Il cosmo sul comò

Con un cinepanetùn, il trio, per farvi ridere, si è fatto in quattro…

Ovvero, in quattro episodi, tutti molto milanesi. È la formula del loro film di Natale, II cosmo sul comò. E Giacomo spiega: «In tv ormai ci andiamo solo per gli spot. Ma, lo vedrete, non siamo cambiati». Come mostrano anche le fotografie che lui ha scattato sul set. Guardare per credere...
Gli intervistati bisogna inchiodarli alle loro responsabilità. Nel caso di Giacomo Potetti, della premiata ditta AG&G, è successo nel momento in cui gli abbiamo imposto di trovare per il nuovo film una definizione alternativa a quella di «cinepanettone». È finita con un onorevole pareggio: si è deciso che la forza intrinseca della definizione originaria è imbattibile e si è stabilito quindi di privilegiare la milanesità di tutto quanto il film - i protagonisti, il mondo intorno: Il cosmo sul comò è ufficialmente un «cinepanetùn» (prima di eccepire, conviene sapere che tra le ipotesi scartate c'era anche «mostarda's movie» ). Rieccoli, quindi, Aldo, Giovanili e Giacomo. Notizie base: il film in arrivo è a episodi, quattro, completamente slegati tra di loro, e il regista è Marcello Cesena, il Jean Claude delle gag settecentesche della Gialappa's. A raccordare il tutto ci sono scene in cui Giovanni dà corpo e voce a un vecchio saggio orientale, il maestro Tsu' Nam (vabbè), che dà lezioni di vita ai suoi due discepoli. Siccome questi sono un po' refrattari e, soprattutto, il vecchio saggio è un po' in crisi, finisce sempre con Tsu' Nam che percuote con un randello nodoso gli allievi, ovviamente a fin di bene e al solo scopo di far capire meglio i concetti. «Avevamo molti spunti» racconta Giacomo, «alla fine abbiamo scelto di tentare il film a episodi. Siamo convinti che sul passo breve riusciamo a rappresentare meglio quello che vogliamo dire».
Lo dimostrerebbe anche la quasi totalità delle travolgenti esperienze in teatro del passato più o meno recente (i Corti e così via). Dal film, fra l'altro, sono rimasti fuori molti spunti, e quindi l'idea è: se questo esperimento al cinema funziona, si passa direttamente alla seconda parte. Il titolo dice parecchio, anche se il significato non è di immediata intuizione. Il cosmo sul comò allude all'idea che l'universo sia da ricercare in un posto assai comune: vicino a sé. Meno metafisica, insomma, e più fisica.
Il mondo che ci interessa e preme può stare tutto lì, sul vecchio comò: se hai perso di vista quello, se non ti ci raccapezzi più, inutile cercare soluzioni spirituali o altro. Rimboccarsi le maniche con il reale, piuttosto. Lo fanno, per esempio, i due protagonisti, Giacomo e Sara D'Amario, dell'episodio Fecondazione. Non più ragazzini, avvertono insopprimibile l'esigenza di avere un figlio. L'incontro con la psicologa da cui vanno (Angela Finocchiaro) ha risultati tragicomici. Giacomo: «Gli effetti della modernità su questioni decisive come la famiglia sono quanto di più interessante accade in questo Paese: cose che succedono alla gente comune dalla quale non ci siamo mai staccati. Ci sentiamo dentro alla realtà anche dopo tanto successo, ci interessiamo alle storie normali. E il pubblico ci restituisce questo atteggiamento, sentiamo che funziona».
Senza anticipare niente, l'episodio in questione genera gag di tipo iper-riflessivo, con ambizioni da alta commedia di costume nonché sociale. E Sara D'Amario promette (e mantiene) ben più di quanto ci si aspetterebbe da un ruolo di quasi esordio. Così come Isabella Ragonese (la strepitosa protagonista nel cali center di Tutta la vita davanti di Paolo Virzï). Nel primo episodio rappresenta il sogno proibito, nonché l'amore accecante, del sempliciotto Aldo, mentre sotto va il Battiato di La stagione dell'amore. Titolo, Osa, che è l'acronimo di Oratorio Sant'Andrea, effettivamente esistente ed esistito nella storia personale dei tre. Qui si recupera una dimensione antica, con Giacomo nei panni di un prete barbuto e Giovanni in quelli del sacrestano, mentre il tempo bussa a tutte le porte.
E le vecchie questioni di amicizia, lealtà e buon vivere di una volta? Ci sono, nel capitolo che, più degli altri, è una «commedia a episodi», ovvero Milano Beach. I tre sono tutti capifamiglia ed è ora di partire per le vacanze. Stesse famiglie, sempre insieme, stessa spiaggia e stesso mare. Mogli e figli non ne possono più e vorrebbero tanto andare altrove e fare altro, mentre i tre «capi» insistono assai, in quanto legatissimi al solito concetto di vacanza: loro insieme a scherzare e a divertirsi come una volta, la fuga dal reale e dalle responsabilità come obiettivo. Echi del Sorpasso, Milano che bolle di caldo e il viaggiovacanze che in questo finimondo sospeso non riesce a iniziare mai.
Si chiude con il futuribile Quadri. siamo in una pinacoteca, ma í quadri sono animati, vivi e vegeti. Ci sono i nostri tre, c'è Victoria Cabello agghindata come la Dama dell'Ermellino. E, di fronte, un piccolo emulo di Harry Potter, alle prese con i quadri che nottetempo si mettono a vivere la vita.
«I desideri ci sono sempre» spiega Giacomo, «i sogni pure, ma il racconto di quello che si vive ci sembra ormai più interessante». E anche comico, si direbbe: «Far ridere rimane l'obiettivo vero. Continuano a chiederci cosa pensiamo della satira politica. In realtà non l'abbiamo mai fatta. Ci interessa raggiungere la comicità raccontando storie plausibili e avendo sempre come base la realtà».
E qui il tenero Giacomo, accollatosi le gioie della paternità da un paio d'anni, racconta le tarde serate in famiglia, il pupo che dorme finalmente e vecchi film da inserire nel dvd: «L'altra sera ho rivisto I tartassati con Totò. Il modello è irraggiungibile, ma il senso è quello, la commedia anche amara, che fa ridere e ti lascia il rovello su come stanno andando davvero le cose, là fuori».
Poca televisione, par di capire: «La guardiamo pochissimo, giusto per dovere». Sì, ma farla? Vengono in mente i vecchi tempi, quando succedeva qualcosa che oggi sarebbe catalogato come una stranezza: il Mai dire gol dell'epoca d'oro, dove inventarono personaggi come il sardo Nico e lo svizzero Rezzonico. In giro non si parlava d'altro e gli ascolti davano cifre sui tre milioni di telespettatori: «Oggi sarebbe un flop e ci chiuderebbero. Invece eravamo un fenomeno nazionale. Ma cosa sarà mai successo nel frattempo?».
Saperlo. Fatto sta che, per rivederli in tv, bisognerà aspettare ancora un bel pezzo e in giro si continuerà a dire che in tv non fa più ridere nessuno. Per non parlare di quelli che magari daranno i tre per definitivamente appesantiti e imborghesiti, come si diceva un tempo. Per esempio, con tutti quegli spot... «Li esiste un accordo. Abbiamo preteso di giocarceli a modo nostro, girando un sacco di episodi, in libertà. Negli spot, è vero, siamo più un marchio, che un gruppo. Ma appena ne usciamo, siamogli stessi di prima, i soliti. Garantito».
Da Il Venerdì di Repubblica, 5 dicembre 2008

di Antonio Dipollina, 5 dicembre 2008