antonio de rose
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domenica 1 giugno 2008
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sorrentino, l’insolente ritratto del divo giulio
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La scena in cui Scalfari è seduto di fronte ad Andreotti e gli elenca i misteri italiani che lo riguarderebbero a vario titolo oppure il monologo che sintetizza la “filosofia prima” del Divo, l’ambiguità nel suo discernere il bene dal male? Non c’è una vera e propria chiave d’arco in questo film, non ci sono momenti, o profili, di secondaria importanza nell’architettura di Sorrentino: l’emicrania che segna il corpo, l’animo piagato dal ricordo ossessivo di Moro, la solitudine dell’uomo di potere il quale avverte il peso di una missione salvifica che giustificherebbe il suo realismo politico, vera cifra del personaggio Andreotti. L’insolenza della sceneggiatura fa il paio con l’ingenuità di alcuni passaggi.
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La scena in cui Scalfari è seduto di fronte ad Andreotti e gli elenca i misteri italiani che lo riguarderebbero a vario titolo oppure il monologo che sintetizza la “filosofia prima” del Divo, l’ambiguità nel suo discernere il bene dal male? Non c’è una vera e propria chiave d’arco in questo film, non ci sono momenti, o profili, di secondaria importanza nell’architettura di Sorrentino: l’emicrania che segna il corpo, l’animo piagato dal ricordo ossessivo di Moro, la solitudine dell’uomo di potere il quale avverte il peso di una missione salvifica che giustificherebbe il suo realismo politico, vera cifra del personaggio Andreotti. L’insolenza della sceneggiatura fa il paio con l’ingenuità di alcuni passaggi. Ad esempio l’incontro con Riina, il bacio, addirittura la puntura di spillo, l’iniziazione mafiosa. Si tratta di circostanze entrate nell’immaginario collettivo, delle quali è lecito dubitare, che aumentano la dose di surreale, di grottesco, nel ritratto del leader democristiano. Quello del regista napoletano Paolo Sorrentino è un cinema engagé che rinverdisce la scuola di Rosi, Petri e Ferrara. Precisione tassonomica nel fornire allo spettatore meno avveduto quei riferimenti storici e linguistici essenziali per assaporare un lavoro importante, complesso e insieme agile. Storiografia romanzata in salsa indie. Godibile dall’inizio alla fine. Voto 8
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lumiere
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domenica 10 maggio 2009
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un divo da bagaglino
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Sono incappato nel più brutto film visto da molti anni a questa parte, “Il divo”. Una lunga passerella pseudopolitica per quegli attenti lettori di quotidiani che da un titolo sanno risalire a dei fatti che qui non vengono raccontati ma solo brevemente illustrati da lambiccate inquadrature pletoriche e pretenziosamente “artistiche”. Fra tanti volti di politici siglati da apposite didascalie, degni di figurare in un “album Panini”, si aggira, mummia vivente, una squallida imitazione del compianto Oreste Lionello, già arguto imitatore di Andreotti. La nuova performance di Toni Servillo non raggiunge gli scarsi e deprecabili livelli dell’attuale Bagaglino.
La chiave polemica di tutto il film è validamente riassunta nei tre minuti nei quali uno uno Scalari, interpretato – stavolta validamente - dal bravo Giulio Borsetti, intervista Andreotti sulle eccessive casuali coincidenze della sua storia politica.
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Sono incappato nel più brutto film visto da molti anni a questa parte, “Il divo”. Una lunga passerella pseudopolitica per quegli attenti lettori di quotidiani che da un titolo sanno risalire a dei fatti che qui non vengono raccontati ma solo brevemente illustrati da lambiccate inquadrature pletoriche e pretenziosamente “artistiche”. Fra tanti volti di politici siglati da apposite didascalie, degni di figurare in un “album Panini”, si aggira, mummia vivente, una squallida imitazione del compianto Oreste Lionello, già arguto imitatore di Andreotti. La nuova performance di Toni Servillo non raggiunge gli scarsi e deprecabili livelli dell’attuale Bagaglino.
La chiave polemica di tutto il film è validamente riassunta nei tre minuti nei quali uno uno Scalari, interpretato – stavolta validamente - dal bravo Giulio Borsetti, intervista Andreotti sulle eccessive casuali coincidenze della sua storia politica. Quei pochi minuti sono un valido “cortometraggio” che rendono superfluo ed ermetico il lungo logorroico trascinarsi di inquadrature cupe, notturne, funeree, che forse aspirerebbero al grottesco, nelle quali si aggira la macchietta-mummia-mostro del sedicente Andreotti.
C’è poi uno sbaglio di fondo: il “cattivo” non deve essere necessariamente “brutto”. Il cosiddetto potere “diabolico” di Andreotti non risiede certo – o meglio risiedeva - in una diabolico orripilanza fisico-psicologica ma, al contrario, in un mellifluo potere di seduzione. Chi l’ha detto che il pifferaio di Hamelin deve essere un mostro? Chi ha accostato almeno uno volta il senatore sa quanto l’uomo potesse essere “ammaliatore”: forse in questo risiedeva la sua pericolosità.
Dunque un film, brutto, sbagliato, insopportabile, noioso, inutile, politicamente sbagliato. Consigliamo a Sorrentino una cura intensiva di Oliver Stone, o qualche endovena di Francesco Rosi. Cura da estendersi all’inclita critica.
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domenica 8 giugno 2008
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l'unico divo è sorrentino
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E' sorprendente davvero trovarsi davanti a questo oceano di diffusi entusiasmi, che ne hanno un poco per ogni aspetto del film "il Divo". E c'è da chiedersi se il suo regista sia conscio dell'inganno che a mio modo di vedere perpetra (e che pare funzioni benissimo) o se davvero la sua sensibilità si trovi proprio lì tra le righe di ciò che ha scritto. Ma è giusto che una critica sia sostenuta da argomenti.
Andreotti, il cui spirito umoristico è fatto noto, diventa qui un uomo capace di parlare solo per aforismi. Non è in grado una sola volta di partecipare a un dialogo nei toni normali che peraltro si confanno abbondantemente al suo vero, ma pare che Sorrentino debba ricordarci continuamente le sue doti di arguzia, facendolo somigliare a una sorta di jukebox di massime, di battute, di frasi taglienti recitate dall'inizio alla fine nell'identica modalità.
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E' sorprendente davvero trovarsi davanti a questo oceano di diffusi entusiasmi, che ne hanno un poco per ogni aspetto del film "il Divo". E c'è da chiedersi se il suo regista sia conscio dell'inganno che a mio modo di vedere perpetra (e che pare funzioni benissimo) o se davvero la sua sensibilità si trovi proprio lì tra le righe di ciò che ha scritto. Ma è giusto che una critica sia sostenuta da argomenti.
Andreotti, il cui spirito umoristico è fatto noto, diventa qui un uomo capace di parlare solo per aforismi. Non è in grado una sola volta di partecipare a un dialogo nei toni normali che peraltro si confanno abbondantemente al suo vero, ma pare che Sorrentino debba ricordarci continuamente le sue doti di arguzia, facendolo somigliare a una sorta di jukebox di massime, di battute, di frasi taglienti recitate dall'inizio alla fine nell'identica modalità.
La musica Dub, tanto cara al regista, smarrita, se mai esistita, ogni sua presenza innovativa, diventa soltanto l'ennesimo manierismo insieme a quei sottotitoli a identificazione dei personaggi, alla scelta barocca delle inquadrature, all'incapacità di raccontare anche solo un minuto della vicenda con una qualche pulizia e semplicità. La sequenza iniziale, quelle morti a catena e contemporanee sull'onda del primo Padrino (lì accompagnate dall'omelia, anno 1971 credo), è di esasperante banalità, vista cento volte in film molto migliori, e il ridicolo rallentare dei beat per preannunciare il male in arrivo, l'avviso a chi guarda, è davvero scoraggiante.
Mi pare, quello di Sorrentino, un cinema rivolto a degli spettatori amputati dell'intuito. Ogni cosa è spiegata, semplificata nei termini della caricatura macchiettistica. Vedi il personaggio di Pomicino, che non credo abbia bisogno di sgommare nel corridoio del parlamento o di ballare come una cubista per esprimere i suoi aspetti più frivoli. Tutto è qui fin troppo plateale. Andreotti che riceve gli uomini della propria corrente facendosi la barba come un novello Al Capone, o che strappa pagine di libri gialli sui banchi del parlamento, o che incita un cavallo con quel "vai,vai..." mentre ammazzano Lima (così che il povero spettatore possa fare due più due).
Perfino le iniziali didascalie sono patetiche. Il bignami del "male". Vien detto delle posizioni della Dc sul caso Moro, e alla fine quel "soprattutto Andreotti" (Ma deve davvero dire Sorrentino queste cose in un film?). E anche la chiusura riguardo alla P2, "alla loggia partecipò anche Silvio Berlusconi" (ma cosa c'entra e chi se ne frega in questo contesto?)
E Sorrentino seguita a dire che questo non è un film su Andreotti ma sul potere, dopo aver attinto a mani piene dai fatti di quegli anni, permettendosi di fare libere supposizioni anche oltre quello che sia stato accertato o meno, e ahimè gli si crede. E lo si premia, e certo lo si rende un Divo.
Sarebbe forse più interessante fare un film su di lui.
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