere impresso nella memoria dello spettatore è anche il ritratto dell'Italia della "Prima Repubblica", un paese in cui, al pari dei libri gialli letti da Andreotti (a cui egli strappa sempre l'ultima pagina), è impossibile ristabilire la verità. Lo stile è assolutamente geniale, per il suo utilizzo del registro grottesco (in parte debitore de "L'ora di religione" di Bellocchio), con evidenti influssi del cinema di Scorsese e di Fellini (come dimostra la festa a casa di Pomicino). Scene indimenticabili: la passeggiata di Andreotti alle prime ore del mattino, con gli uomini della scorta increduli; l'intervista di Scalfari (con risposta genialmente evasiva di Andreotti). Qualsiasi elogio per l'interpretazione di Servillo sarebbe superflua.
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catcarlo
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mercoledì 8 marzo 2017
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il divo
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Un film così legato alla realtà politica nostrana e ai bizantinismi connessi parrebbe impossibile da comprendere all’estero, ma ‘Il divo’ è stato ben accolto quasi ovunque, tanto che il regista ha vinto il Premio della Giuria a Cannes: il che vuol dire che il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori ha saputo andare al dilà delle contingenze imponendosi come opera a sé stante. Per lo spettatore italiano è comunque inevitabile prescindere dalla dimensione storica: costruito in flashback a partire dai primi anni Novanta con la delusione per la mancata elezione alla Presidenza della Repubblica e l’avvicinarsi implacabile del maxiprocesso di Palermo, la pellicola ripercorre la parabola della massima influenza andreottiana da diversi punti di vista, ma sempre sottolineando la sottile eppure mefistofelica perizia del divo Giulio nel muovere le pedine giuste al momento giusto senza stare troppo a badare alle motivazioni o alla fedina penale.
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Un film così legato alla realtà politica nostrana e ai bizantinismi connessi parrebbe impossibile da comprendere all’estero, ma ‘Il divo’ è stato ben accolto quasi ovunque, tanto che il regista ha vinto il Premio della Giuria a Cannes: il che vuol dire che il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori ha saputo andare al dilà delle contingenze imponendosi come opera a sé stante. Per lo spettatore italiano è comunque inevitabile prescindere dalla dimensione storica: costruito in flashback a partire dai primi anni Novanta con la delusione per la mancata elezione alla Presidenza della Repubblica e l’avvicinarsi implacabile del maxiprocesso di Palermo, la pellicola ripercorre la parabola della massima influenza andreottiana da diversi punti di vista, ma sempre sottolineando la sottile eppure mefistofelica perizia del divo Giulio nel muovere le pedine giuste al momento giusto senza stare troppo a badare alle motivazioni o alla fedina penale. Una capacità di controllo che si basa sul ‘troncare e sopire’, si tratti di terrorismo, del rapimento Moro o di mafia: quello che ne esce è un ritratto di caduta (a)morale più feroce di qualsiasi giudizio sulle connivenze criminali o sulla politica politicante. Piaccia o meno, la presa di posizione è netta e la figura del protagonista ne è quasi una rappresentazione plastica: Toni Servillo, con un mimetismo encomiabile, ne rende un’immagine gelida e sfuggente che pare impalpabile, ma che tutto annota per cercare di avere chiunque in pugno: voce bassissima (in certi passaggi si fatica a capire le battute) e presenza iconica in un modo d’essere che si trasmette anche alla moglie (un’altrettanto brava Anna Bonaiuto). Ne scaturisce una gestione del potere ben più insidiosa di quella caciarona che gira intorno, dall’esuberante Evangelisti di Flavio Bucci al macchiettistico ministro Altissimo interpretato da Carlo Bucirosso, la caratterizzazione del quale e della società che lo circonda, fra arrivismo e feste romane di pessimo gusto, sembra a tratti una prova generale de ‘La grande bellezza’. Questo per dire che i sorrentinismi non mancano, ma la maniera del regista napoletano risulta per qualche verso compensata dal contatto con la realtà, mantenendo un equilibrio che a volte va perso nelle opere successive. In compenso, la scrittura di Sorrentino, autore della sceneggiatura, condensa alcuni decenni di storia recente in una vicenda efficace e convincente, ma nella buona riuscita del film hanno parte rilevante i collaboratori partendo dalle belle musiche di Teho Teardo e con menzione speciale per la bella fotografia, tra brillanti esterni e inquietanti chiaroscuri, del fido Luca Bigazzi.
3 stelle e mezzo
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fulvio
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domenica 1 giugno 2008
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i misteri di un'icona politica.
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Raccontare la storia del politico Giulio Andreotti sarebbe stata un’impresa ardua per chiunque. Paolo Sorrentino ci prova e opta per una linea semigrottesca. Forse perché gli episodi che hanno visto coinvolto il senatore sono stati numerosi, forse perché la presenza dello statista romano nelle variegate vicende politiche italiane è stata continua, ma sicuramente del personaggio conosciamo tantissimo e pochissimo per poter tratteggiare con onesta lucidità un percorso pubblico e privato completo e veritiero. L’operazione cinematografica sembra aver centrato il bersaglio sotto l’aspetto scenografico, dove si può, semmai, decidere se condividere o meno la lettura personale del regista, ma non si può negare il fascino surreale di alcuni passaggi (per battute, immagini, ritmo e accostamenti musicali bizzarri ma suggestivi).
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Raccontare la storia del politico Giulio Andreotti sarebbe stata un’impresa ardua per chiunque. Paolo Sorrentino ci prova e opta per una linea semigrottesca. Forse perché gli episodi che hanno visto coinvolto il senatore sono stati numerosi, forse perché la presenza dello statista romano nelle variegate vicende politiche italiane è stata continua, ma sicuramente del personaggio conosciamo tantissimo e pochissimo per poter tratteggiare con onesta lucidità un percorso pubblico e privato completo e veritiero. L’operazione cinematografica sembra aver centrato il bersaglio sotto l’aspetto scenografico, dove si può, semmai, decidere se condividere o meno la lettura personale del regista, ma non si può negare il fascino surreale di alcuni passaggi (per battute, immagini, ritmo e accostamenti musicali bizzarri ma suggestivi). Sotto il profilo documentaristico convince un po’ meno, e il tono caricaturale, in alcuni frangenti, sembra ripiegare su se stesso improduttivamente. Di certo, il racconto non tralascia alcuni aspetti veritieri dell’ex primo ministro: le sue frequenti emicranie, il ricorrente incubo della vicenda “Moro”, il suo spregiudicato pragmatismo, la forte ambizione politica, il suo legame con lo scomparso De Gasperi e la presenza protettiva della moglie.
Indubbiamente, il quadro politico del nostro Paese che traspare, fatto di intrighi, ricatti, uomini vili, ipocriti e vergognosamente servi corrotti dei più scaltri, non lascia indifferenti, anzi procura un senso amaro di fastidio, rabbia ed impotenza. E la sintetica quanto efficace affermazione del Divo, “E’ inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene”, non giustifica l’imbarazzante marciume che ha inquinato ed inquina la vita politica del nostro Paese.
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cronix1981
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giovedì 21 ottobre 2010
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finalmente il cinema italiano batte un colpo
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Un film fatto di eccessi, che vive di eccessi per raccontare la straordinaria vita dell'uomo politico italiano più importante dal dopoguerra ad oggi.
Con questo film Sorrentino entra di diritto tra l'elite dei registi. Il film riesce in un difficile impegno, senza mai trascinarsi nella faziosità o nell'autocelebrazione del Divo. Il ritmo imposto è vertiginoso all'inizio, con una sequenza d'apertura che da sola varrebbe il prezzo del biglietto: l'azione viene impressa direttamente dal ritmo della musica, e la sequenzialità degli eventi (in realtà sono tutti omicidi) fa capire da subito l'alto impatto emotivo. Nel seguito il film si fa anche più riflessivo, senza però ignorare i cambi di ritmo, che fanno di questo film una peculiarità.
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Un film fatto di eccessi, che vive di eccessi per raccontare la straordinaria vita dell'uomo politico italiano più importante dal dopoguerra ad oggi.
Con questo film Sorrentino entra di diritto tra l'elite dei registi. Il film riesce in un difficile impegno, senza mai trascinarsi nella faziosità o nell'autocelebrazione del Divo. Il ritmo imposto è vertiginoso all'inizio, con una sequenza d'apertura che da sola varrebbe il prezzo del biglietto: l'azione viene impressa direttamente dal ritmo della musica, e la sequenzialità degli eventi (in realtà sono tutti omicidi) fa capire da subito l'alto impatto emotivo. Nel seguito il film si fa anche più riflessivo, senza però ignorare i cambi di ritmo, che fanno di questo film una peculiarità.
Di Servillo si era già parlato per Gomorra, ma qui riesce a dimostrare in pieno le sue potenzialità, interpretando un Andreotti che vive di potere e per il potere. Una persona che sembra imperscrutabile ed impenetrabile, sempre presente ad ogni avvenimento, ma che non si lascia mai segnare dagli avvenimenti, anche quelli che più direttamente lo riguardano. Nel complesso tutto il cast è degno di nota: da Carlo Buccirosso (uno sfrenato Paolo Cirino Pomicino), a Giulio Bosetti (Eugenio Scalfari, protagonista di una intervista che meglio di ogni altro evento è capace di rivelare la natura del Divo Giulio), fino a Piera Degli Esposti (la segretaria Enea).
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pask79
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sabato 6 novembre 2010
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il divo o il boss?
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Di sicuro nel divo c'e' un protagonista ed e' un sontuoso Servillo, la cui interpretazione di Andreotti e' magistrale. Il regista Sorrentino ci racconta la figura di Andreotti con ironia sfiorando il grottesco ma lo fa con inteligenza,
perche' nella fotografia, degli anni su cui si incentrano le vicende c'e' poco da ridere,l'immagine e' buia, seria, piena di vuoti dove la vera verita' e' assente. Una verita' che ancora oggi e purtroppo per sempre verra' negata agli italiani.
Giulio Andreotti l'uomo del potere, regista di se stesso e regista dell'Italia intera, una nazione che ha affidato a lui e alla sua indiscussa intelligenza le chiavi del Paese.
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Di sicuro nel divo c'e' un protagonista ed e' un sontuoso Servillo, la cui interpretazione di Andreotti e' magistrale. Il regista Sorrentino ci racconta la figura di Andreotti con ironia sfiorando il grottesco ma lo fa con inteligenza,
perche' nella fotografia, degli anni su cui si incentrano le vicende c'e' poco da ridere,l'immagine e' buia, seria, piena di vuoti dove la vera verita' e' assente. Una verita' che ancora oggi e purtroppo per sempre verra' negata agli italiani.
Giulio Andreotti l'uomo del potere, regista di se stesso e regista dell'Italia intera, una nazione che ha affidato a lui e alla sua indiscussa intelligenza le chiavi del Paese.
Potremmo stare anni ed anni a discutere del sequestro Moro, sulle misteriose morti di Pecorelli,Calvi,Sindona e Ambrosoli, possiamo parlare ore ed ore sulle stragi che hanno visto muorire prima Falcone poi
Borsellino e gli uomini delle loro scorte, possiamo dibattere all'infinito sui presunti legami tra politica e mafia e al contempo porgi la "fatitica" domanda ossia c'era, c'e' e ci sara' l'Onorevole Giulio Andreotti dietro tutto cio'?
Bene Sorrentino ci espone i fatti, ci racconta il giallo ma non ci svela l'assassino, ci narra le vicende del principale indiziato ma non ci svela il finale lascia allo spettatore o meglio dire all'italiano la facolta' di scriverlo,
ma tutto questo il regista non lo fa' per sadismo o cattiveria ma semplicemente perche' un finale non esiste se non nelle coscienze e nell'animo di ognuno di noi.
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jacopo b98
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venerdì 10 maggio 2013
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un grandissimo film italiano, un capolavoro
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Un passaggio della vita di Giulio Andreotti (Servillo), sette volte presidente del consiglio e oltre venti ministro, ambientato nei primi anni novanta nel periodo di tangentopoli, racconta il declino della carriera andreottiana, prima speranzoso di diventare Presidente della Repubblica, e poi rassegnato al fatto di essere stato “distrutto dalla vita”. Ad oggi il miglior film di Sorrentino, è un autentico piccolo (o grande?) capolavoro italiano, che dimostra che il cinema italiano non è morto, come dimostra anche il capolavoro di Garrone, Gomorra, che quell’anno vinse ai David di Donatello, dove il film di Sorrentino dovette accontentarsi solo (si fa per dire) di sette statuette: attore, attrice non protagonista (Degli Esposti), fotografia, musiche, trucco (per cui ebbe anche la nomination all’Oscar), acconciature e effetti speciali.
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Un passaggio della vita di Giulio Andreotti (Servillo), sette volte presidente del consiglio e oltre venti ministro, ambientato nei primi anni novanta nel periodo di tangentopoli, racconta il declino della carriera andreottiana, prima speranzoso di diventare Presidente della Repubblica, e poi rassegnato al fatto di essere stato “distrutto dalla vita”. Ad oggi il miglior film di Sorrentino, è un autentico piccolo (o grande?) capolavoro italiano, che dimostra che il cinema italiano non è morto, come dimostra anche il capolavoro di Garrone, Gomorra, che quell’anno vinse ai David di Donatello, dove il film di Sorrentino dovette accontentarsi solo (si fa per dire) di sette statuette: attore, attrice non protagonista (Degli Esposti), fotografia, musiche, trucco (per cui ebbe anche la nomination all’Oscar), acconciature e effetti speciali. Oltre a tutto questo vinse altri numerosi premi (anche internazionali) tra i quali vale la pena di evidenziare almeno i quattro Nastri d’Argento, i cinque Ciak d’Oro e soprattutto il Premio della Giuria a Cannes 2008. È un film che indaga la personalità più controversa dell’ultimo secolo, al potere per oltre quarant’anni, accusato di rapporti con la mafia e di essere il mandante di numerosi omicidi, peraltro lui si dichiarò sempre innocente, famoso per le sue indimenticabili battute sarcastiche. Il ritratto privato di un uomo di enorme intelligenza, sempre rimasto nell’ombra, infatti nel film Sorrentino decide di inquadrarlo sempre nell’ombra, lasciando vedere la sua faccia illuminata in pochissime scene, tra cui l’ultima sequenza, in cui se si guarda bene si può vedere una lacrimuccia nell’occhio del protagonista, incarnato da un bravissimo Servillo, un po’ irrigidito dal trucco. Descrive Andreotti nella sua dimensione privata: le confessioni al prete o a se stesso, le messe mattutine, le passeggiate notturne con la scorta, i grotteschi incontri con i compagni di partito, fino alle notti insonni, trascorse a studiare, scrivere, riflettere, pregare e soprattutto a tormentarsi per la morte di Aldo Moro: Sorrentino ci regale un ritratto delicato e intimo eppure estremamente audace e feroce, anche nelle sequenze grottesche, che non sono poche. Come sceneggiatore Sorrentino infila dappertutto le acute battute tipiche del politico e come regista offre allo spettatore un film spettacolare, con alcune scene di massa di notevole forza, grazie anche all’uso di inquadrature storte e carrellate lunghe e leggere. Finalmente lo possiamo dire: forse il cinema italiano ha trovato l’erede di Fellini (?).
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